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Monday, August 20, 2007

Della superiorità degli anni '80 (sui '70)

Ci siamo già soffermati su come Enrico Letta appaia non proprio il più credibile difensore degli anni '80 e delle giovani generazioni. Letta si candida alla leadership del Partito democratico su richiesta di Prodi, unicamente con l'obiettivo di non far raggiungere e superare a Veltroni il 70% dei consensi, così da allungare la vita del governo in carica. In altre parole: è uno degli ultimi giapponesi di Prodi.

Ma nel dibattito sugli anni '80, nei giorni scorsi, è intervenuto anche Angelo Panebianco. E in modo convincente.

Chi liquida gli anni '80 come «riflusso», perché in quegli anni sono andati scemando certe "passioni" e certi "impegni" politici, è in realtà, pur senza saperlo, un liquidato dalla storia.

Come osserva infatti Panebianco, «i giudizi contrastanti sugli anni Ottanta sono sempre figli di opposti atteggiamenti sul '68 e sul decennio che lo seguì». Quelle passioni politiche - da molti a sinistra rimpiante - che furono spazzate via con l'avanzare degli anni '80, al netto delle buone intenzioni e degli ingenui, delle spinte per i diritti civili e l'apertura dei costumi, non furono che «follie ideologiche», «illegalità diffuse politicamente motivate», «conflittualità selvagge», le quali sfociarono nel terrorismo più violento e sanguinoso che, escludendo i gruppi irredentisti, si sia visto in una democrazia occidentale.

Definire ancora oggi, nostalgicamente, «passioni politiche» quegli estremismi e quelle utopie, significa essere fuori tempo massimo nella comprensione degli eventi, e quindi far parte dei vecchi attrezzi del passato. Chi «fatica a distinguere fra la passione civile, necessario combustibile della democrazia, e le fughe nell'utopia (e dalla ragione), pretende di condannarci a una perenne e frustrante spola fra l'indifferenza per la cosa pubblica e l'estremismo ideologico, con le sue paranoie identitarie».

Tra l'indifferenza e l'ideologia c'è dell'altro: la politica capace di rapportarsi all'individuo.

Gli anni '80 - con il loro individualismo, il benessere, l'affarismo, il consumismo, l'edonismo, la televisione commerciale, la moda e lo spettacolo - hanno contribuito a deideologizzare la nostra società, decretando dal punto di vista ideologico la sconfitta del terrorismo e dell'utopia comunista. Divenne infatti sempre più evidente ciò che anche sul finire degli anni '70 si poteva intuire: che le masse non erano per nulla intenzionate a seguire le "avanguardie rivoluzionarie". Gli anni '80 hanno anzi aiutato ampi strati della popolazione a familiarizzare con il capitalismo e si sono conclusi emblematicamente nel 1989, con il crollo del Muro di Berlino, e nel '91, con il disfacimento dell'Urss.

E' naturalmente limitata a questo singolare aspetto - diciamo agli effetti che i mutamenti economici e culturali degli anni '80 hanno prodotto sulla cultura politica inconscia degli italiani - la "superiorità" di cui si parla nel titolo di questo post. Certo, nemmeno gli anni '80 sono riusciti a curare e a guarire la malattia del "caso Italia": il sistema politico partitocratico, corporativo e clientelare. Per quello ci vuole una "rivoluzione liberale", utopia nonviolenta.