
«Il Senato, udite le comunicazioni del Governo, le approva». Sono queste le uniche, semplici, inequivocabili parole contenute nell'ordine del giorno presentato oggi in Senato dall'opposizione nel corso del dibattito sull'ampliamento della base militare Usa a Vicenza. Ebbene, paradossalmente, il viceministro degli Esteri Ugo Intini, a nome del Governo, ha espresso parere contrario, accogliendo, invece, solo la mozione della maggioranza, ben più articolata, piena di condizioni e distinguo, e che si limitava a «prendere atto» delle comunicazioni del ministro della Difesa Parisi.
L'odg del centrodestra è passato (152 sì, 146 no e 4 astenuti. Tra i voti decisivi, quelli di Andreotti e De Gregorio), quindi precludendo il voto su ogni altro documento, contrario o anche solo "diminutivo" dell'odg già approvato. Tra un ordine del giorno che «appprova» incondizionatamente la relazione di un ministro e un altro che si limita a «prendere atto», ponendo condizioni, l'approvazione del primo preclude il voto sul secondo, perché lo batte o, come minimo, lo assorbe.
Per un giorno l'opposizione è stata quindi "maggioranza" e ha dato la fiducia al Governo, e la maggioranza è stata "opposizione". E il Governo? E' riuscito ad andare sotto dando parere contrario a un ordine del giorno che approvava incondizionatamente la sua linea di politica estera e di difesa. D'altra parte, da questa situazione il centrosinistra non poteva uscire indenne. Perché se anche vi fosse stato parere favorevole, l'odg dell'opposizione avrebbe ottenuto i voti di gran parte ma non di tutta la maggioranza. Non di Rifondazione, Comunisti italiani, Verdi e di qualcuno dell'Ulivo. Dunque, con qualunque esito sarebbero emerse comunque le divisioni in seno alla maggioranza stessa sulla politica estera.
Se Intini fosse stato un poco sveglio, almeno il Governo non si sarebbe contraddetto. Avrebbe fatto miglior figura se non avesse rigettato un odg che approvava senza condizioni la sua linea. Un bizantinismo davvero incomprensibile. Invece, il viceministro della Rosa nel Pugno s'è dimostrato per quello che è: una mezza figura.
Dal punto di vista politico il risultato ora è che il Governo ha un'altra maggioranza rispetto a quella uscita dalle elezioni. E ciò non può non avere una ripercussione anche istituzionale. Per esempio, il Presidente del Consiglio dovrebbe venire in Parlamento a dire se accetta la fiducia da parte di questa nuova maggioranza e salire al Quirinale per illustrare al Presidente della Repubblica la situazione e le sue intenzioni. Lo farà? C'è da dubitarne, ma se non lo facesse vorrebbe dire che di fatto accetta di governare con maggioranze variabili.