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Wednesday, April 11, 2007

L'Italia, un paese in vacanza da una vita

Ve la ricordate quella canzone di un'estate di qualche anno fa?

La situazione di permanente incertezza e fragilità in cui si trova il nostro paese l'ha fotografata perfettamente Lucia Annunziata, su La Stampa di ieri.

Dopo l'epilogo nel fango della vicenda Mastrogiacomo e il racconto del soldato Lozano, al New York Post, di quella tragica notte, in Iraq, in cui fu costretto ad aprire il fuoco sull'auto con a bordo Calipari e la Sgrena, «è difficile non vedere come in un unico, sfortunato, giorno sia arrivata al collasso un'intera politica». Del centrosinistra, ma anche del centrodestra. Sì, perché se mai si era caduti così in basso da accettare un accordo che prevedesse la salvezza per l'ostaggio italiano e non per quelli afghani, è pur vero che nella sostanza anche il Governo Berlusconi ha scelto la linea della trattativa opaca per risolvere sequestri in zone di guerra. E chissà quanto c'è di "non detto", se Berlusconi stesso si è precipitato a frenare le polemiche dei suoi contro il Governo Prodi.

La scelta "buona" degli italiani di trattare per gli ostaggi, osserva la Annunziata, «finisce nel sangue». Danni collaterali che sempre più rivelano il bilancio negativo di certe operazioni.

Siamo un paese che per sé ritaglia sempre lo spazio per «un'eccezione alle regole». Prendiamoci tutto, ma non le nostre responsabilità. I soliti italiani "furbetti", che ci sono ma s'imboscano; che fanno parte dell'alleanza, ma conducono trattative separate con il nemico; che sono in guerra ma si sentono in pace... Siamo una «nazione che dal fondo profondo delle sue vacanze permanenti vuole solo i propri ostaggi indietro, così da poter riprendere la propria vita». Vogliamo la pace, ma soprattutto che ci lascino in pace.

Il guaio sta «nel modo con cui il nostro Paese è entrato in questa fase di guerre iniziata con gli attacchi terroristici del 2001. Un nuovo ciclo di conflitti, una vera e propria terza guerra mondiale secondo alcuni, di cui l'Italia - a cominciare da quella di Berlusconi... - non ha mai voluto prendere davvero atto».

Un'Italia "caso speciale", «per la quale gli stessi alleati sono sempre stati pronti a fare un'eccezione». Gli Usa chiudendo un occhio sul caso Sgrena, pronti a fare altrettanto sul caso Mastrogiacomo; la Merkel che «sprezzante» rivendica "Noi non trattiamo con i terroristi"; Karzai che si commuove per il governo Prodi «a rischio caduta». Una comprensione «un po' pelosa», che ci ha esposti a recitare la parte dei pusillanimi nelle relazioni internazionali.

Ma ora il meccanismo s'è inceppato. Nota la Annunziata che «non importa, infatti, quanto ce ne freghiamo delle regole delle alleanze, le alleanze alla fine ci costringono; non importa quanti ponti vogliamo lanciare ai nostri nemici, essi rimangono nostri nemici. Non importa insomma quanto vogliamo sfuggire alla guerra, la guerra ci insegue comunque». Ciò che possiamo cambiare è come scegliamo di comportarci.

I sequestri in Iraq e Afghanistan rappresentano «lo strappo dentro la tela della nostra pretesa di chiudere gli occhi, di pensare che se facciamo finta di niente la realtà si azzera». Un'illusione di cui gli stessi rapiti sono stati vittime, se è vero che tutti loro - giornalisti, operatori umanitari e guardie del corpo - erano «in buona fede convinti di poter girare in un mondo in guerra più impunemente degli altri occidentali proprio perché italiani, e dunque non davvero in guerra».

Un detto, rammenta la Annunziata, non a caso inglese, recita che «la realtà trova sempre un modo per riafferrarti». Se la politica ha un compito, è proprio quello di «adeguare la nostra posizione a questo avvertimento del reale». Ma stavolta «senza furbizie ed eccezioni, non è più possibile sfuggire al nostro rapporto con la guerra».
«Le opzioni ci sono: l'Italia può voler ritagliare per sé una sorta di ruolo da paese terzo, una specie di Svizzera del lavoro con i civili, o può decidere una piena partecipazione alle guerre in corso. In un caso o nell'altro dovrà pagare dei prezzi, e dovrà dotarsi di una giusta e solida convinzione teorica per sostenere la sua scelta. Ma in entrambi i casi non saremo più vittime della più seria delle tragedie: quella che ci coglie di sorpresa».