Rispondo a
Semplicemente liberale e a
1972. Suona strano chiedere conto ai Radicali della loro rivoluzione liberale, mentre siamo di fronte al disfacimento di un governo che su quella parola d'ordine si era candidato, ottenendo una maggioranza schiacciante, ma che non ha saputo portare a termine neanche una riforma liberale. Insomma, guarda un po', i radicali, e non Berlusconi, avrebbero tradito la "rivoluzione liberale". Curioso. Però, si sa, coi radicali è giusto essere più esigenti. Ma per comprendere, o almeno valutare con il maggior numero di elementi possibile, la scelta dei radicali di «mangiare questa minestra che passa la storia» occorre partire da alcune premesse.
E' bello filosofeggiare su categorie poltiche astratte. Socialismo, liberalismo. Certo, verrebbe di dire, sono inconciliabili. Eppure è evidente che il socialismo a cui vi riferite corrisponde a parametri piuttosto ristretti e datati, che soprattutto non fanno i conti con la storia socialista, nella quale - soprattutto nelle versioni anglosassoni - frutti liberali, pochi, ma ce ne sono stati. Un conto è l'accademia, un altro la politica. Domande dirette: vi farebbe schifo la nascita in Italia di un partito del 4/5% di ispirazione blairiana? Non sarebbe enormemente più liberale di
questo centrodestra? Siete sicuri che non volete tifare (non dico votare, ma tifare in cuor vostro invece di schifare) una nuova formazione di liberali riformatori e socialisti democratici?
Il socialismo che giustamente denunciate è morto. L'ho scritto io stesso, ma potremmo recuperare anche qualche articolo pubblicato su
il Riformista, per esempio dell'inglese
John Lloyd, o di
Biagio De Giovanni, il quale rappresenta una convinzione sempre più diffusa nella classe dirigente Ds: che un'Italia dove sia finito il "tutti insieme contro Berlusconi" e siano riconosciute le necessità storiche di una «rivoluzione liberale» (testuale) abbia «bisogno» del contrasto tra una sinistra liberale e quella neocomunista, scontro che Pannella individua tra i suoi obiettivi e definisce «salutare e necessario».
Sono in aumento tra i socialisti e i diesse quanti hanno abbandonato, o si stanno guardando in giro per abbandonare, il vecchio socialismo e i vecchi riflessi statalisti per affidarsi al libero mercato, e quanti sono sempre più insofferenti per la subordinazione alla sinistra statalista e massimalista. Non accorgersene è semplicemente miope, e grave se stiamo cercando innanzitutto, prima di schierarci, di capirci qualcosa in questo casino.
«Il "liberale" riafferma l'individuo sullo Stato, il "socialista", anche quello più "riformista", fa l'esatto opposto». Queste sono categorie astratte. Andiamo a vedere la realtà politica italiana. Si dice, correttamente, che senza libertà economiche non si ha liberalismo. Vero, ma anche senza le libertà civili. Il liberalismo è una teoria politica il cui pacchetto delle libertà o è completo o la teoria non diviene pratica. E se nel centrosinistra c'è più spazio per le seconde, nel centrodestra non c'è più spazio neanche per le prime.
E' necessario fare un breve excursus sulle politiche sociali ed economiche di questo governo? E' aumentata la spesa corrente, quella sociale e per gli stipendi (da tempo i dipendenti pubblici non avevano aumenti così generosi), a scapito della produttività, crollata; la spesa per la sanità pubblica ha raggiunto il 6% del Pil, livello da primi anni '90: la finanza creativa di Tremonti ha consentito di tirare a campare senza ricorrere a tagli e riforme severe; ferme le privatizzazioni; aiuti di Stato per aziende decotte come Alitalia e Fiat; la previdenza complementare e il tfr sono stati affidati ai sindacati; la sola riforma liberale guarda caso ha un carattere e un'ispirazione blairiana: la riforma Biagi.
Rischiate di rimanere attaccati ad analisi che potevano andare ancora bene nel 2001, che fotografano in modo piatto (e male) l'esistente, non tenendo conto di una storia che dura da dodici anni, la cui tendenza va vista in prospettiva. E da ciò che leggo, ascolto, vedo in giro, ho l'impressione che la tendenza possa essere descritta pensando a una lampada a diffusione: i liberali della CdL, di numero sempre inferiore, si stanno spegnendo; quelli tra i diesse e i socialisti, al contrario, si stanno accendendo. Avrebbero bisogno di un soggetto politico catalizzatore. Vi siete presi la briga di leggere i primi punti programmatici (ovviamente provvisori) della convention di Fiuggi? Avete ascoltato qualche intervento? Di Boselli, o di Pannella, che continua a dirsi liberista? Vi è capitato di ascoltare qualche direzione Ds? O di leggere ultimamente
il Riformista? Bene, ora leggete, ascoltate, guardate ciò che viene dal centrodestra.
Ma queste rischiano di rimanere inutili analisi se non consideriamo un altro dato di fatto, addirittura preliminare. Per criticare seriamente una scelta, bisognerebbe indicare un'alternativa praticabile e migliore, non di mera testimonianza. I Radicali italiani, quelli di Pannella e Bonino, il centrodestra nun se li piglia. Lo scorso inverno, quando Pannella lanciò l'iniziativa dell'"ospitalità", guardando all'inizio prevalentemente a Berlusconi, il centrodestra perse una ghiotta opportunità di avere con sé i Radicali. Il premier lasciò a Bondi il compito di prolungare per giorni un dialogo fittizio: riunioni passate a ripetere gli stessi buoni propositi in attesa di una parola risolutiva, che poteva giungere solo dal premier ma che non è mai arrivata. Invece di chiudere con un gesto da leader, un giorno sì e l'altro pure Berlusconi si faceva linciare pubblicamente dagli alleati contrari all'ipotesi di "ospitalità" dei Radicali, accettando così di far logorare sempre di più la sua capacità di leadership anziché riaffermarla. Eppure, i radicali la «scelta decisiva» di «lavorare per una destra liberale» erano pronti a farla, senza pretendere che la coalizione facesse suo un solo tema etico. Si accontentavano proprio di «angoli libertari sul modello del Partito Repubblicano americano». Ma proprio nel veto ai radicali, il modello verso cui si incammina il centrodestra è più simile alla Dc. E se di scelta parliamo è stata subita, non presa, dai radicali.
Ora Berlusconi si accontenta di raccogliere spezzoni che fungano da orpelli buoni per Liste civetta, purché rimangano spezzoni, cioè senza Pannella e senza Bonino, altrimenti tornano i veti e tutti lo sappiamo. Ma sia chiaro, stima per
Benedetto Della Vedova e tanti sinceri auguri, magari riuscisse a portare un raggio di luce in quella casa così tetra. Il centrodestra che aveva convinto Pannella a sperare per dieci anni (dieci anni di tentativi pagati a caro prezzo) in una svolta di Berlusconi non c'è più. E' bene che ci risvegliamo da questo brutto sogno. Si dirà di Della Vedova, ma come mai in tutte queste settimane dopo il suo coming out non è riuscito a strappare una sola dichiarazione in Forza Italia di qualcuno che dica "Emma, Marco, venite con noi"?.
Dunque non condividere una scelta è un conto, ma affermare che per quella scelta i radicali non sono più loro stessi, non sono più liberali, quando al contrario sono gli unici che, proprio perché liberali, hanno potuto nel corso degli anni percorrere tratti di strada insieme a molti, su obiettivi concreti, rimanendo se stessi, è a dir poco ingeneroso. Io gli darei fiducia, aspetterei a giudicare, e soprattutto, se gli si è affezionati, tiferei per loro in questa nuova avventura anziché buttargli addosso questa immeritata acrimonia.
Certo, la strada intrapresa è piena di pericoli ed è giusto indicarli con nettezza. Dal "ghetto" dei diritti civili alla saga patetica dell'unità socialista in cui a molti fa comodo ricondurre il nuovo soggetto, dallo sciagurato riferimento a Zapatero all'inevitabile alternanza prodiana. Ma in questa fase non bisogna pensare tanto a Prodi o all'Unione, e quanto c'è di brutto là dentro e nella CdL, quanto a connotare il nuovo soggetto Sdi-Radicali in senso il più possibile liberale e blairiano. Da questo deriva il suo successo e il suo potenziale di novità.