«Qui siamo all'appuntamento che abbiamo sempre cercato e che quel mio gran coglione di Bettino cercava a suo modo, aveva l'ambizione, la fretta, nella storia, di anticiparla, per unificare tutto».Questa convention, la costruzione di questo nuovo soggetto politico laico, liberale, socialista, radicale, sta regalando a Marco Pannella la forza per combattere decenni alla sua e nostra «alternativa liberale». E' stato da vero e proprio gigante della politica il suo intervento di ieri, che ingenerosamente racchiudiamo in questo passaggio:
«Essere socialisti e liberali significa essere riformatori, allo stesso modo dei cristiani che si liberavano dalla dittatura vaticana: con la Riforma. (...) L'antropologia contemporanea mostra che religiosità e laicità sono due connotati della stessa realtà antropologica, culturale, politica nel mondo che si confronta con un'altra, quella della (a volte) generosa, ma tragica illusione dell'autorità come valore principale e del potere assoluto in nome dell'etica dello Stato di tutti contro la coscienza di ciascuno. E non c'è religiosità laddove la coscienza di ciascuno non si affermi come sovrana da rispettare, perché è l'unico luogo nel quale si può interrogare il mistero e dargli dei nomi onorando quel che ci trascende, perché ogni volta che la coscienza individuale si confronta con l'assoluto nel quale è immersa è la religiosità che prende corpo e si fa storia, non quando si delegano le rivelazioni alle vestali».Pannella non ha rinunciato a dire per l'ennesima volta lo scandalo "liberismo" e a prefigurare quello scontro «necessario e salutare» fra sinistra liberale e neocomunista.
«Le idealità, la politica liberale e socialista è più a sinistra, più riformatrice della vostra, che continua a celare delle cose di una gravità enorme, nei comportamenti ideologici e antropologici un razzismo incredibile».Dal gigante di fatto e di politica al gigante solo di politica. La mini-Bonino arriva a Fiuggi con l'aria di chi si deve togliere sassolini dalle scarpe. Non è un'esperta di politica estera o di mondo arabo, tiene a precisare, ma una «militante della libertà, della democrazia, della società aperta, della difesa di diritti civili e politici dei cittadini. Mi capita di farlo in Italia o sotto altri cieli, ma è sempre la stessa battaglia: la battaglia contro l'integralismo e contro l'utilizzo della religione a fini politici e di potere». Il vero scontro è tra società chiuse e società aperte, non tra religioni o culture. Poche altre osservazioni nette e puntuali:
1) Essere europeisti, non retoricamente, oggi significa chiedere una riforma profonda. «Ha ragione Blair: meno agricoltura, più innovazione e ricerca. Sarà un grande scontro, sarà importante vedere dove ci collochiamo». In Europa vige la paura come metodo politico e strumento di governo. Per principio multilateralista, l'unico modo per difendere l'Onu è chiedere una riforma di fondo.
2) L'attacco all'Europa prodiana e azzapaterata:
«Torno dall'Afghanistan perché così ha voluto la vita. Da quel paese dove le forze Nato, a guida italiana, stanno svolgendo un ruolo assolutamente incredibile, a me fa specie sapere che alcuni di voi o di altri partiti dell'Unione hanno recentemente votato in Parlamento per il ritiro delle forze italiane. Mi fa specie che Zapatero abbia deciso di ritirare le truppe dall'Afghanistan. Quel paese così misero è uno dei crocevia fondamentali dal punto di vista geostrategico di tutti i nostri rapporti futuri, stretto com'è fra Pakistan, India, Cina, Iran e le ex repubbliche sovietiche. Non si tratta di esportare la democrazia, basta sostenere i democratici che ci sono, e vi assicuro ce ne sono in tutti i paesi, salvo che non li vediamo, non li conosciamo, li sacrifichiamo per ragioni di cosiddetta stabilità, ma l'aspirazione alla libertà, a partecipare al governo del proprio paese, allo sviluppo economico e civile, non è un privilegio degli occidentali, è un diritto sacrosanto di ogni essere umano sotto qualcunque cielo si trovi».Che «l'aspirazione alla libertà» accomuni ogni essere umano, e che per questo rappresenti una scommessa vincente, è la convinzione, vissuta come vera e propria fede, sulla quale il presidente George W. Bush ha rifondato la politica estera americana e incentrato i suoi mandati.
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