Il voto dei cittadini tedeschi non è che il frutto di una campagna giocata sulle paure degli elettori. Invece di chiedere un forte e preciso mandato riformista, Schröder ha colto due spettacolari rimonte a colpi di antiamericanismo e antiliberismo. Nell'arco di due legislature ne sono scaturite riforme timide e insufficienti, sotto lo scacco dei sindacati e dei lander orientali.
Lo scivolone più grave però avviene quando Boselli, nella fretta di incoronare Schröder re della socialdemocrazia europea, astro vivente cui i socialisti riformisti dovrebbero guardare seguendone gli esempi, si scorda che il cancelliere, fregandosene dell'unità della sinistra tedesca, si è rifiutato di governare sotto il ricatto dei suoi bertinottiani. Al contrario del centrosinistra italiano guidato da Prodi, Schröder una chiara scelta riformista l'ha fatta, anche se i frutti sono ancora poveri.
Così, quando l'intervistatrice ha osservato che «la SPD ha escluso un patto con la Linke» e chiesto se anche il centrosinistra intendesse «ridimensionare» il peso della sinistra massimalista, Boselli ha risposto che "per carità", qui Schröder non è da esempio, «noi dello SDI non abbiamo mai considerato marginali le sinistre radicali. Il problema non è quanto conta la sinistra radicale, ma è che la guida della coalizione deve essere improntata a una sfida riformista, la stessa che ha fatto Schröder». Ennò, è la cosa opposta di quella fatta da Schröder.
Molto meglio Gianni De Michelis su l'Unità, che da Schröder coglie la lezione più utile ai socialisti: «Il successo di Schröder ci aiuta», dice, ma proprio per il motivo disconosciuto da Boselli. Aiuta, «perché fa capire che si governa facendo scelte coraggiose, rifiutando l'alleanza con le componenti estremiste e massimaliste. Il contrario di quel che fa Prodi». Un concetto che De Michelis ribadisce, quasi a far intendere che solo in un centrosinistra non più alleato di Bertinotti ci sarebbe spazio per il Nuovo Psi e l'unità socialista.
«Ci pare che l'aggiunta dei radicali sia assolutamente coerente, ci aiuta a rendere più evidenti i contenuti. Il progetto deve apparire forte, per questo non basta dire che abbiamo fatto una scelta di campo. Noi questo campo lo vogliamo arare profondamente e cambiarlo. Ripeto, ci aiuta l'esempio tedesco, perché apparirà chiara la necessità di prendere le distanze dal massimalismo alla Lafontaine».Necessità che così chiara non deve apparire a Boselli, mentre nell'intervista di oggi al Corriere della Sera lo stesso Pannella afferma:
«Uno scontro tra sinistra liberale e sinistra neocomunista è necessario e salutare... La politica di Prodi e quella di Bertinotti sembrano le stesse della Confindustria: protezionismo e cassa integrazione, a spese di cittadini e disoccupati».«Prodi dovrebbe scaricare Bertinotti e vincere senza di lui, cosa per niente impossibile. Il problema non è vincere le elezioni ma governare il paese», conclude De Michelis, che sull'Avanti!, ma forse è solo tatticismo, sembra più aperto all'ipotesi che il Nuovo Psi lasci Berlusconi, mostrandosi capace di andare oltre alla patetica questione dell'unità socialista:
«Il problema non è, come dice Bobo Craxi in modo semplicistico, il cambio di campo, ma il modo in cui noi affrontiamo la questione dell'unità socialista e la questione di questa più vasta unità dei socialisti e dei Radicali, cioè di quell'area che chiamiamo laico-riformista. C'è un problema di autonomia e di identità, e mi fa piacere che mentre Bobo Craxi non lo coglie, Capezzone lo coglie».Il quale Daniele Capezzone:
«Ricordo ai compagni socialisti e agli amici laici e liberali che dobbiamo puntare a un fatto politico completamente nuovo. La questione dell'unità socialista rischia di incartarsi se affrontata con la testa rivolta all'indietro e con solo la speranza di riunire le famiglie socialiste divise».
1 comment:
Il discorso di De Michelis avrebbe senso soltanto se fosse già stata approvata la riforma in senso proporzionale della legge elettorale, e se nel nostro paese all'opposizione ci fossero tre partiti e non sette o otto.
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