Cossiga invece parla di integrazione «non imponendo» ai musulmani «la nostra cultura, non solo religiosa e filosofica, ma neanche politica e giuridica, ma al contrario riconoscendo e dando efficacia giuridica e spazi di agibilità alla loro specifica cultura». Si spinge fino a chiedere «una specifica legislazione in materia familiare, matrimoniale, e delle successioni», incurante di quanta disuguaglianza tra i coniugi e sopraffazione sulle donne ciò potrebbe legalizzare. Afferma che le nostre scuole pubbliche sono incompatibili con la cultura islamica e che quindi scuole islamiche dovrebbero essere «fondate, organizzate e gestite da quello che sarà il soggetto comune islamico "parte" del futuro accordo con lo Stato, e cofinanziate dallo Stato». L'unico limite sarebbe quello dell'insegnamento della Costituzione, senza - per carità - pretendere neanche la condivisione dei suoi principi. Cossiga invoca il riconoscimento della comunità islamica italiana «quale soggetto di diritto pubblico» e accetta, senza battere ciglio, il «monismo» che connota l'Islam, cioè proprio quella mancanza di separazione fra sfera civile e sfera religiosa che determina l'impossibilità di un processo di secolarizzazione delle società islamiche.
E' questo ciò che si intende per relativismo: per un malinteso spirito di tolleranza, permettere a una cultura di esprimersi a tal punto da creare un doppio binario giuridico e «consegnare fette dello Stato e della società - scriveva Magdi Allam - al controllo diretto o indiretto di movimenti e di Stati integralisti stranieri. Un controllo che non è soltanto religioso ma anche politico e finanziario».
L'errore sta nel cercare di integrare comunità invece che individui, nel trattare con esse privilegi concordatari ed extra-territorialità etnico-confessionali nelle nostre città, invece di garantire libertà e diritti ai singoli. La comunità diviene soggetto di diritti e oggetto dei benefici politically correct di sindaci solerti. Chiudendo un occhio e con la coscienza a posto, in nome di una malintesa tolleranza, sacrifichiamo sull'altare del relativismo la possibilità di una vera integrazione fondata su regole di convivenza civile condivise. Politiche pubbliche incentrate sul riconoscimento identitario di questo o quel gruppo rischiano di dar vita a società tribalizzate, frammentate, prive di centro politico, dove le comunità affermano la propria identità tramite il vittimismo, il risentimento, l'ideologia politica. Gli islamo-fascisti lo sanno e se ne approfittano.
Il pluralismo di per sé non è un valore, affermava Marco Pannella a Radio Radicale il 12 novembre scorso.
«Se multiculturalismo significa creare situazioni concordatarie con organismi detti rappresentativi di ambienti religiosi o altro, sono contrario. Il pluralismo è un valore che non ritengo tale, sono sulle posizioni di Martin Luther King: gli individui vanno tutelati nei loro diritti e quanto più sono negati, tanto più è un problema generale di tutti gli individui».Ieri il prefetto di Milano e il direttore scolastico regionale hanno invitato per dei negoziati il direttore della scuola islamica di via Quaranta e il presidente della moschea di viale Jenner, la più inquisita e collusa con il terrorismo in Italia. E' «un grave errore - denuncia Magdi Allam - individuare in chi ha violato la legge un interlocutore istituzionale dello Stato». E i 500 ragazzi egiziani?
«Se un italiano desse vita a un centro di formazione a un'ideologia religiosa o di altra ispirazione, sotto l'insegna di una scuola confessionale priva di alcuna autorizzazione, cooptandovi centinaia di ragazzi italiani sottratti alla scuola dell'obbligo, verrebbe sanzionato a norma di legge, insieme ai genitori».Concordiamo con Magdi Allam quando afferma che «un'autentica integrazione dev'essere intesa come un dovere, non un optional per chi risiede in Italia». Altrimenti si è dei turisti ed è tutta un'altra cosa.
In un recente editoriale per Notizie Radicali, Alessandro Tapparini affrontava il tema con realismo.
«E' fisiologico che la prospettiva della contaminazione appaia inquietante ai più se non avviene con certe "garanzie". Da che mondo è mondo, la comunità preesistente è disposta a "meticciarsi" solo in posizione dominante; e quella immigrante si vede regolarmente imporre un meticciato di tipo "soccombente". Le norme, le tradizioni, le abitudini di vita, le mentalità di cui gli immigrati sono portatori non vengono mai messe sullo stesso piano di quelle delle comunità preesistenti. Certo, la recente ideologia del "politically correct" vorrebbe il contrario: vorrebbe la neutralità, la "par condicio"; ed ecco il problema del "relativismo"».Anche negli Stati Uniti l'integrazione non è stata affatto indolore. La società fece ricorso a quella "religione civile" che qui troppo spesso macchiettizziamo, ma soprattutto gli immigrati dovettero in una certa misura cambiare lingua, regole, abitudini. Un processo che alla lunga fu accettato perché - come ricorda Michael Walzer nel saggio "What does it means to be an American" - si trattava di "sradicati", e per di più di "sradicati volontari", per i quali la concessione della cittadinanza era un dono, e l'americanizzazione una condizione tutto sommato accettabile. Negli ultimi decenni è cresciuto invece il rifiuto dell'integrazione e siamo passati a un sistema di identità separate "istituzionalizzate", garantite e sovvenzionate dallo Stato.
Osservando quanto il cattolicesimo, «almeno fino a cent'anni fa, somigliasse molto al fondamentalismo islamico di oggi», e ricordando quanto anticlericali fossero sovrani e governi europei nei secoli scorsi nel contrastarlo, contribuendo anche così agli enormi cambiamenti della Chiesa cattolica nel secolo scorso, Alessandro Gerardi su Notizie Radicali ha suggerito di applicare nei confronti dell'islam europeo altrettanto anticlericalismo intransigente di quanto siamo stati disposti e siamo tuttora disposti ad applicare nei confronti della Chiesa cattolica.
«Diffondere libertà e democrazia nei paesi mediorientali è quanto meno doveroso, ma ho paura che questo proposito rimarrà fine a se stesso almeno fino a quando non si avrà la forza di porre il musulmano qui, in Europa, di fronte alla scelta se essere fedele al Re o al Papa Re. Proprio come il cattolico cent'anni fa. Per far questo non serviranno certamente provvedimenti tanto clamorosi quanto demagogici, ma nemmeno le timidezze di chi teme di essere poco politically correct urtando con ciò la "suscettibilità" delle comunità musulmane».Non possiamo rinunciare, per necessità e dovere morale, alla Riforma per lo meno dell'islam europeo. A convincere i musulmani che vivono in Europa che attenersi al diritto positivo e al principio di separazione fra politica e religione non è apostasia.
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