«Le parole importano», scrive Friedman, soprattutto quando sono capaci di indottrinare alla jihad e di legittimare gli attentati terroristici. Nella nostra epoca l'informazione è globale, non ha più frontiere, e le parole rimbalzano da una società all'altra non senza provocare effetti sulle opinioni pubbliche. Senza ricorrere a censure o a tribunali, garantendo per intero la libertà d'espressione, a questa vanno collegate anche tutte le conseguenze che comporta. Occorre un sistema che non consenta ai «mercanti di odio» di evadere dalle proprie responsabilità.
Come ogni anno il Dipartimento di Stato Usa pubblica un rapporto sui diritti umani nel mondo, così dovrebbe pubblicare un rapporto sulla «guerra delle idee». Segnalare con maggior frequenza, ogni trimestre, vista la velocità e l'intensità degli avvenimenti in corso, coloro che, da ogni parte, si sono distinti nell'incitare alla violenza. L'obiettivo è di puntare i riflettori sui dieci migliori «mercanti d'odio», i quali spesso, una volta sotto i riflettori, negano quel che hanno detto in luoghi più riservati. Svergognarli di fronte all'opinione pubblica mondiale è l'obiettivo, nella convinzione che molti, «esposti alla luce», sostengano di essere stati fraintesi, si scusino, oppure si nascondano nel silenzio.
Nella lista dovrebbero rientrare anche coloro che giustificano i terroristi, giudicando gli attentati una legittima reazione alla guerra in Iraq, alla situazione in Medio Oriente, o più genericamente all'imperialismo, al colonialismo, al sionismo. Una lista di cui potrebbe far parte a pieno titolo anche Oriana Fallaci, che invece è sottoposta a un processo-farsa illiberale.
In sintonia con Friedman da noi leggiamo Angelo Panebianco, che invita a definire «una strategia nazionale di neutralizzazione dei predicatori di violenza e di chiusura dei centri in cui operano», prima di concedere il diritto di voto agli immigrati, altrimenti corriamo «il rischio che fior di estremisti fondamentalisti, nostri nemici mortali, diventino titolari di un diritto importante, solo perché qui da tempo e incensurati».
«Non basta espellere potenziali terroristi. Occorre intervenire anche sugli indottrinatori con misure simili a quelle che sta prendendo il premier britannico Tony Blair in queste ore. Ma non pare che esista ancora, in Italia, il consenso nazionale per arrivarci. Sarebbe terribile se il consenso emergesse solo dopo un attentato».No a un doppio binario giuridico. Ancora più severo Magdi Allam, che ci vede «culturalmente disarmati e politicamente inadeguati». L'Italia affronta la minaccia terroristica in superficie, «senza scardinare la "fabbrica dei kamikaze"... che si annida al di sotto e al di là delle linee rosse tracciate dalle nostre leggi e dalla nostra ingenuità». Dovremmo invece, «prendere atto di tre elementari ma dirompenti realtà»:
«La prima è che, piaccia o meno, è in corso una guerra mondiale scatenata dal terrorismo di matrice islamica. La seconda è che questa guerra interessa direttamente l'Europa, non solo in quanto bersaglio ma soprattutto in quanto roccaforte del terrorismo islamico. La terza è che questa guerra la si potrà vincere soltanto sradicando la "fabbrica di kamikaze", presente anche in Italia, che partendo dalla predicazione della "guerra santa", dall'indottrinamento alla fede del "martirio", all'arruolamento talvolta sui campi di Al Qaeda in Afghanistan, Pakistan e Iraq, sfocia nell'attentato terroristico vero e proprio».Ecco perché non bastano le recenti misure varate dal governo e occorre «punire l'apologia del terrorismo, l'equazione kamikaze uguale resistente, Jihad uguale resistenza...»
«E' necessario sanzionare la cospirazione contro la sicurezza dello Stato da parte di coloro che promuovono iniziative islamiche eversive. E' opportuno affermare, anche a livello internazionale, che il terrorismo suicida è un crimine contro l'umanità. In quest'ambito l'Italia non può più tollerare che talune moschee, centri islamici, scuole coraniche, siti Internet integralisti, centri di finanza occulta, operino al di fuori della legalità e siano portatori di idee e di attività ostili ai valori fondanti della società italiana. L'Italia ha il diritto e il dovere di riscattare alla piena legalità ogni palmo del proprio territorio. Per il bene di tutti, musulmani compresi».Proprio questo è l'ambito in cui i nostri modelli di multiculturalismo hanno fatto più danni. Stiamo legittimando un doppio binario giuridico. Anche recentemente e sotto l'onda emotiva degli attentati del 7 luglio a Londra, persino Tony Blair è incappato in un emblematico errore, rivolgendosi ai leader delle comunità islamiche britanniche affinché pronunciassero una fatwa contro il terrorismo, non rendendosi conto, così facendo, di legittimare una fonte giuridica parallela e inconciliabile con lo stato di diritto.
Così facendo, il governo di uno Stato sovrano ha di fatto attribuito ad alcuni cittadini, «in modo del tutto discutibile lo status di rappresentanti di una supposta "comunità islamica", percepita come un corpo a sé stante in seno allo Stato di diritto». In Europa le fatwa e la sharia, la legge coranica, sono tollerate come fonti di diritto, e il «clero islamico» come referente giuridico di ciò che i musulmani debbono fare o meno, attribuendo loro un potere che abbraccia la sfera della rappresentatività religiosa e politica, mentre in uno Stato di diritto dovrebbe vigere «un'unica legge che dovrebbe essere osservata da tutti i cittadini e residenti». Un potere che giustamente rifiutiamo alla Chiesa cattolica, contestando con solerzia ogni suo sconfinamento.
«E' mai possibile che i musulmani per condannare il terrorismo, il massacro indiscriminato di innocenti, i kamikaze di Bin Laden, debbano obbligatoriamente far riferimento e trarre una legittimità dal Corano? Chi ha detto che i musulmani non debbano invece, al pari di tutti gli altri cittadini, far riferimento alle leggi dello Stato laico e al sistema di valori fondanti della civiltà umana che salvaguardano la sacralità della vita di tutti?»
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