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Wednesday, July 13, 2005

La musica è sempre la stessa: stonata

L'orchestra del centrosinistra suona davvero una brutta musica. Sfasata e gracchiante. Da scappare dalla Hall. Il tema è sempre lo stesso, scrive in modo che più limpido non si può Angelo Panebianco sul Corriere della Sera:
«Come convincere quella parte di sinistra che non ci crede che una guerra internazionale è in atto dall'11 settembre e che il problema dell'Italia, insieme agli alleati occidentali, è riuscire a vincerla... le guerre si fanno con tutti i mezzi di volta in volta ritenuti necessari al fine di vincerle, e precludersi a priori l'uno o l'altro strumento significa conferire un vantaggio strategico al nemico».
L'Iran sarà la prossima cartina di tornasole. Sull'Iraq il centrosinistra non ha superato la prova affidabilità:
«Immaginando che fra meno di un anno l'opposizione di sinistra governi l'Italia c'è da chiedere ragguagli sulla sua politica contro il terrorismo islamista... Il problema che non ha avuto ancora risposte convincenti è cosa fare quando qualcuno ti dichiara guerra... Prendiamo l'Iraq. Essere stati contro intervento è una cosa, ma continuare a votare contro il finanziamento di una missione il cui compito è contribuire a stabilizzare il nuovo regime, è un'altra cosa...»
Riteniamo che anche dietro un certo uso del linguaggio si nasconda l'operazione politica e culturale di «negare il nemico». E' un grave errore, sottolinea Fiamma Nierestein su La Stampa:
«Dopo l'attentato a Londra, tutto a un tratto la "BBC" ha scoperto il sostantivo "terroristica": altrove, come in Israele e in Irak, si trattava sempre di "guerriglieri", "militanti", "attivisti", "combattenti", perfino "resistenti". E già ieri la TV inglese si è ricreduta: meglio chiamarli "bombers", attentatori».
In difesa del nominalismo, ma solo quando sotto-sotto c'è una divisione politica di analisi e strategie che occorre denunciare. Così come dimostra il tabù sull'uso dell'espressione guerra.

Guai però, a cadere nell'errore opposto, quello delle guerre di civiltà, di identità. «Forza e ragione» sono le armi per la vittoria, scrive Gianni Riotta sul Corriere della Sera, in una guerra dove non deve sembrare paraddossale affermare che «la nostra maggiore debolezza è la nostra più grande forza».
«La breccia più ampia nelle nostre mura è l'area più preziosa e l'arma che sembra spezzata si rivelerà infine micidiale. E la democrazia che ci rende vulnerabili agli attacchi, sono le nostre società libere, aperte, che permettono ai dinamitardi di nascondersi, muoversi, camuffarsi ma è proprio il dinamismo della libertà che dobbiamo mantenere. Se ci irrigidiremo in una società autoritaria non solo avremo perduto il bene prezioso che difendevamo, diventando simili al nemico, ma soprattutto smarriremo il libero scambio di informazioni che ci fa, dalla tecnica alla politica, più duttili».
Da nonviolenti occorre riconoscere ciò che anche Gandhi riconobbe, aggiunge Riotta:
«Non violenza e neutralità non servono in guerra, Gandhi la vinse perchè aveva davanti l'Inghilterra post-imperiale: contro Hitler il suo digiuno sarebbe finito in un lager».
Un'analisi che ci ha convinto come quella di Antonio Polito la ritroviamo in termini simili nelle parole di Fareed Zakaria su la Repubblica: «Gli attentati di Londra hanno mancato il loro scopo... La Gran Bretagna ha vinto». Due parametri ci indicano se stiamo vincendo o perdendo la guerra al terrorismo: l'andamento economico e la reazione del mondo islamico. Dopo anni di riluttanza a condannare gli attentati, questa volta i principali gruppi musulmani in Gran Bretagna li hanno criticati senza ambiguità di sorta e pare che lo stesso stia avvenendo nel resto di gran parte del mondo musulmano.
«Stanno arrivando lentamente ad ammettere che nel mondo islamico vi è una grande anomalia, che ha consentito ai musulmani di ordire teorie cospirative, di stigmatizzare gli altri per i loro problemi e, cosa peggiore di tutte, di giustificare una violenza assurda. Ora, però, le cose stanno cambiando».
Aggiungerei un terzo e un quarto parametro, su cui Zakaria non credo sarebbe d'accordo: 3) quanto siamo in grado di mantenere le nostre società aperte e libere; 4) quanto saremo capaci di esportare la democrazia in Medio Oriente.
Poi Zakaria va oltre. Ci dice che per capire «cosa vuol dire vincere» occorre accettare che gli attacchi terroristici nelle nostre città possono tendere allo zero, ma mai essere aboliti. «Vincere davvero significa prevenire gli attentati più gravi e rispondere bene agli altri». Mi sembra ovvio, ma non vorrei che da questa considerazione rientrasse l'opzione della "coesistenza".

In Italia è meglio diffidare di leggi speciali. Non sono giocattoli che possiamo maneggiare. Il perché ce lo spiega Filippo Facci su Il Giornale.
«Occorre diffidare di tutte le leggi varate sulla scia di temperature emotive: e difatti se c'è qualcosa che ha limitato le libertà dei cittadini, in questo Paese, sono proprio le norme liberticide e antimafia sorte agli albori degli anni Novanta dopo gli attentati e il clima che ricorderete, con la benedizione e la nostalgia, oggi, della sinistra togata che pure ricordiamo. L'ideona di equiparare antiterrorismo e antimafia sotto il coordinamento di una sola Superprocura nazionale, ora, ha eccitato gli animi: il berluscologo Marco Travaglio ha immediatamente proposto di farla guidare da Caselli ­ come no ­ sicché ha scritto col consueto stile sobrio: «Se Bin Laden ci aiuterà a ritrovare la ragione, e magari i mandanti delle nostre stragi, viva Bin Laden». Bin Laden è solo una copertura».
Un viaggio nella «fabbrica dei kamikaze» in Eurabia, è quello che ci offrono Magdi Allam e Guido Olimpio sul Corriere della Sera.

1 comment:

Anonymous said...

Credo che l'esasperazione del tatticismo pre-elettorale, con la desolante conseguente afasia politica del centrosinistra, sia il prezzo che pagano la leadership comunista prima, ed oggi quelle postcomunista e veterocomunista, a trenta e più anni di "predicazione" falsificata, distorsiva, omissiva ed ideologica alla propria gente, con tanto di errori riconosciuti dopo vent'anni (secondo la nota legge) ma quasi sempre a mezza bocca, nel libro che comprano in pochi, nel convegno dotto e ristretto per palati fini, nei corridoi delle direzioni di partito, ma senza neppure la diffusione larga e pubblicizzata di un "contrordine compagni".
Di esempi di doppia verità (responsabile da un lato, demagogica dall'altro) ce ne sono una tragica infinità anche oggi, in questi giorni pesanti.
Se la predicazione falsa ed ideologica è tipica di tutti i regimi totalitari ed assolutistici e di tutte le confessioni fondamentaliste e dogmatiche, l'altro elemento che le accomuna è il completo disprezzo per i discepoli, gli uditori, le masse e le folle che vengono condizionate e condotte. Il disprezzo per l'umanità che impunemente e fanaticamente viene ingannata, sedotta e strumentalizzata.