Ci è stata dichiarata guerra nel 1998 e tutti gli attacchi che abbiamo subito, o le azioni che abbiamo intrapreso, rientrano nell'unico evento-guerra, non ne possono essere la causa. L'intervento in Iraq può essere stata un errore, io penso che non lo sia per molte ragioni (evitare che un regime totalitario guidato da Saddam - con le sue potenziali armi e risorse - si unisse alla guerra contro di noi; avviare con uno shock i processi di democratizzazione nel Medio Oriente), ma certamente avremmo subito comunque gli attacchi del nemico. Questo Amato sembra averlo chiaro:
«Questa, nella sua anomalia rispetto al passato, è effettivamente una guerra. È una guerra combattuta con metodi non convenzionali, una guerra che ha però una pluralità di nemici. Il primo è la modernizzazione nelle stesse società islamiche, il secondo l’Occidente che da una parte è il portatore e l’esempio di questa modernizzazione, dall'altra manifesta quelli che ad un occhio religioso non solo islamico appaiono come i peccati di egoismo e di sfrenatezza portati dalla stessa modernizzazione. Terzo, diventa nemico colui nel quale anche sul piano religioso tutto questo viene identificato: i cristiani e gli ebrei... Solo un pacifista può dire: la guerra mai. E solo un nemico degli Stati Uniti può dire: mai al loro fianco. Entrambi rispetto alla guerra al terrorismo sbagliano: l’intervento militare può servire».Essere in guerra non significa né esserlo in un'accezione ottocentesca o convenzionale, né doversi esclusivamente affidare al momento bellico. Amato ammette che, per quanto riguarda la nostra risposta politica, «la promozione della democrazia nel mondo è una strategia essenziale». E' sbagliato invocare leggi speciali o emergenziali a prescindere dai loro contenuti, ma lo Stato deve organizzare la sua difesa dotandosi degli strumenti normativi e organizzativi che si rivelino adeguati alla specifica minaccia da fronteggiare, che prima di tutto va inquadrata nella esatta dimensione giuridica in cui lo stesso stato di diritto la pone.
Nel mio articolo per Notizie Radicali ho affrontato il problema del I Protocollo (1977) della Convenzione di Ginevra, che «lega le mani all'Europa» e non agli Stati Uniti. Il virgolettato non è mio, ma del quotidiano il Riformista, che sabato ha dedicato un articolo intero a questo tema emblematico rispetto alla comprensione della natura della minaccia e quindi delle misure di difesa.
«... rappresenta uno scudo al riparo del quale i terroristi possono agire con qualche garanzia giuridica nei nostri ordinamenti. In osservanza di quel Protocollo, i terroristi sono equiparati a tutti gli effetti a forze irregolari combattenti, alle quali si chiede di rendersi manifesti solo nel mentre stanno lanciando l'attacco armato o suicida. Ma al di fuori della flagranza di reato essi vanno trattati a tutti gli effetti come qualunque altro civile sospettato o indagato, senza alcun aggravio procedurale o cautelare che possa riguardare il loro arresto o il loro fermo, o le proprie garanzie di difesa».A mio avviso la situazione creata da questo protocollo è inaccettabile. Nato in un'epoca che non conosceva la minaccia terroristica che dobbiamo fronteggiare oggi, dopo l'11 settembre ("Da oggi il mondo cambia", ricordate questa frase in bocca a tutti noi?), di certo non era intenzione di allora tutelare l'impunità di coloro che sono a tutti gli effetti combattenti nemici. Ma per gli europei quella al terrorismo è una guerra, o è solo una minaccia tra le tante da affrontare nel quadro ordinario dell'ordine pubblico? Nel primo caso il I Protocollo va abbandonato e l'inchiesta della Procura di Milano ai 13 agenti della Cia archiviata; i terroristi che compaiono nelle liste dell'Onu non vanno assolti e rilasciati, né vanno pagati riscatti nel caso di sequestri. E così via.
Perché l'Europa è «sotto ipnosi»? Ha provato ha spiegarcelo Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera di ieri. Occorre richiamarsi all'esito «catastrofico che per l'intero continente è simboleggiato dalla seconda guerra mondiale», quando «andò distrutto per sempre l'enorme accumulo di conoscenze, di sensibilità e di esperienze - nonché di ambizioni per l'appunto - che legava da secoli la storia d'Europa e delle sue classi dirigenti alle vicende del globo».
«Le quali non sono più abituate a pensare in termini mondiali (con le conoscenze e la comprensione delle cose che ciò implica) e a pensare né se stesse né le loro società in una dimensione siffatta. Tutto così si è ristretto, si restringe, agli orizzonti casalinghi, mentre si perde la capacità e l'interesse di valutare i rapporti di forza planetari, si cessa di ragionare in termini di futuro, di proiettarsi sugli scenari a venire. A queste cose, tanto, ci pensano gli americani (al massimo con l'aiuto degli inglesi) per venirne poi ripagati con l'ovvia antipatia riservata ai più bravi».Per altro verso non fa più parte del nostro «universo storico-antropologico» l'esperienza dell'uso della forza. Da cosa viene riempito il vuoto determinato da questi fattori?
«L'Europa e le sue classi dirigenti si sono abituate - e seguitano ancor oggi a farlo - a riempirlo con il "politicamente corretto", con il pacifismo di principio, con l'elogio sempre e comunque del dialogo e del multiculturalismo, insomma con l'ideologia della democrazia in versione diciamo così buonista, "europea", si dice, per contrapporla a quella non buonista per antonomasia degli Stati Uniti. La quale però ha almeno il merito inestimabile di saper riconoscere i propri nemici, di chiamarli con il loro nome e di combatterli senza esitazioni».La sinistra? Facciamola uscire dal vicolo cieco in cui si trova per il voto sul rifinanziamento della missione in Iraq, poi non avrà più alibi.
2 comments:
Proprio a concetti come l'abbandono degli aspetti proceduralmente piu' speciosi (e favorevoli all'azione terroristica) della Convenzione di Ginevra mi riferivo nel mio post "Riflessioni in ordine sparso". Direi che abbiamo espresso concetti largamente coincidenti. Oggi ho ulteriormente ampliato (o sperato di farlo...) quei concetti:
http://phastidio.net/2005/07/11/reazione-istruzioni-per-luso/
"Non è un problema il voto sul rifinanziamento della missione: abbiamo già votato varie volte per il no, non dobbiamo tornarci sopra". L'ha detto Romano Prodi prima del vertice dell'Unione a proposito del voto che la coalizione esprimerà sul provvedimento di rifinanziamento della missione in Iraq.
"Il nostro no - conclude - deriva da una constatazione molto semplice, non siamo stati noi ad appiccare l'incendio, a mettere il paese in situazioni così complicate. Sto preparando la posizione che noi dovremo prendere quando saremo al governo, quando saremo noi a dover decidere su questo".
"Sto modellando la nostra posizione - continua Prodi - tenendo conto di tutti gli impegni istituzionali che sono previsti nella seconda parte dell'anno per l'Iraq. Considerando in particolare la scadenza del mandato Onu e di tutti gli elementi necessari per decidere una politica di lungo periodo". Lo ha precisato Romano Prodi commentando con i giornalisti la decisione di votare no al finanziamento della missione in Iraq ed annunciando la posizione dell'Unione sulla difficile situazione internazionale.
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