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Tuesday, July 26, 2005

Terrorismo anti-cristiano, ma non anti-israeliano

Dopo aver definito «anti-cristiani», espressione poi ritrattata, gli attentati terroristici, evocando una guerra di civiltà o in qualche modo religiosa che Giovanni Paolo II aveva sempre cercato di negare proprio nei suoi misurati interventi pubblici, Papa Ratzinger è incappato ieri in un'altra gravissima gaffe. Il Governo Sharon ha inoltrato una protesta formale alla Santa Sede, convocando il Nunzio apostolico a Gerusalemme perché il Papa domenica, dopo l'Angelus, nel condannare i recenti attacchi terroristici (Egitto, Turchia, Iraq e Gran Bretagna) non ha menzionato Israele, colpito da attacchi kamikaze a Netanya.

Nell'editoriale di oggi Pierluigi Battista attribuisce il fatto a «una banale dimenticanza, a un veniale errore diplomatico» e non facciamo fatica a credergli. Comprensibile però la reazione di Israele che «protesta ancora una volta contro un doppio standard morale e interpretativo...» Troppo spesso, «per i cittadini di Israele, la pietà dell'opinione pubblica mondiale sbiadisce e addirittura si dimezza». Per questo Israele «non può essere accusato di un eccesso di suscettibilità».
«Nell'oblio collettivo, allo Stato di Israele si fa fatica addirittura a riconoscere lo status di vittima di un terrorismo che, proprio come quello che compie i suoi massacri nei simboli della quotidianità occidentale, non si prefigge uno specifico e circoscritto e negoziabile obiettivo politico ma la distruzione esistenziale della stessa presenza ebraica organizzata in uno Stato. Una dimenticanza collettiva che è l'ultimo schiaffo morale alle vittime del terrorismo».
Condivisibile il commento dell'editoriale del Riformista di oggi.
«La guerra al terrorismo, ahinoi, non è ancora percepita e combattuta come una guerra che tutti i paesi e le religioni colpite devono combattere insieme... Non citare Israele o è frutto di un errore della segreteria di Stato - si tratterebbe del secondo, dopo quel giudizio sulle "bombe anticristiane" poi corretto - oppure è il segno di qualcosa di più profondo, di un'idea che pure circola nella mente di tanti occidentali, e che cioè il terrorismo anti israeliano sia in definitiva un'altra cosa da quello di Al Qaeda...»
Addirittura ieri il quotidiano di Polito rimproverava all'occidente di non affrontare il terrorismo in un'ottica "imperiale", seguendo il principio-guida dell'era globale: think globally, act locally. Il terrorismo islamista è maestro in questo e i risultati si vedono.
«Questo mondo senza imperi si trova ora davanti un nemico che fa esattamente ciò che la McDonald's consigliava ai suoi manager. Il terrorismo islamista pensa in termini globali e agisce su scala locale... Il terrorismo islamista è al momento la formula globalizzata di maggior successo, una delle poche organizzazioni umane in cui l'autonomia nazionale non è più un ostacolo all'azione comune. Gode dunque dei vantaggi di un impero; e, non avendo i complessi di colpa dell'Occidente, non nasconde l'ambizione di farsene uno vero e proprio: che cos'altro è, se non un Impero, il Califfato per cui si batte Bin Laden?
(...)
L'Occidente non dispone invece di una capacità di risposta imperiale, cioè sovranazionale... Finchè l'Occidente non rinascerà, rimettendo insieme americani ed europei di ogni nazionalità, l'imperialismo islamista avrà gioco facile e terrà in scacco anche quella parte del mondo musulmano che sarebbe volentieri amica dell’Occidente, se solo ce ne fosse uno».

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