Ci avevano spiegato, quelli che per combattere il terrorismo la-guerra-no e le-operazioni-di-intelligence-neanche, che la guerra in Iraq avrebbe scatenato le masse arabe contro gli americani e l'Occidente. Finora si sono viste enormi masse, o coraggiosi movimenti democratici, scagliarsi contro i loro regimi autocratici e corrotti che li opprimono e li impoveriscono.
Magdi Allam sul
Corriere della Sera ci racconta il vento nuovo che spira in Medio Oriente, oggi al Cairo.
«Centinaia di manifestanti hanno protestato davanti al tribunale dove ieri si è inaugurato il processo contro Ayman Nour, il leader del piccolo partito di opposizione Al Ghad (Il domani), che intende sfidare il capo dello Stato Mubarak alle prossime elezioni presidenziali in programma il prossimo ottobre. Altre centinaia di manifestanti hanno inscenato, per la prima volta, una protesta davanti al ministero dell'Interno contro le torture praticate nelle carceri. E come se gli egiziani stessero conquistando, giorno dopo giorno, il diritto a manifestare sfidando il divieto prescritto dallo stato d'emergenza in vigore ininterrottamente dal 1981. A dispetto di migliaia di arresti, intimidazioni e una feroce campagna stampa contro un'opposizione bollata indiscriminatamente come asservita agli interessi dell'America».
Ma ora, anche nei tribunali, oppositori come Nour o
Saad Eddin Ibrahim non giocano più sulla difensiva, passano al contrattacco. E persino i Fratelli Musulmani «hanno promosso un incontro, a cui hanno invitato la sinistra del Raggruppamento progressista, i liberali del Partito Wafd e il movimento "Kifaya" (Basta!), espressione di forze composite della società civile, per discutere la nascita di una "Alleanza nazionale per la riforma e il cambiamento"».
«Il processo che porta alla democrazia in Egitto - conclude Allam - non ha ancora varcato il Rubicone. Ma certamente tutti sanno, a partire da Mubarak, che indietro non si torna».
Indietro sembra non tornare neanche Israele, che ha intrapreso la strada del ritiro unilaterale da Gaza. La «riprova di una democrazia», l'ha definita
Ernesto Galli Della Loggia, ma non senza interrogativi: il governo riuscirà ad eseguire una decisione presa democraticamente? Entro quali limiti saprà arrestarsi l'opposizione dei coloni? Sarà necessario usare la forza? L'esercito obbedirà? Interrogativi inquietanti.
«Quel che è certo è che ancora una volta la società e le istituzioni israeliane sono chiamate a onorare il loro impegno storico verso la democrazia e come sempre devono farlo nella situazione più difficile, vale a dire nell'ambito del confronto con un avversario, quello palestinese, che, viceversa, della democrazia non si è mai curato troppo e che adopera il terrorismo come modalità abituale di azione... Ma Israele tuttavia sa che proprio nella democrazia sta la sua vera superiorità... Già nello sgombero del Sinai voluto molti anni fa da Begin, Israele mostrò che invece i suoi governi sono capaci sia di mantenere gli impegni presi sia di farsi obbedire dai propri soldati: vogliamo credere che anche questa volta sarà così».
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