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Friday, July 29, 2005

Alexis de Tocqueville e il liberalismo che vive

Tocqueville in una caricatura di G. Garcon«Si sono viste religioni intimamente unite ai governi terreni dominare le anime col terrore e con la fede; ma quando una religione contrae una simile alleanza, agisce come potrebbe farlo un uomo: sacrifica l'avvenire in vista del presente e, ottenendo un potere che non le spetta, mette a repentaglio il suo potere legittimo. Quando una religione cerca di fondare il suo impero soltanto sul desiderio dell'immortalità, che tormenta egualmente il cuore di tutti gli uomini, può aspirare all'universalità; ma, quando si unisce a un governo, deve adottare delle massime applicabili solo ad alcuni popoli. Perciò, alleandosi a un potere politico, la religione aumenta il suo potere su alcuni uomini, ma perde la speranza di regnare su tutti. (...) Fin tanto che una religione trarrà la sua forza dai sentimenti, dagli istinti, dalle passioni che si vedono riprodursi allo stesso modo in tutte le epoche, può sfidare il tempo. (...) Ma quando vuole appoggiarsi agli interessi mondani, essa diviene fragile come tutte le potenze terrene. Legata a poteri effimeri, segue la loro sorte e cade spesso insieme alle passioni passeggere che li sostengono»

In questi giorni ricorrono i duecento anni dalla nascita di Alexis de Tocqueville, il liberale autore del fenomenale "Democrazia in America", il cui significato e insegnamento sono di un'attualità sorprendente in molteplici campi. Il Corriere della Sera-Magazine ha fatto un'operazione interessante. Un articolo di Vittorio Zincone tenta di tracciare una galassia di politici, intellettuali, giornalisti tocquevilliani. Massimo Teodori, ex radicale, docente di storia degli Stati Uniti all'università di Perugia ed editorialista indica dei nomi che ci convincono:
«A parte Nicola Matteucci, che per me è il Raymond Aron italiano, ce ne sono pochi. Marco Pannella, il coltissimo Valerio Zanone, Giuliano Amato. Hanno familiarità con il filosofo francese anche Angelo Panebianco ed Ernesto Galli della Loggia. E poi c'è il Riformista. In quel giornale si respira aria liberal-democratica. Nel centro-destra invece non vedo molto spirito tocquevilliano».
La grafica della pagine mi lascia invece sconvolto: Tocqueville al centro, tutt'intorno ruotano i personaggi. I "Grandi Vecchi", ma non includerei mai Bobbio, gli "Accademici" (Galli della Loggia, Panebianco), il "Colto" Valerio Zanone, il "Trentenne", sacrosanto riconoscimento per Christian Rocca. Poi viene il brutto. Definire tocquevilliano Romano Prodi mi pare fra l'esilerante, il grottesco e l'irritante. Poi c'è Marco Pannella, categoria "Militante".

Definizione perfetta per un tocquevilliano, proprio se guardiamo all'etica del liberalismo dopo i suoi grandi teorici. Su il Riformista Corrado Ocone ha scritto che «liberalismo si fa, non si pensa: propriamente non esiste il liberalismo, ma solo i sempre nuovi problemi di libertà che il mondo pone. Tocqueville ci ha detto questo». Ed esattamente questo mi pare il liberalismo pannelliano, che in questi giorni trova un altro importante riferimento nelle parole di Benedetto Croce: «Il mio liberalismo è stato desiderio di alta lotta umana».

L'articolo che ha ricordato in modo più originale e completo il liberalismo tocquevilliano e in un certo senso la sua eccezionalità, incompresa in Italia, ma anche in Europa, è apparso su il Riformista, scritto da Dino Cofrancesco, che punta il suo riflettore su un aspetto centrale che serve anche alla nostra attualità in cui non si contano le pretese, confessionali o ideologiche, di monopolizzare l'etica pubblica, negando pari dignità morale ad altre visioni morali della vita, facendo un uso autoritario del diritto che non si preoccupa di oltrepassare i limiti e la dimensione propria dell'etica.

Quella tocquevilliana, spiega Cofrancesco, è la «caratterizzazione della democrazia in termini di registrazione degli interessi, dei valori, dei pregiudizi diffusi in una società storica determinata di contro alla visione, tipicamente europea, della democrazia come pedagogia collettiva, impegno a rendere gli uomini sempre più buoni e collaborativi grazie agli istituti e alle strategie dello stato etico».
«Democrazia significa chiedere alla gente che cosa vuole, non rifare l'anima a chi vuole ciò che non deve volere; il suo simbolo non è un mare in tempesta ma una piatta laguna».
E' questa visione che permette a Tocqueville di affermare che al contrario di quella europea la democrazia americana, «regno tranquillo della maggioranza», è il migliore antidoto contro le rivoluzioni, il cui esito è inaccettabilmente distruttivo.
«Ciò che s'intende per repubblica negli Stati Uniti è l'azione lenta e tranquilla della società su se stessa. E' una condizione normale fondata realmente sulla volontà illuminata del popolo. E' un governo conciliatore, in cui le risoluzioni maturano lungamente, si discutono con lentezza e si eseguono con coscienza.(...) Ciò che si chiama repubblica negli Stati Uniti è il regno tranquillo della maggioranza. (...) Ma, in Europa, noi abbiamo fatto strane scoperte. La repubblica, secondo alcuni di noi, non è il governo della maggioranza, come si è creduto fino ad ora, è il governo di coloro che si fanno garanti e interpreti della maggioranza. Non è il popolo che dirige in questa specie di governi, ma coloro che conoscono quale sia il vero bene del popolo, felice distinzione che permette di agire in nome delle nazioni senza consultarle e di reclamare la loro riconoscenza calpestandole. Il governo repubblicano del resto è il solo, al quale si debba riconoscere il diritto di fare tutto, e che possa disprezzare ciò che gli uomini hanno fino ad ora rispettato, dalle più alte leggi della morale fino alle elementari regole del senso comune».
Alla base una precisa idea della natura dell'uomo, precisa il professore:
«La Provvidenza ha dato ad ogni individuo, chiunque egli sia, il grado di ragione necessario perché egli possa dirigersi da solo nelle cose che lo interessano personalmente».

2 comments:

Anonymous said...

Ci si può girare attorno finché lo si voglia, ma in realtà la grandezza della lezione di Tocqueville risiede nella sua estesa applicabilità. Tant'è vero che la "prassi" liberale, a differenza di altre concezioni ideologiche, magari meticolosamente calibrate sul metro di una pretesa "scientificità", rimane attualissima ancora oggi. Ora, io non nego che il portato delle riflessioni tocquevilliane possa benissimo sposarsi con una visione anche estremamente laica della politica, ma nutro forti dubbi su un'appartenenza così definita come sembrerebbe emergere dal tuo post.
Lo studioso che codificò l'utilità pubblica della religione, l'esploratore dello spontaneismo cristiano d'oltreoceano, il teorico dell'impossibilità della democrazia senza religione si rivolge anche ai liberal-conservatori, non solo ai loro cari cugini mangiapreti. Soprattutto perché una lettura "palindroma" del suo messaggio porterebbe a ritenerlo un fautore della separazione tra Stato e Religione per proteggere la seconda dal primo, non necessariamente viceversa.

JimMomo said...

Sono d'accordo, la tirannia, non la democrazia può far a meno della religione.

Diciamo che auspico una riforma americana dei rapporti Stato-chiese in Italia. E che Tocqueville non dovrebbe essere contrario. Splendide le pagine in cui dice come in America religione e libertà abbiano camminato unite, mentre in Europa no.
ciao