«... considerare "qualunque atto preparatorio" al compimento di attentati evidenza che può condurre alla condanna penale per terrorismo: da noi la sola prova dell'intenzione di compierlo e dell'apprestamento di preparativi è stata rigettata dai giudici, poiché secondo il 270bis deve valere la flagranza o l'imminenza di un piano compiuto... la fattispecie dell'incitamento anche indiretto alla violenza a sfondo religioso, con una pena fino a sette anni di reclusione».E conclude:
«Per liberali convinti quali noi siamo è sempre viva la preoccupazione che le misure antiterrorismo non travolgano i fondamenti del nostro consorzio democratico. Ma il liberale non è un imbelle: deve sapere che a una minaccia straordinaria come il jiadismo si deve rispondere con misure adeguate. Affermare che l'Italia sia al riparo da tutto questo significa mentire o essere inadeguati al governo. Londra e Parigi hanno molto da insegnarci».Anche su Notizie Radicali oggi il dibattito si è arricchito di riflessioni molto pragmatiche e senza pregiudizi. Mi trova molto d'accordo l'approccio dell'articolo di Marco Cappato, perché è vero che in Italia la situazione è sempre grave, ma mai seria:
«L'alternativa sicurezza-libertà, posta in termini generici di principio, o è una banalità, oppure è un espediente per dare copertura ideologica "alta" a provvedimenti piccini... Quello che manca, sempre e comunque, nella sequela di proposte sulle misure d'urgenza da prendere contro il terrorismo, è un minimo di dati, di quantificazione dei problemi, di costi-opportunità per le soluzioni individuate... Sarebbe sbagliato rispondere con un "no" ideologico e preventivo... Quello che però non si può accettare - sotto il ricatto di chi punta il dito contro la "sottovalutazione del problema", il "relativismo culturale" e l'"ideologismo multiculturale" – è di comprare merce a scatola chiusa; soprattutto se quella merce è vecchia e stantìa di anni e di decenni... Il problema da porre non è, naturalmente, quello di risparmiare sulla sicurezza, ma di spendere nel migliore dei modi. Il banco di prova, dunque, lo si deve cercare confrontando le alternative».Ed ha ragione quando avverte che spesso il "siamo in guerra" è ormai espressione di isteria salottiera. Qui, su questo blog, speriamo di non aver abusato di espressioni gravi, conservando la necessaria lucidità.
Gu. Ve. si affretta a sgomberare il campo da alcuni luoghi comuni. Qualcuno nel tessere le lodi a Blair per la reazione misurata sua e degli inglesi agli attentati dimentica che il governo britannico si è già dotato di leggi molto speciali:
«Quanto alle leggi speciali, ce lo ricorda opportunamente Alessandro Gerardi, gli inglesi non le hanno varate perché non ne avevano necessità. L'avevano già fatto all'indomani dell'11 settembre: l'Anti-Terrorism, Crime and Security Bill ha introdotto per la prima volta l'internamento senza processo per quelle persone (straniere) sospettate di essere "terroristi". Si può essere rinchiusi in carcere fino a sei mesi. I "presunti terroristi" arrestati senza processo non hanno diritto a sapere in base a quali prove sono detenuti, i loro avvocati sono esclusi da parte delle udienze preliminari. Chiunque abbia informazioni "rilevanti" su qualche sospettato ha l'obbligo di comunicarlo alla polizia, pena essere lui stesso arrestato».Poi una disamina di alcune misure di cui in Italia si discute da tempo senza alcun risultato: ampi poteri agli agenti segreti; riforma dei servizi di sicurezza; superprocura; banca dati; esercitazioni.
Macché, il fatto è che in Italia quando si parla di nuovi organismi o nuovi poteri la discussione s'inceppa e prevalgono i retropensieri sui nomi e cognomi di chi sarà alla guida.
Originale il contributo di Michele Ainis su La Stampa, per il quale la apparente dicotomia sicurezza-libertà può trovare un equilibrio nella ricoperta dei doveri costituzionali.
«C'è però un anello, c'è una parola d'ordine capace di saldare libertà e sicurezza, restituendo fiato a entrambe. Essa passa attraverso un'opera di (ri)educazione civica, e passa dunque attraverso l'apertura d'una stagione dei doveri. Certo, qui da noi la parola suona alquanto impopolare. Non i doveri ma i diritti innervano la nostra qualità di cittadini, e infatti di diritti abbiamo fatto indigestione.
(...)
C'è una formula costituzionale che in queste ore dovremmo rileggere un po' tutti. È la formula dell'art. 2, dove riecheggia la lezione mazziniana. Vi si dice che la Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell'uomo, ma richiede altresì l'adempimento dei "doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale". Il dovere di difendere la Patria. Il dovere di partecipare con un voto alle elezioni. Il dovere di sostenere la spesa pubblica attraverso il versamento dei tributi. Il dovere d'essere fedeli alla Repubblica. Senza sconti, senza eccezioni».
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