Partendo dal «paradosso morale», dal caso esemplare di «eterogenesi dei fini» rappresentato dall'uccisione per errore di un individuo innocente da parte della polizia londinese, per capire come si può giustificare l'"errore" connesso al monopolio dell'uso della violenza riconosciuto a uno Stato non etico al fine di garantire la sicurezza della collettività, Piero Ostellino oggi sul Corriere della Sera individua un nodo fondamentale dell'epoca in cui viviamo.
Laddove la minaccia terroristica del fondamentalismo islamico si intreccia con la forte ripresa di concezioni etiche e autoritarie del diritto e della politica a casa nostra, «nell'attuale clima di restaurazione neospiritualistica», occorre ricordare il principio cardine dello Stato liberale che già «i padri del liberalismo avevano individuato e teorizzato», «riconoscendo un fondamento all'ordine politico e giuridico indipendente dalle religioni e dalle etiche». Il Contratto civile che è all'origine dello Stato e dei suoi poteri legittimi è «prestazione di servizi», non «missione etica».
La «naturalità» della condizione umana, ricordava Hobbes, è la lotta di tutti contro tutti. Perciò, il sentimento prevalente e immutabile nell'uomo è la paura della violenza, della fame, della morte. Per il liberalismo, l'ordine politico «buono» è, dunque, quello che riesce a sconfiggere (o ridurre) tale paura. La politica - in questa logica - è, allora, il Contratto civile che i cittadini hanno liberamente sottoscritto. È «prestazione di servizi», non «missione etica». Se si confondono i due piani, se l'etica diventa la sola giustificazione all'uso (o all'inibizione) della coercizione da parte delle istituzioni pubbliche, il solo risultato è che la giustificazione etica delle scelte collettive diventa più importante della capacità della politica di risolvere i problemi di un dato tempo e di una data natura. È questa l'ottica - che potremmo definire laicamente realista - dalla quale il governo britannico guarda al fenomeno terrorista e alla quale esso ispira ora la lotta che sta conducendo nelle strade di Londra dopo gli attentati, compresa la disposizione di sparare a vista e alla testa ai sospetti terroristi.
Lo stesso argomento viene utilizzato sempre oggi da Oscar Giannino su il Riformista, in una lucida analisi nella quale, fra l'altro, suggerisce di non illuderci: ci aspetta un agosto di sangue perché gli islamo-fascisti sono fermamente determinati a boicottare la stesura della Costituzione irachena e i nascenti rapporti fra il nuovo Iraq e gli Stati arabi confinanti, nonché il piano di ritiro unilaterale degli israeliani da Gaza, sostenuto anche dall'Egitto.
«La prima ragione contrattualista per cui uno Stato si legittima, tanto nella versione leviatanea di Hobbes quanto in quella protoliberale di Locke, è appunto per garantire la vita e i beni dei propri cittadini».Allora è vero, possiamo ancora dirci individualisti, liberali e libertari.
Angelo Panebianco ha invitato a riflettere sul fatto che «superata una certa soglia di insicurezza, attentati, morti, la libertà viene immolata al bisogno di sicurezza».
«Si sono sentite molte affermazioni perentorie sulla necessità di non sacrificare la libertà alla sicurezza. A tutti piacerebbe massimizzare insieme libertà e sicurezza ma chi dice che è possibile non ci ha ancora spiegato come... E' la domanda che Henry Kissinger ha posto sul Corriere: che ne sarebbe della libertà se ad esplodere a Londra, Roma o Parigi fosse una bomba nucleare? E' dall'11 settembre che sappiamo che una parte delle nostre libertà è destinata, per un lungo periodo, a essere compressa. Anziché fare affermazioni ideologiche non sarebbe meglio discutere pragmaticamente, punto per punto, provvedimento per provvedimento, sul cosa, il come e il quanto: quali aspetti della libertà accettiamo, si spera provvisoriamente, di sacrificare alla sicurezza e quali invece intendiamo difendere a tutti i costi?»A una discussione non ideologica ma pragmatica, su leggi anti-terrorismo forti ma non emergenziali, si è richiamato anche Marco Pannella:
«Certamente possono entrare a far parte della classicità garantista dello stato di diritto cose che in passato non sembravano compatibili e immaginabili, non abbiamo un idolo dello stato di diritto immutabile».
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