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Tuesday, September 06, 2005

La democrazia avanza in Egitto, non fermiamoci

Al Cairo si fa primavera, ma non basta una rondine

La certezza del vincitore, il pluralismo solo formale delle elezioni presidenziali che si tengono domani, il rifiuto di sottoporre il voto al monitoraggio di osservatori stranieri (anche se Mubarak ha permesso il controllo di magistrati e di attivisti della società civile) non autorizzano a parlare di rivoluzione democratica in Egitto. Il popolo non è ancora messo nella condizione di poter liberamente determinare il proprio futuro. Ma sarà «un passo in quella direzione», spiega Magdi Allam nel suo editoriale di oggi sul Corriere della Sera. La «svolta concreta», e la prova definitiva sulle intenzioni reali di Mubarak, potrebbe esserci alle prossime elezioni legislative previste a fine novembre.

Sarebbe disonesto non riconoscere che l'aria nuova che si respira in Egitto, come in gran parte del Medio Oriente, è ispirata dall'abbattimento del regime di Saddam, e dal processo democratico in corso in Iraq, e sostenuta dalla strategia dell'America di Bush, che ha deciso di impegnarsi a fondo nella democratizzazione del Medio Oriente.

I 19 giorni di campagna elettorale, per quanto brevi, per quanto difettosi di esperienza, sono stati uno dei momenti di maggiore libertà di espressione mai vissuti in questo paese da 24 anni represso dalle leggi speciali. Il presidente Mubarak, che ha promesso tutto il desiderabile, si è presentato per la prima volta agli elettori, soprattutto ai giovani, con un nuovo look più moderno, che richiama la speranza nel futuro e il carattere nazionale del suo potere.
«Dà un colpo agli islamici e uno ai liberali ammonendo dal rischio del caos qualora gli si mettesse fretta in un processo di democratizzazione che lui vorrebbe pilotare e ammansire. Ma ormai all'interno e all'esterno del Paese cresce l'opposizione a una strategia che ha finora individuato in Mubarak il "male minore". La parola d'ordine "Kefaya!", Basta!, riecheggia sempre più forte».
«Elezioni farsa», denuncia il sociologo dissidente egiziano Saad Ibrahim, ma in compenso, come molti altri intellettuali, è convinto che ormai sulla via del processo democratico «non si torna indietro».

JimMomo tifa per Ayman Nour, ma non gli dispiace anche Noman Gomaa. In bocca al lupo. Comunque vada, il futuro è loro.

La battaglia dei giudici. Andiamo a vedere cosa dicono alcuni blogger egiziani. Sandmonkey racconta che le ong hanno chiesto di monitorare le elezioni; la commissione elettorale centrale ha naturalmente risposto di no; i giudici di sì. Un paio di mesi fa, circa 4 mila giudici avevano chiesto di poter monitorare l'intero processo elettorale, non solo le operazioni di voto ai seggi, ma anche quelle di scrutinio, dove avvengono i veri brogli, a urne chiuse. Questa è la fase che ong e giudici vogliono monitorare, ma il governo non vuole permetterglielo.

Baheyya ci fa sapere che venerdì scorso l'associazione dei magistrati egiziani, dopo sei ore di riunione, sostenuta da decine di dimostranti all'esterno, ha preso alla fine la tanto attesa decisione: i giudici, anche quelli in maggior dissenso verso il regime, monitoreranno le elezioni. Ma ha anche stabilito tre condizioni che contraddicono esplicitamente le direttive della commissione elettorale centrale: 1) i giudici permetteranno la presenza di attivisti della società civile, dei watchdog e delle ong; 2) i giudici consegneranno copie dei calcoli elettorali ai delegati dei candidati; 3) i giudici cui è stato impedito di partecipare al monitoraggio costituiranno una loro commissione di controllo e gli verrà consentito di monitorare ugualmente le operazioni di voto tramite l'ingresso ai seggi.

Su Arabist.net sondaggi assai meno scontati delle previsioni "ufficiali" della vigilia.

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