Riguardo l'esito destabilizzante delle elezioni politiche in Germania, un editoriale che può servire da spunto per alcune riflessioni è quello di Antonio Polito su il Riformista.
Anche alla luce dei due paginoni pubblicati sabato all'indirizzo di Fassino, l'editoriale di oggi può essere interpretato come il tramonto (per ora?) della suggestione per il Grande Centro che aveva catturato il cuore del quotidiano di Velardi non molto tempo fa. Rutelli e Casini sembrano ormai degli ex «beniamini». Ora invece, il centro viene evocato come spazio politico che la sinistra, i Ds in particolare, dovrebbe colonizzare all'insegna del riformismo, contendendolo proprio alla Margherita di Rutelli. Una sorta di rincorsa al clintonismo. Tutt'altro modo di parlare del "centro".
Nel merito dell'analisi delle elezioni tedesche, non sarei così certo del fatto che la Germania sia «cosciente che il modello tedesco va cambiato». Il voto dei cittadini tedeschi non è che il frutto di una campagna giocata sulle paure degli elettori. Schröder ha mostrato di certo i suoi «attributi», ma quanto «al posto d'onore nel pantheon dei riformisti» al fianco di Blair sarei molto più cauto. Invece di chiedere un forte e preciso mandato riformista, ha colto due spettacolari rimonte a colpi di antiamericanismo e antiliberismo. Nell'arco di due legislature ne sono scaturite riforme timide e insufficienti, sotto lo scacco dei sindacati e dei lander orientali.
Da questo punto di vista, più convincenti Franco Venturini sul Corriere della Sera, «hanno vinto le paure incrociate del declino economico e della perdita dello Stato sociale», e Il motel dei Polli Ispirati, per il quale queste elezioni descrivono la «pancia dell'Europa», il rigurgito illiberale già venuto fuori con la bocciatura da parte francese del referendum sul nuovo trattato costituzionale europeo.
Davvero miope e opportunista, la sinistra italiana festeggia quel 50% raccolto dai cugini tedeschi, ignorando che lassù Schröder se ne frega dell'unità della sinistra e che si rifiuta di governare sotto il ricatto dei suoi bertinottiani. I "nostri" non hanno ancora compreso, o fanno finta di non comprendere, una delle poche lezioni dell'esperienza di Schröder: «Le elezioni non si fanno solo per vincere, si fanno anche per governare». In questo senso, solo in questo, per aver alzato «una barriera alla sua sinistra», possiamo affermare che il cancelliere uscente si sia conquistato il titolo di «riformista».
Tuttavia, pur rifiutando il «ricatto elettorale dell'estremismo» di Lafontaine, colonizzare il centro è proprio ciò che non è riuscito a Schröder, il quale, esattamente come la sinistra italiana, senza bertinottiani non è nelle condizioni di governare. Essere «disposto a perdere voti a sinistra per recuperarne almeno una parte al centro» è la sfida maggiore di ogni politica riformatrice, ma dovremmo sempre tenere presente che esistono due tipi di centro: la palude dei "moderati" (esaltata dal sistema proporzionale), che coagula spinte consociative e interessi corporativi; e il "centro" dei riformatori (possibile con il maggioritario), che fa appello agli elettori più "ragionevoli" dei due schieramenti.
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...ma dovremmo sempre tenere presente che esistono due tipi di centro: la palude dei "moderati" (esaltata dal sistema proporzionale), che coagula spinte consociative e interessi corporativi; e il "centro" dei riformatori (possibile con il maggioritario), che fa appello agli elettori più "ragionevoli" dei due schieramenti.
E' VERISSIMO considerando, per esempio, LE DIFFERENZE TRA IL CENTRO LIBERALE DEL REGNO UNITO E QUELLO POST-DC ITALIANO.
http://simplicissimus.blogs.com/lr/2005/09/riforme_vere_e_.html
Ciao
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