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Tuesday, August 17, 2010

Carta e prassi impongono di non tradire il responso delle urne

Errore da parte del Pdl alzare il livello della polemica con il presidente Napolitano (che comunque alla prova dei fatti difficilmente autorizzerebbe "ribaltoni"), contribuendo tra l'altro ad alleggerire la pressione su Fini. Ma nel merito ineccepibile, e prim'ancora legittima, la posizione: in caso di crisi ritorno alle urne, no governi tecnici. Napolitano invece continua a sbagliare su Fini. Innanzitutto, perché balza agli occhi il suo doppio standard: silenzio, nemmeno una parola, mentre per due anni un'altra istituzione è stata oggetto di campagne d'odio e veleni prive di fondamento. E poi perché invece di difendere il presidente della Camera, dovrebbe porsi egli stesso il problema dell'incompatibilità del suo ruolo politico con la carica che ricopre, che in caso di crisi potrebbe rivelarsi per il Colle motivo di imbarazzo. Napolitano sbaglia anche a pretendere da chi comunque sarebbe chiamato a consultare (il presidente del Senato e i partiti di maggioranza) di non esprimersi sul da farsi in caso di crisi. E in ogni caso, dovrebbe quanto meno riprendere anche chi altrettanto irresponsabilmente evoca governi tecnici senza l'appoggio dei partiti di maggioranza, Pdl e Lega. Invece, i suoi moniti di questi giorni nei confronti di chi prospetta in caso di crisi il ritorno alle urne come unica soluzione sembrano di fatto aver legittimato speculazioni circa la possibilità di dar vita ad un "governo tecnico" sostenuto dagli attuali gruppi di opposizione e dal neonato gruppo "finiano", contro la volontà dei partiti usciti vincitori dalle urne.

Mentre ci si divide su "costituzione formale" e "costituzione materiale", ci si dimentica che non è solo l'evoluzione in senso bipolare e maggioritario del nostro sistema politico, ma sono la Costituzione e la prassi vigenti anche prima di essa a richiedere il rispetto della sovranità popolare. Anche durante la Prima Repubblica, infatti - quando le coalizioni di governo nascevano solo dopo e a seguito del voto, e non si presentavano dinanzi agli elettori prima, e quando nell'arco di una stessa legislatura si susseguivano più governi - la volontà degli elettori è stata sempre rispettata, nel senso che mai dopo una crisi i partiti di maggioranza si sono ritrovati marginalizzati all'opposizione e quelli dell'opposizione al governo. Mai un presidente della Repubblica ha permesso la nascita di un governo sostenuto in Parlamento da una nuova maggioranza che grazie alla fuoriuscita di alcuni deputati e senatori dai loro rispettivi gruppi potesse fare a meno dei partiti che avevano vinto le elezioni. Mai nella storia della Repubblica si sono verificati cosiddetti "ribaltoni".

Insomma, è vero che il voto anticipato non può essere l'unico sbocco di una crisi, che il potere di scioglimento delle Camere spetta al presidente della Repubblica, sentiti i loro presidenti, e che i governi sono legittimi se ottengono la fiducia del Parlamento in carica, ma anche vero che mai nella formazione di nuovi governi in una stessa legislatura è stata "tradita" la volontà degli elettori. Nella Prima Repubblica, durante una crisi, partiti minori potevano decidere di entrare o uscire dalla coalizione, ma i nuovi governi erano sempre guidati dal partito di maggioranza relativa, la Democrazia cristiana, e molto spesso espressione anche della medesima coalizione di partiti. Sempre il presidente del Consiglio incaricato apparteneva alla Dc (tranne in un caso, quando nel 1981 a succedere a Forlani fu Spadolini, comunque esponente di un partito della coalizione di maggioranza). Per quanto riguarda la storia più recente, nel 1993, nel corso della XI legislatura, il governo Ciampi sostituì il governo Amato, ma con il sostegno dei medesimi partiti (Dc-Psi-Pli-Psdi). Il tentativo fu piuttosto quello di allargare la maggioranza ad alcuni partiti di opposizione, con l'ingresso al governo di ministri del Pds e dei Verdi. Ma a seguito della mancata concessione, da parte della Camera dei deputati, dell'autorizzazione a procedere nei confronti di Bettino Craxi, appena un giorno dopo il giuramento del governo Pds e FdV ritirarono i propri ministri, che furono sostituiti da personalità indipendenti.

Anche il governo Dini (gennaio 1995 - maggio 1996), alla cui esperienza è legato il termine "ribaltone", non nacque tuttavia contro la volontà dei partiti che facevano parte della coalizione del governo Berlusconi I, uscita vincitrice dalle urne il 27 marzo del 1994. Fu l'operazione che più si avvicinò, soprattutto con il passare dei mesi, all'idea di "ribaltone", ma va tenuto presente l'iniziale via libera di Berlusconi (dietro garanzia di Scalfaro che si sarebbe presto tornati alle urne), il voto di fiducia della Lega Nord, e il fatto non secondario che il presidente del Consiglio incaricato era una figura di primo piano del governo Berlusconi I (l'allora ministro del Tesoro Dini). Nel corso della XIII legislatura anche Romano Prodi fu vittima del cosiddetto "ribaltone", ma i tre governi che gli successero (D'Alema, D'Alema II, Amato II) nacquero per iniziativa della forza che aveva vinto le elezioni, l'Ulivo, che riuscì ad allargare la propria maggioranza da un mero appoggio esterno da parte di Rifondazione comunista agli scissionisti del Pdci, all'Udr e ad alcuni indipendenti.

Oggi qualche insigne giurista, con la scusa di difendere le prerogative costituzionali del capo dello Stato e del Parlamento, sembra voler legittimare un'operazione spericolata e mai nemmeno ipotizzata proprio sulla base della Costituzione formale e di una prassi consolidatasi ben prima della discesa in campo di Berlusconi: immaginate se da presidenti della Camera un Gronchi o un Leone avessero potuto uscire dalla Dc, fondare propri gruppi parlamentari autonomi e dar vita a un governo insieme al Pci, in base al fatto che il presidente della Repubblica può incaricare chiunque sia in grado di ottenere una qualsiasi maggioranza in Parlamento e che i parlamentari non hanno vincolo di mandato... Evidentemente non è proprio così che si può interpretare la nostra Carta, anche laddove recita che «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

8 comments:

Cachorro Quente said...

"Nella Prima Repubblica, durante una crisi, partiti minori potevano decidere di entrare o uscire dalla coalizione, ma i nuovi governi erano sempre guidati dal partito di maggioranza relativa, la Democrazia cristiana, e molto spesso espressione anche della medesima coalizione di partiti."

A una crisi di governo deve susseguire una reazione del governo. Il PDL, un partito autocratico e privo di democrazia interna, e pertanto rigido, si sta mostrando inadeguato nello svolgimento di questa funzione, evidenziando una capacità di "governance" inferiore a quella dei governi della Prima Repubblica - il che è tuttto dire -.

Sono d'accordo con te che un governo PD - finiani (posto che non reggerebbe numericamente) sarebbe, di fatto, un ribaltone e un vulnus alla democrazia (non mi pronuncio per ignoranza sulla costituzionalità).

Ma la pretesa della maggioranza di escludere qualsiasi alternativa al voto è non solo arrogante nella forma, ma anche illegittima nel merito.

E' emblematico che nessuno abbia ipotizzato la soluzione più ragionevole all'impasse attuale: un nuovo governo, sostenuto dall'attuale maggioranza, finiani compresi, con premier diverso da Berlusconi. Ma questa, ovviamente, è lesa maestà. Solo a scriverlo nei commenti di questo blog rischia che domani mi trovo la foto sulla prima pagina del Giornale.

Anonymous said...

Indovinello: in quale articolo di legge sta scritto il seguente comma?
"I partiti o gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione, che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale, nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro, indicata come unico capo della coalizione. Restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della repubblica previste dall’art. 92, secondo comma, della Costituzione"

Anonymous said...

Ancora con questa storia sul conflitto di interessi di fini.
Casini ha fatto il presidente della camera, pur essendo il leader dell'UDC.
Bertinotti Idem, ha lasciato le sue cariche ma è rimasto il punto di riferimento del suo partito. E' ovvio che non sarà fini a rappresentare il gruppo parlamentare che pure a lui farà riferimento.
E' ridicolo venire a fare le pulci a Fini perché non è allineato con Berlusconi... il ruolo di presidente della camera è ruolo di GARANZIA per TUTTO il parlamento.

PS: visto che Punzi hai parlato di modo "oltraggioso e incostituzionale" in cui fini interpreta la sua carica, gradirei vedere il passo della costituzione che sta venendo calpestato.
Altrimenti temo che tu stia usando parole a sproposito
Saluti

Jean Lafitte said...

" immaginate se da presidenti della Camera un Gronchi o un Leone avessero potuto uscire dalla Dc, fondare propri gruppi parlamentari autonomi e dar vita a un governo insieme al Pci, in base al fatto che il presidente della Repubblica può incaricare chiunque sia in grado di ottenere una qualsiasi maggioranza in Parlamento e che i parlamentari non hanno vincolo di mandato..."

piccolo particolare : la Dc era un partito, il Pdl no. la volontà popolare non può essere rispettata perchè la volontà elettorale è stata truffata laddove si è votato come partito un entità che partito non era. ed si è votato un programma che è anni luce lontano quello che il regime sta facendo. un regime salito al potere grazie a una legge "porcata" anticostituzionale e antidemocratica.
ergo nessuna volontà popolare è stata realmente espressa, si deve andare alle urne, ma solo dopo aver messo in piedi una legge elettorale democratica e costituzionale.

Anonymous said...

i cittadini non eleggono un governo, ma i loro rappresentanti in parlamento che esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato come stabilito dalla costituzione (art. 67). Sono cioè liberi di dare la fiducia a un governo e nessun elettore può pretendere niente anche perché l'art. 68 spiega che i membri del parlamento non possono essere chiamati a rispondere dei vori dati nell'esercizio delle loro funzioni.
Detto questo, visto che la democrazia è rappresentativa, e la forma di governo è parlamentare, se il presidente della repubblica cercherà un'altra maggioranza all'interno del parlamento e dovesse trovarla nel gruppo sinistre+udc+finiani, la maggioranza del paese sarebbe rappresentata. Punto.
Pino Silvestro

Anonymous said...

domandiamo a tutti questi ligi garanti della costituzione formale, cosa avrebbero fatto e detto a parti invertite?

Se, per esempio, ai tempi della caduta dell'ultimo governo Prodi, dopo che Napolitano avesse dato un incarico ad un autorevolissimo soggetto, Mastella e Company si fossero dichiarati disponibili ad un governo col berlusca?

Anonymous said...

A parte che le elezioni nel 2008 le ha reclamate Berlusconi, ma che caspita di argomento è? C'è sempre qualcuno di peggio, ma ciò non giustifica nessuno.
Comunque tanto per uscire dalle discussioni teoriche, consiglio di leggere il post di Oscar Giannino, che come al solito si dimostra lucido.

Jean Lafitte said...

a parte che non si può ragionare "a parti invertite" perchè non si può certamente dare la stessa dignità dei partiti democratici ai nani e alle ballerine(escort).
comunque il nano ci avrebbe pure provato, ma non aveva i numeri. i numeri per fare invece allora un governo tecnico c'erano però... però... questo è il vero grande "mistero" degli ultimi anni della politica italiano. ma era chiaro fin dall'inizio che questo governo non sarebbe durato un'intera legislatura e che la legislatura stessa non sarebbe arrivata a conclusione.