Ci hanno messo una settimana e hanno partorito il tipico "topolino", ma meglio tardi che mai. Il pacchetto di sanzioni varate dall'Onu e dall'Ue contro Gheddafi sono davvero il minimo sindacale per quanto sta avvenendo: blocco della vendita di armi ed espulsione della Libia dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (e ci mancherebbe altro); blocco di visti e beni; denuncia alla Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità. Ma di concreto? Da una parte, si continua a parlare con troppa timidezza di una "no-fly zone", mentre sarebbe vitale, e urgente, perché le incursioni aeree del regime indeboliscono, quasi annullano, gli sforzi dei ribelli su Tripoli, dando tempo al Colonnello di riorganizzarsi. Dall'altra, l'accenno alla strada dell'«esilio» per Gheddafi, e il contemporaneo, ed esibito, «riposizionamento» di forze navali e aeree americane vicino alle coste libiche, suonano come un ultimatum da parte degli Stati Uniti: se lasci adesso, ti lasciamo andare. Altrimenti, nemmeno l'opzione militare (nonostante le opportune smentite per non fomentare allarmismi e nazionalismi) è da scartare.
In effetti, nessuno può permettersi di rischiare uno stallo della situazione in Libia. Perché più passano i giorni, più Gheddafi può sperare di restare al potere causando altre carneficine; è improbabile, ma se poi dovesse davvero recuperare il controllo del Paese, allora cambierebbe la sua musica nei rapporti con l'Occidente; più passano i giorni, più l'instabilità rischia di avere effetti seri sull'economia mondiale; più passano i giorni, più aumentano le possibilità di danni gravi e permanenti alle infrastrutture petrolifere e di gas, nonché di derive islamiste. Laddove noi italiani siamo ancora come paralizzati dall'imbarazzo per la nostra "amicizia" interessata con il raìs, a Washington sono più smaliziati e cinici. Non importa quale fosse la politica estera di Obama appena ieri; oggi le parole della Clinton sono emblematiche: «Noi dobbiamo sostenere la transizione nel mondo arabo: questo deve essere il nostro imperativo». Hanno capito di non potersi sottrarre a questa missione, perché è troppo vitale per i nostri interessi e la nostra sicurezza; e perché non c'è nessun altro che può guidarla se non l'America.
Dunque, è ora anche per noi italiani di conquistare consensi tra i libici che cercano la libertà e con i quali probabilmente in un futuro prossimo dovremo avere a che fare. La questione dei profughi (la temuta ondata verso l'Italia per ora non si è verificata) non può essere affrontata come un'invasione da respingere, ma come un'emergenza umanitaria; finalmente si parla di «contatti» con i leader della rivolta, ma l'Italia dovrebbe sbrigarsi a denunciare formalmente il trattato di amicizia firmato con Gheddafi dichiarandosi disponibile a siglarne uno identico con un governo legittimo.
Riguardo l'eventualità di un intervento armato l'Occidente è ancora in soggezione. Se non fosse "multilaterale", autorizzato dall'Onu e sostenuto da truppe di Paesi africani e musulmani - si teme - provocherebbe, in Libia e nel resto del mondo arabo, risentimenti antioccidentali, ricompatterebbe i regimi al potere. Ciò che ancora si stenta a credere è che invece è più vero il contrario: gli arabi che si sono mobilitati in queste settimane e che si impongono sempre più nei loro Paesi come nuovo soggetto politico con cui d'ora in poi i governi dovranno fare i conti rimproverano all'Occidente la sua amicizia con i dittatori che da decenni li opprimono. Certo, quei dittatori e gli islamisti sarebbero pronti a denunciare un intervento Nato in Libia come un'aggressione, ma la verità è che una spallata definitiva al regime di Gheddafi sarebbe il segno più tangibile (anche se tardivo) che l'Occidente è passato dalla parte dei popoli.
Gheddafi prova a resistere e il tempo gioca tutto a suo favore, per questo occorre agire in fretta. Cerca di riconquistare il sostegno delle tribù che gli hanno voltato le spalle, e in particolare di quelle che possono assicurargli il controllo delle risorse energetiche; e dovrebbe dirci più di qualcosa il tentativo del Colonnello di coinvolgere l'Onu. La sua richiesta di «una missione in Libia per verificare la situazione» (no, vi prego, gli "ispettori" no!) non fa che confermare come l'Onu sia ormai lo strumento preferito di dittatori in difficoltà per prendere tempo. Anche Gheddafi cerca di impantanare l'Occidente nei riti burocratici del Palazzo di vetro. Insomma, un Gheddafi che riprende il dialogo con le tribù e apre all'Onu mette a dura prova la determinazione occidentale e rischia di bloccare sul nascere il tentativo di Obama di tenere unita contro di lui la comunità internazionale.
1 comment:
Ora tocca al Venezuela?
http://coriintempesta.altervista.org/blog/ora-il-venezuela/
Post a Comment