Il Giappone si era preparato allo "jishin" per decenni. Nessuna società al mondo è più preparata: tecnologicamente ma anche e soprattutto culturalmente. Il rispetto e la disciplina hanno salvato la vita probabilmente a un milione di persone. Se è scritta nel nostro destino una catastrofe del genere, preghiamo di trovarci in Giappone in quel momento.
Purtroppo però, di fronte a una tragedia simile stiamo assistendo da una parte ad uno tsunami di vere e proprie banalità, luoghi comuni sui giapponesi, quasi "disumanizzati" proprio per quel rispetto e quella disciplina, scambiati per insensibilità; dall'altra a strumentalizzazioni senza ritegno sul nucleare civile nel nostro Paese. Solo di questi miserevoli dibattiti siamo ormai capaci evidentemente nella nostra Italietta.
Si sono dipinti come insensibili i giapponesi solo perché non abbiamo visto scene di disperazione né grandi mobilitazioni di volontari; insomma, solo perché i media nipponici hanno il pudore di non lucrare sul dolore altrui per alzare i propri ascolti, come invece accade nei nostri salotti televisivi. E comunque, passati i primi giorni, quando la zona più colpita era davvero irragiungibile, stanno arrivando fino a noi, a soddisfare la nostra morbosità, le prime immagini degli sguardi angosciati e persi nel vuoto dei sopravvissuti.
Guai a scambiare la compostezza dei giapponesi per insensibilità, indifferenza alla vita umana, cinismo ed egosimo. Quella compostezza è espressione di una specifica cultura del rapporto uomo-natura, che comprende sia l'accettazione piena delle sue forze, e della morte umana, come componenti insopprimibili del ciclo della vita, sia il dovere di reagire alle avversità senza perdersi d'animo. Ma è anche un'esigenza molto pratica: il panico e la disperazione non aiutano a salvare se stessi né gli altri. E talvolta, specie in presenza di tali immani catastrofi (con tutto il rispetto, non siamo di fronte all'alluvione di Firenze), anche le migliori intenzioni rischiano di ostacolare i soccorsi.
Il rischio che una catastrofe nucleare si sommi a quella naturale è alto, ma ciò non giustifica il vero e proprio sciacallaggio di quanti in queste ore cavalcano la comprensibile emotività dell'opinione pubblica per lanciare la propria campagna referendaria antinuclearista. Non commettiamo lo stesso errore del 1987, quando per la criminale negligenza sovietica a Chernobyl perdemmo qui da noi il treno del nucleare.
Numerose centrali nelle regioni colpite dal sisma e dallo tsunami hanno retto e l'unica che sta avendo problemi seri è stata progettata negli anni '60 ed è in funzione da quarant'anni. E' ovviamente lecito, anzi auspicabile, che quanto accaduto e sta accadendo serva da lezione per perfezionare ulteriormente gli standard di sicurezza, anche in situazioni limite, e che spinga a chiudere celermente le vecchie centrali, ma non ha alcun senso concludere dalla tragedia giapponese che il nucleare non fa per noi.
2 comments:
Che te ne pare di Alemanno che ne ha approfitatto subito per fare propaganda negativa alla candidatura giapponese alle Olimpiadi cui concorre anche Roma?
Malissimo. Si occupasse dei problemi della città: sicurezza, strade, illuminazione, rifiuti, trasporti...
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