Non tanto l'assenza di una legge, ma soprattutto la totale mancanza di autogoverno - e governo - della magistratura è la causa prima di questo uso politico delle intercettazioni, che ha ormai oltrepassato i livelli di guardia. Si è materializzato, infatti, quello che in qualsiasi democrazia normale sarebbe percepito come uno dei peggiori incubi: governo, Parlamento, partiti vengono di fatto spiati e ne conseguono un condizionamento e una destabilizzazione costanti non di un "potere" sull'altro (quello giudiziario sul politico), che già sarebbe grave, ma di un singolo pm sulla vita delle istituzioni democratiche. Ormai i pm hanno perfezionato ed elevato a sistema l'escamotage usato per aggirare la legge che vieta di spiare deputati e senatori, alcuni dei quali sono anche ministri: basta individuare un personaggio con una rete di contatti di primo piano; ipotizzare nei suoi confronti un reato minore, abbastanza sfumato da poter essere sostenuto sulla base di prove puramente indiziarie; mettere sotto controllo tutte le sue utenze. Intercettazioni "a strascico", insomma, e il gioco è fatto. E se nella rete finisce un parlamentare, per il quale sarebbe necessaria l'autorizzazione della Camera di appartenenza, ops... basta fingere di non essersene accorti e continuare ad ascoltare. Le conversazioni magari non potranno essere utilizzate, ma quel che conta è che escano sui giornali. E nel caso limite in cui scatti una denuncia al Csm, la copertura da parte dei colleghi è scontata.
Bisignani è un pretesto, l'obiettivo vero è spiare, sputtanare, destabilizzare il governo. Se persino un Di Pietro ammette che stando alle carte «non sarà certo facile arrivare ad individuare dei reati, dei capi d'imputazione», per i quali anzi non vede i «presupposti», come può essere tollerabile che conversazioni penalmente irrilevanti, che per di più coinvolgono ministri e parlamentari, finiscano agli atti, e poi sui giornali, invece di essere immediatamente distrutte? Nella riservatezza di un colloquio privato abbondano battute, sfoghi, recriminazioni, giudizi tagliati con la roncola, invidie, che in politica (così come in qualsiasi "comunità", da una classe scolastica al posto di lavoro) sono all'ordine del giorno. Immaginate cosa succederebbe nel vostro ambiente se pettegolezzi e chiacchiere in libertà venissero improvvisamente estrapolate e rese pubbliche: anche il gruppo più affiatato apparirebbe in piena guerra civile.
Che autorevoli esponenti del Pdl non condividessero affatto la linea di scontro frontale di Berlusconi con Gianfranco Fini era noto, così come si possono immaginare i commenti in libertà degli stessi esponenti del Pdl sulla condotta privata del premier nei mesi del caso Ruby. Come al solito nulla di penalmente rilevante, ma l'effetto è quello di avvelenare il clima all'interno di un governo, e del partito di maggioranza. E questo è un potere pericoloso in mano ad un pm. Che un governo e un partito siano destabilizzati da ipotesi di casi di malversazione ci può stare, ma sulla base di chiacchiere politiche e millanterie da bar no, è un prezzo che il Paese non può pagare per soddisfare la sete di visibilità e magari l'ambizione politica di qualche magistrato.
Questi pm devono essere fermati. E se non lo fa il Csm, ci deve pensare la politica. Oggi tocca al governo Berlusconi e al Pdl, ma un domani potrebbe toccare ad un partito e a un governo di qualsiasi colore. Perché? Perché ormai più che "politica" - abbattere giudiziariamente l'avversario o bloccare ogni progetto di riforma della giustizia - la molla sembra una sfrenata ambizione personale. La fulminea carriera politica di molti ex pm, d'altra parte, rappresenta un potente incentivo a piegare a proprio personale vantaggio l'esercizio dell'azione penale. De Magistris e Woodcock sono dei fulgidi esempi. E il Csm, che mai è intervenuto per porre un argine alla disinvoltura con cui alcuni pm sono passati alla politica (di recente è entrato nella squadra di De Magistris a Napoli un procuratore che fino al giorno prima aveva indagato sugli avversari politici del nuovo sindaco), ne porta per intero la responsabilità.
Ecco perché più che una nuova legge sulle intercettazioni - che comunque serve, soprattutto per ridurne la mole e vietarne la pubblicazione - occorre una riforma complessiva della giustizia: che separi nettamente le carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti; che ponga i magistrati di fronte alle loro responsabilità in sede sia civile che penale; che consenta al Csm di tornare ad asssolvere la funzione per cui è stato concepito e istituito: non una sorta di "Consiglio dei guardiani" sul legislatore in materia di giustizia, né un sindacato delle toghe, ma un organo di autogoverno e una sede disciplinare.
3 comments:
L’uso del termine lobbista che viene attribuito a Bisignani è tanto improprio da rivelare senza troppo pudore, perfino in modo sfacciato, il fine disonesto di chi glielo attribuisce.
In giro troverete molte definizioni di lobby, ma io penso che la più completa sia quella offerta dal Dizionario della Lingua Italiana della Treccani: “Gruppo di interesse che opera prevalentemente nelle sedi istituzionali di decisione politica attraverso propri incaricati d’affari o apposite agenzie allo scopo di influenzare e persuadere il personale politico a tenere conto degli interessi dei propri clienti nell’emanazione di provvedimenti normativi. Tali attività possono essere più o meno istituzionalizzate e più o meno lecite, a seconda che vengano regolamentate (come negli USA, dove vige l’obbligo di iscrizione dei lobbisti in un apposito albo professionale), o si svolgano senza controlli normativi”. Stando a tale definizione, Bisignani sarebbe un incaricato d’affari al servizio di una clientela interessata all’ottenimento di misure legislative in favore delle proprie attività. Ed è qui, da subito, che appare improprio il termine che la stampa filogovernativa ha scelto per coprire le attività del noto pregiudicato. Da quanto finora è emerso, infatti, e per le stesse ammissioni fatte da Bisignani, non c’è alcuna concordanza tra le attività svolte dal “lobbista” e quelle per le quali una lobby nasce ed opera.
Ma prima di passare all’analisi di queste discordanze, che ci porteranno a optare per una più adeguata definizione della figura di Bisignani, occorre sottolineare che in Italia non esiste un albo professionale dei lobbisti, né tanto meno esiste una normativa che regoli l’attività di una lobby: al di fuori delle regole, e contro quelle esistenti come è in alcune delle ammissioni dello stesso Bisignani, il lobbismo si configura come attività illecita di là dai reati specifici addebitabili agli attori in gioco. Con l’aggravante della segretezza dell’associazione, fatto penalmente rilevante. E anche qui siamo costretti a constatare che la bandiera della legalità, un tempo issata su ogni casamatta della destra, è ormai usata solo per pulirsi il culo da questi ignobili parassiti che sbattono in carcere un ragazzino preso con due spinelli in tasca, respingono barconi di povera gente in fuga dai massacri, multano i viados e i loro clienti, dichiarano fuorilegge la fecondazione assistita e negano un diritto di famiglia ai gay, ma fanno la fortuna dei faccendieri e dei tangentisti ereditati dalla Prima Repubblica. Sono colpe che dovrebbero essere pagate col sangue, ma nelle protesi culturali non ne scorre.
“Gruppo di interesse – dunque – che opera prevalentemente nelle sedi istituzionali di decisione politica attraverso propri incaricati d’affari o apposite agenzie allo scopo di influenzare e persuadere il personale politico a tenere conto degli interessi dei propri clienti nell’emanazione di provvedimenti normativi”. Ma quale provvedimento normativo, di grazia, è stato finora promosso dall’opera di Bisignani dall’ultima volta che è stato beccato tra Enimont e Vaticano? In nome e per conto di quali clienti? Quali sono stati gli strumenti dell’influenza e della persuasione messe in atto per operare pressione? Di quale natura è il mandato del quale Bisignani è stato fin qui investito? Ma, soprattutto, quale gruppo e quale interesse possono delinearsi come attore e fine delle sue attività?
Non regge, il termine lobbista non sta affatto bene addosso a Bisignani: si tratta dell’ennesimo espediente manipolatorio che fa di una sciacquetta un “ministro”, di un puttaniere un “utilizzatore finale”, di un venduto un “responsabile” e di un lager un “centro di permanenza”. La più esatta definizione di Bisignani è faccendiere. Faccende sporche, coperte da una tela di favori tessuta con la pazienza del ragno. Bisignani è un sistema, il solito. Chi lo copre e lo eufemizza a “lobbismo” ne è complice.
Caro anonimo, non cancello il commento solo per cortesia, anche se è off topic rispetto al post. Nel post infatti non si dà a Bisignani la patente di "lobbista". Anzi, di Bisignani qui non frega nulla a nessuno.
Caro Jim, quello che riporti è ineccepibile da un punto di vista tecnico ma, secondo me, la valutazione politica è più ampia. Mi chiedo, in primis, per quale motivo, un così alto numero di politici, amministratori e dipendenti pubblici frequentano un così elevato numero di persone inquisite.
Io personalmente non ho il cellulare di Berlusconi e Bersani, tanto per fare due nomi. Se dovessi essere intercettato sicuramente le loro utenze non verrebbero ascoltate ‘ per sbaglio’.
Ne consegue che i nostri eroi dovrebbero rivedere le loro amicizie e contatti, non credi? Obiezione: ognuno è libero, in uno stato civile di parlare con chi gli pare (Di Pietro parla con Berlusconi, nonostante quest’ultimo sia inquisito). Se qualcuno dei miei amici dovesse essere indagato (es. perché non paga le tasse, anche se non so se si possa intercettare per questo) non è detto che lo debba essere anch’io. Se frequento un criminale, o presunto tale, non è automatico che io lo sia. Gesù Cristo frequentava prostitute e ladroni. Ma di Dio in terra non ne vedo all’orizzonte, mi spiace.
Dal politico si pretende specchiata onestà e dedizione ed il mio voto e la mia stima dipende dai suoi comportamenti. Quindi, nonostante non vi siano reati o presunti tali (tutto da dimostrare) la mia valutazione politica è legittima.
Vedo con chi vai e saprò chi sei. Vuoi frequentare mafiosi (presunti) tutto il santo giorno? Benissimo, ma lo so e agisco di conseguenza. Se li frequenti per redimerli (cosa di cui dubito) hai a disposizione come politico telecamere, blog, tg e giornali per comunicarlo. Invece ti trinceri in un allarme all’attentato alla libertà e alla civiltà.
Alloro l’uso delle intercettazioni è politico. Non lo nego a priori. Ma aspettiamo e vediamo se vi saranno condanne; ma il serpente si morde la coda: se chiacchiero amabilmente al telefono con uno stupratore, non è automatico che io gli sia complice, ma se l’argomento della telefonata è lo stupro (presunto, presunto) qualche domanda degli inquirenti è legittima. O no?
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