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Wednesday, October 22, 2003

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* il cata-litico
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Questa Europa non s'ha da fare, s'ha d'aspettare
Vi è venuto il dubbio? A me sì. Non sarebbe forse il caso di fermarsi per un po' e consolidare quanto di importante già raggiunto, accontentandosi per ora di apportare quei pochi correttivi istituzionali imprescindibili e rinviando i grandi dibattiti, le grandi scelte, a tempi migliori? Un dubbio, non una certezza, che si insinua accompagnato da semplici considerazioni.
Tranne forse Tony Blair, la cui statura politica e il cui considerevole europeismo sono però frenati dal congenito euroscetticismo britannico, oggi sulla scena europea non disponiamo di grandi statisti, di grandi leader dotati dello slancio ideale e della visione politica necessari per traghettare questo processo verso un'Unione politica compiuta, efficiente, dei popoli, democratica.
Nella costituzione in corso di approvazione, che rappresenta ovviamente un passo intermedio, le riforme sospese in un futuro incerto da qui a dieci anni, quando cioè entreranno in vigore, e il flebile compromesso burocratico raggiunto ricalcano ancora gli egoismi e gli interessi nazionali, anziché superarli in un progetto visionario, coraggioso, federale se vogliamo, ma comunque capace di guardare all'insieme e non alle singole parti. Mancano all'Europa, e mancheranno anche con il prossimo assetto istituzionale, un governo forte, eletto dai cittadini, e un Parlamento agile, rapido nel recepire i cambiamenti delle società che rappresenta, e quindi capace di un rapporto di sintonia e fiducia con l'elettorato: due limiti decisivi anche alla nascita e allo sviluppo di un ruolo esterno dell'Ue. Invece che indirizzarsi verso, o elaborare, modelli costituzionali chiari, efficienti, sinceramente democratici, si procede scommettendo su alchimie e improbabili modelli matematici che hanno l'ambizione di incasellare in un fragile equilibrio gli egoismi ancora forti dei singoli Stati. La confusione, anziché la separazione, dei poteri, l'esasperato burocraticismo e il tecnocraticismo diffuso, l'attaccamento a privilegi e protezionismi in tutti i settori, le velleità da grandi potenze, il continuo tutti-contro-tutti, rendono già oggi difficile l'unione economica, annunciano divisioni insanabili per una politica estera e di difesa che vuol dirsi comune. I numerosi vertici europei noiosi, asfittici, privi di iniziativa, intrappolati in tatticismi che nulla evitano e che a nulla portano, testimoniano un preoccupante vuoto politico e ideale.
Il fattore economico non si può sottovalutare. La crisi economica europea, dovuta principalmente alla rigidità dei mercati, a welfare troppo onerosi, all'anemia demografica, al ritardo delle riforme strutturali, ai privilegi e alle troppe presunzioni ormai schiacciate dalla globalizzazione, accrescono le tensioni tra gli Stati membri, più preoccupati di tutelare i propri interessi e di soddisfare i 'particulari' bisogni, piuttosto che di sviluppare una visione comune del futuro. In questo panorama già incerto si inserisce l'auspicato, ma pur sempre critico, accoglimento di dieci nuovi Paesi nell'Unione.
Prendiamo atto serenamente della forza degli interessi particolari, delle divisioni che generano, su tutto, in gran parte provocate anche da condizioni di fatto che non aiutano e dalle numerose novità (euro, allargamento) degli ultimi anni non ancora assimilate, ma anche della timidezza europeista di leadership ancora gelose delle prerogative e dei fasti nazionali (sintomi, in realtà, di insicurezza), prendiamoci una pausa di riflessione per evitare danni irreparabili ora e per rilanciare con maggiore vigore e convinzione domani. Consolidiamo le posizioni, dico, se mancano oggi il fraterno europeismo, la volontà, le capacità, le condizioni favorevoli a passi decisivi, a scelte ispirate, come lo furono quelle dei padri fondatori dell'Europa. Non a torto per la verità, molti temono che fermarsi ora potrebbe significare vanificare tutti gli sforzi fatti, sottolineare le divisioni anziché puntare sulle ragioni di contatto, quindi provocare un'inarrestabile regressione del processo politico: no, bisogna accontentarsi dei passi in avanti, quelli possibili, per piccoli e imperfetti che siano. Come conciliare dunque queste preoccupazioni, entrambe fondate, ma di natura opposta?

Letture: "Blair in linea rossa" e "Eurogranaglie"

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