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Monday, August 18, 2008

La zampata russa coglie l'Occidente in letargo

Sconfitta che sfiora l'umiliazione per la Nato e gli Stati Uniti, mentre l'Europa ha ancora una volta dimostrato al suo vicino gigante russo di non esistere, di non saper nemmeno alzare la voce in difesa di suoi evidenti interessi.

Vedremo se, come promesso, i russi cominceranno oggi a ritirarsi dalla Georgia. Ieri il ministro della Difesa rendeva noto che la questione doveva essere ancora valutata e la decisione sarebbe stata presa solo «quando la situazione nella regione si sarà stabilizzata». Ma il presidente Medvedev, nel corso di un colloquio telefonico con Sarkozy, presidente di turno della Ue, aveva assicurato che il ritiro sarebbe iniziato oggi a mezzogiorno. Sarkozy non poteva far altro che prenderne atto chiarendo che in caso contrario la Russia sarebbe andata incontro a «gravi conseguenze»: «Questo ritiro deve essere messo in atto senza rinvii. A mio parere ciò non è negoziabile... Riguarda tutte le forze entrate dal 7 agosto scorso. Se questa clausola dell'accordo non sarà applicata rapidamente e totalmente, convocherò un Consiglio Europeo straordinario per decidere le conseguenze da trarre».

Per oltre una settimana i russi hanno fatto il bello e il cattivo tempo in Georgia, prendendosi gioco del piano Ue fatto sottoscrivere dal presidente Sarkozy ad entrambe le parti. Truppe e blindati russi sono rimasti posizionati ben oltre i tempi previsti dall'accordo a circa 45 chilometri da Tbilisi e nella città di Gori, tagliando in due il Paese e impedendo l'accesso ai porti del Mar Nero.

Ha quindi ragione Angelo Panebianco a parlare di Europa «irrisa e sbeffeggiata», «complice, più o meno riluttante», del «disegno russo». Ciò che i russi chiamano «misure aggiuntive di sicurezza» non è che la distruzione delle strutture militari georgiane, e qualche volta delle infrastrutture civili, così da rendere la Georgia ancor più indifesa e soggetta alla prepotenza russa. E oggi leggendo il New York Times si apprende che i russi, un giorno prima che il presidente Medvedev firmasse l'accordo di tregua proposto da Sarkozy, di fatto carta straccia, hanno schierato in Ossezia del Sud basi di lancio per missili a corto raggio SS-21, in grado di raggiungere la maggior parte del territorio georgiano, compresa la capitale Tbilisi.

Ciò che gli europei hanno definito «mediazione» e ruolo dell'Europa è in realtà una presa di distanze dagli Stati Uniti che ha indebolito la risposta dell'Occidente, confermando ai russi di poter sfruttare le divisioni occidentali. Inoltre, come osserva oggi Panebianco, l'Unione europea ha dimostrato di ignorare i fondati motivi di preoccupazione per la loro sicurezza dei suoi membri dell'Est.

Si dice che «non possiamo isolare la Russia». Una ovvietà. «Ci serve il suo gas, ci serve il suo appoggio nella crisi iraniana, ci serve che essa svolga un ruolo internazionale di cooperazione. Ma non possiamo permettere che essa usi il bastone e la carota con noi senza fare la stessa cosa nei suoi confronti». Tener conto sì delle "ragioni" della Russia, «ma non al punto di andare contro i nostri interessi vitali».

Dagli Stati Uniti invece sono giunti severi moniti nei confronti di Mosca ma a Washington i tempi di reazione sono apparsi comunque troppo lenti e timidi. E, soprattutto, l'amministrazione Bush si è fatta cogliere di sorpresa e nei mesi e anni scorsi ha sottovalutato i piani di Mosca.

La reputazione della Russia «è a brandelli» e pagherà le conseguenze delle sue azioni, avverte ora il segretario di Stato Condoleeza Rice. Azioni che «sollevano seri interrogativi sul suo ruolo e le sue intenzioni in Europa nel ventunesimo secolo», dichiara il presidente Bush: «Negli ultimi anni la Russia ha cercato di integrarsi nelle strutture diplomatiche, politiche, economiche e di sicurezza dell'occidente e gli Stati Uniti hanno appoggiato questi sforzi. Ora la Russia ha messo le sue aspirazioni a rischio intraprendendo azioni che fanno a pugni con i principi di queste istituzioni».

Un'altra risposta all'imperialismo russo è giunta da Varsavia. Il premier polacco Donald Tusk ha annunciato che Polonia e Stati Uniti hanno raggiunto un accordo preliminare per l'installazione dello scudo antimissile. Pronta la reazione da parte russa, per voce del generale Nogovizin, numero due dello Stato maggiore di Mosca. L'accordo non resterà «impunito», ha minacciato: «La Polonia si espone a un attacco, al cento per cento». Solo nelle dittature i generali si prendono la libertà di rilasciare dichiarazioni di tale gravità. Nell'offensiva in Georgia c'è di mezzo anche l'onore e l'orgoglio ferito delle forze armate russe. Sarà fantapolitica, ma quando al Cremlino i vertici politici danno il via a un'operazione militare, l'impressione è che non sappiano esattamente quando riusciranno a fermarla e fino a che punto i generali si spingeranno.

Che sia stato o no il presidente georgiano Saakashvili a sparare il primo colpo è a questo punto irrilevante, perché questa è una guerra che Mosca sta cercando di provocare da parecchio tempo, con forme di embargo e ripetute provocazioni militari. Se Saakashvili è caduto nella trappola russa, offrendo a Putin l'occasione che stava da tempo aspettando per dare una lezione alla piccola e filo-occidentale Georgia, l'Occidente sta perdendo la sua occasione per dare una lezione all'ambiziosa e ancora relativamente debole Russia. E gli iraniani, in silenzio, osservano...

«The man who once called the collapse of the Soviet Union "the greatest geopolitical catastrophe of the [20th] century" has reestablished a virtual czarist rule in Russia and is trying to restore the country to its once-dominant role in Eurasia and the world. Armed with wealth from oil and gas; holding a near-monopoly over the energy supply to Europe; with a million soldiers, thousands of nuclear warheads and the world's third-largest military budget... His war against Georgia is part of this grand strategy. Putin cares no more about a few thousand South Ossetians than he does about Kosovo's Serbs. Claims of pan-Slavic sympathy are pretexts designed to fan Russian great-power nationalism at home and to expand Russia's power abroad», ha scritto Robert Kagan sul Washington Post.

Il conflitto georgiano e la prepotenza russa confermano la tesi del suo ultimo libro, come lui stesso osserva in un recente articolo sul Weekly Standard. «La Storia è tornata», le autocrazie sono «ambiziose» e le democrazie «esitanti». Con l'invasione della Georgia cadono le illusioni coltivate con la fine della Guerra Fredda. L'imperialismo anima la politica estera russa fin dai tempi dello Zar, è stato carattere costitutivo della politica estera sovietica e non c'è ragione perché nella Russia autocratica di Putin venga abbandonato.

I conflitti tra grandi potenze e i nazionalismi ritornano, mentre il commercio internazionale e la crescita economica non hanno condotto al liberalismo politico in Cina e in Russia. Lo faranno nel lungo periodo? Ma quanto è lungo questo "lungo periodo", si chiede Kagan. La crescita economica e l'autocrazia si sono dimostrate compatibili, come lo furono in Germania e in Giappone tra la fine dell'800 e l'inizio del '900. Anzi, gli autocrati stanno imparando sempre di più come aprire alle attività economiche continuando a sopprimere le attività politiche. L'interdipendenza economica non ha sostituito il confronto geopolitico né ha diminuito l'importanza della forza militare.

L'Occidente è diviso e lento nel reagire ma ha ancora delle «carte da giocare» e Charles Krauthammer ha indicato quattro mosse per fermare Putin, o quanto meno per fargli capire che le sue azioni possono provocare gravi conseguenze per la Russia nei rapporti con l'Occidente. Neocon, si dirà, ma non differisce di molto l'analisi di un "realista" come Zbigniev Brzezinski, che paragona l'attacco alla Georgia a quanto fece l'Unione sovietica di Stalin alla Finlandia nel 1939.

1 comment:

Anonymous said...

i commenti ed analisi di Gilli meritano qualche attenzione e riflessione o no?
what you reckon?

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I recenti scontri in Georgia tra truppe russe ed esercito georgiano hanno attirato l’attenzione di tutta la comunità internazionale. La situazione, già complicata di suo, è presto degenerata e al momento risulta ancora difficile capire quali saranno i suoi sviluppi. Anziché addentrarci in improbabili previsioni, in questa sede preferiamo provare ad identificare alcune lezioni generali che possono essere tratte da questa guerra.
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http://epistemes.org/2008/08/25/brevi-insegnamenti-della-guerra-in-georgia/#more-750

ciao,
Luca