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Friday, September 18, 2009

Grande baratto o scellerato appeasement?

C'è davvero solo da sperare, come scrive Max Boot, «che Obama abbia ricevuto qualche segreta concessione dai russi sul programma nucleare iraniano o su qualche altra pressante questione», perché se invece «spera semplicemente di suscitare la buona volontà nel Cremlino», allora siamo al «culmine dell'ingenuità». Quella dello scambio rinuncia allo scudo-sì russo alle sanzioni contro Teheran è un'ipotesi che neanche il Wall Street Journal, molto critico con la decisione di Obama, esclude del tutto.

Il nuovo piano, hanno spiegato Obama e il segretario alla Difesa Gates, è volto a contrastare le capacità militari iraniane in modo più immediato e più vicino geograficamente. Non c'era necessità di dispiegare uno scudo per missili balistici a lunga gittata, se su questo fronte, secondo quanto risulta all'intelligence, Teheran sta progredendo più lentamente di quanto si temeva. La priorità, in questo momento, è affrontare una minaccia più imminente: quella dei missili a corto e medio raggio che l'Iran sta sviluppando molto più velocemente. Come il missile Shahab III, che può raggiungere Israele e parte del Sud Europa e che nelle speranze iraniane potrebbe essere armato con testate nucleari.

Ma il WSJ e diversi commentatori non credono a questo argomento e ironizzano sul fatto che guarda caso le ultime informazioni di intelligence sui progressi del programma iraniano si prestano perfettamente alle intenzioni già manifestate mesi fa dall'amministrazione di accantonare il progetto di scudo dell'ex presidente Bush jr. Il «motivo più probabile», invece, scrive il WSJ è che l'amministrazione «spera di ottenere il sì della Russia in Consiglio di Sicurezza dell'Onu per sanzioni più dure nei confronti dell'Iran. Forse - ipotizza il quotidiano Usa - i russi hanno segretamente accordato questo 'do ut des', sebbene l'abbiano subito negato». La Russia, fa notare il WSJ, è solita scambiare «un pizzico di aiuto diplomatico alle Nazioni Unite per concessioni materiali da parte dell'Occidente». Questa volta la concessione è stata lo scudo antimissile, «ma la prossima volta - avverte il quotidiano - l'Occidente potrebbe essere indotto a barattare i governi filo-occidentali in Georgia e Ucraina».

E' la stessa preoccupazione del senatore repubblicano John McCain, ex avversario di Obama nella corsa alla Casa Bianca, che osserva come l'abbandono dello scudo veicoli un messaggio sbagliato, «proprio in un momento in cui le nazioni dell'Europa dell'Est temono sempre più il rinnovato avventurismo russo». D'altra parte, è sempre stato il «tragico fato dei Paesi dell'Europa centrale e orientale essere trattati come monete di scambio con la Russia», ricorda il WSJ. «Di questi tempi - conclude - meglio essere avversari dell'America che suoi amici». Il presidente Obama aveva promesso che avrebbe conquistato l'amicizia di Paesi che, sotto Bush, erano avversarsi. Ma «la realtà è che sta lavorando duramente per creare avversari laddove in precedenza aveva amici». Il quotidiano cita una lunga lista di esempi. A fronte delle aperture nei confronti dell'Iran, della Birmania, della Corea del Nord, della Russia e anche del Venezuela, registra i dissidi con Canada e Messico, Colombia e Corea del Sud, Israele, Giappone e Honduras.

Ma alcuni analisti pensano che invece di dare via libera alle sanzioni contro Teheran, Mosca potrebbe divenire ancora più intransigente, sostenendo che Washington stessa non ritiene più l'Iran una minaccia così grave, e che cinicamente potrebbe avere interesse a spingere Israele ad attaccare, così da mandare i prezzi del petrolio alle stelle e riempire in questo modo le casse del Cremlino svuotate a causa della crisi economica.

Per il New York Times, invece, il significato politico del nuovo sistema antimissile è un altro: «Piuttosto che concentrarsi in primo luogo nel proteggere gli Stati Uniti continentali, il nuovo piano sposta lo sforzo immediato sulla difesa dell'Europa e del Medio Oriente». Dai tempi delle "guerre stellari" di Reagan, ricorda il quotidiano Usa nell'analisi pubblicata oggi, la difesa antimissile è sempre stata una questione «più di politica estera che di tecnologia militare». Oggi, secondo il NYT, nelle intenzioni dell'amministrazione Obama ha una «nuova missione» politica: «convincere Israele e il mondo arabo che Washington si sta muovendo rapidamente per contrastare l'influenza dell'Iran, anche mentre apre a negoziati diretti con Teheran per la prima volta in trent'anni». Obama ora «può sostenere che lo scudo antimissile americano difenderà sia Israele che gli stati arabi, in particolare l'Arabia Saudita e l'Egitto».

Il segretario Gates ha spiegato che oltre agli incrociatori Aegis, per il nuovo scudo verranno dispiegati intercettori SM-3 con i relativi radar in Israele e nel Caucaso, senza però precisare esattamente dove. Secondo fonti militari israeliane, le sedi individuate sarebbero una base militare russa in Azerbaijan e una israeliana nel Negev. Proprio oggi, infatti, il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha evocato la possibilità di un unico sistema di difesa tra Stati Uniti, Nato e Russia, mentre il premier russo Putin ha accolto la decisione di Obama definendola «giusta e coraggiosa».

Ma al di là delle ragioni tecniche e militari, che possono anche essere fondate, concede Max Boot, il danno più grave provocato dalla decisione di Obama è politico. Aver dimostrato a Putin che l'intransigenza paga, poiché Stati Uniti ed Europa non hanno la pazienza e la determinazione per affrontare Mosca. «L'amministrazione ha indubbiamente ragione quando dice che la minaccia immediata posta dall'Iran riguarda più i missili a corto raggio, e che ci vorrà tempo prima che abbia missili capaci di colpire l'Europa». Quindi, «ha senso concentrarsi su una difesa antimissile a corto raggio, e anche per quelli a lungo raggio, non necessariamente per la massima efficacia le basi devono essere collocate in Europa orientale». «Tutto questo è vero - ammette Boot - ma anche irrilevante». Ciò che conta è il significato politico che la questione dello scudo aveva assunto per i russi.

Il motivo reale della loro contrarietà è che «pensano di avere un diritto divino a minacciare l'Europa» con le loro capacità nucleari e ritengono «destabilizzante» qualsiasi cosa interferisca. Lo scudo, spiega Boot, «non costituiva alcuna minaccia per il vasto arsenale russo e Putin lo sapeva bene». La sua insistenza sul tema era dettata dall'esigenza di convincere i russi dell'esistenza di una minaccia della Nato da cui solo un «uomo forte» poteva difenderli. La decisione di Obama manda «un pericoloso segnale di irrisolutezza e debolezza, simile a quello mandato da un altro giovane presidente Usa quando incontrò i leader sovietici a Vienna nel 1961». Allora Nikita Khrushchev, ricorda Boot, uscì da quell'incontro con Kennedy convinto che fosse «molto inesperto e persino immaturo». Il risultato fu la crisi dei missili a Cuba. «C'è il rischio che Obama stia mandando un simile segnale di debolezza».

Critico anche David J. Kramer, sul Washington Post, secondo il quale l'appeasement con la Russia «non funzionerà»:
Winning Russian help in dealing with Iran as a quid pro quo is also very unlikely. Yet Obama's efforts to placate the Russians come at the expense of U.S. relations with Eastern and Central European governments that are already uneasy about the U.S. commitment to their region. Worse, rewarding bad Russian behavior is likely only to produce more Russian demands on this and other issues.
Per Thomas Donnelly, direttore del Center for Defense Studies dell'American Enterprise Institute, è «un brutto giorno per la libertà», perché la decisione di Obama non riguarda «l'utilità di una difesa antimissile, né le relazioni con la Russia o l'Iran», ma prim'ancora «il ruolo degli Stati Uniti come garanti della sicurezza internazionale»:
The Obama Administration is proving to be not a collection of foxy tacticians, but a collective hedgehog that knows one big thing: political capital spent exercising American power abroad is capital lost in reshaping American society at home. But the United States cannot preserve the liberal international order if it adopts an economy-of-force approach. Nor will that order - or the general peace, prosperity and growth of liberty that are its distinguishing features - long survive.
(...)
To be sure, we have a larger and more immediate agenda with Moscow. But each item has become a measure of our weakness and weariness: the response to the invasion of Georgia, fear of further NATO expansion, access to Afghanistan, reneging on missile defenses and desperation to sign a new nuclear arms control treaty. As Russia declines, we’re trying to console it for its losses; China wonders how to feast on the remains. This is not good news for free states, or for the larger cause of freedom and independence.

1 comment:

Adriano said...

Guarda, l'atrocità di questo post è simboleggiata dall'assenza totale di commenti. Perché ti commenti da solo.