
Tanto che negli stessi Stati Uniti da tempo si dubita dei reali obiettivi della missione. Non è sufficientemente chiaro, rimproverano molti, se lo scopo ultimo sia la sconfitta totale e definitiva dei talebani e di al Qaeda, e il successo dell'operazione di nation building, cioè di rafforzamento delle nuove istituzioni afghane, o se la missione possa considerarsi conclusa anche in presenza di una certa attività di insorgenza da parte talebana, accontentandosi di avere a Kabul un governo "amico", seppure non in grado di controllare tutto il territorio. Senza la necessaria chiarezza sullo scopo ultimo della missione è difficile valutare i progressi e prendere decisioni sui mezzi da impiegare per raggiungerlo.
La sensazione è che finora gli Stati Uniti e gli altri Paesi Nato si siano accontentati di tenere impegnati i talebani e di braccare al Qaeda per impedirgli di organizzare attacchi in Occidente, ma non abbiano davvero cercato di distruggerli. Nei giorni scorsi l'amministrazione Obama ha mostrato ad alcuni senatori un documento in cui si chiariscono obiettivi e parametri per valutare i progressi della missione. Sembrano quelli più ambiziosi (e quindi potrebbero preludere all'invio di nuove truppe), anche se rimangono ancora un po' troppo generici.
Tra uno sforzo più concentrato nel tempo e di maggiore intensità ma più traumatico (in termini di vite umane) per le opinioni pubbliche, e uno più dilatato ma meno sanguinoso, la politica sembra aver scelto il secondo, ma le è davvero convenuto? Se da un lato una guerra ad alta intensità sarebbe risultata meno digeribile per il fronte interno, dall'altro le motivazioni sarebbero apparse più fresche e attuali di quanto lo siano oggi, mentre ora affiora una certa stanchezza, il successo è lontano e l'opinione pubblica si è scordata perché siamo in Afghanistan. Adesso ci troviamo in un vicolo cieco: lasciare è impossibile, perché tornerebbero al potere i talebani e ben presto al Qaeda ricomincerebbe a progettare attacchi contro l'Occidente; ma continuando così rischiamo un nuovo Vietnam.
Dunque, l'unica strada praticabile sembra quella di intensificare lo sforzo militare, ma se l'avessimo fatto dall'inizio ci saremmo almeno risparmiati questi 8 anni e le opinioni pubbliche sarebbero state meno stanche. Insomma, ciò che abbiamo voluto evitare all'inizio non possiamo più evitarlo: combattere sul serio. Tra l'altro, si tratta di una guerra asimmetrica, del tutto diversa da quelle classiche. Non ci troviamo di fronte un esercito appartenente ad un'entità statuale, quindi non c'è alcuna possibilità che il nostro nemico dichiari la sua capitolazione. I talebani e al Qaeda si batteranno finché non morirà l'ultimo di loro. In pratica, dovremo ucciderli tutti e non sottovalutare il fatto che dispongono di una lunghissima retrovia lungo i confini con il Pakistan.
P.S. Sarebbe bene anche abbandonare un'altra ipocrisia: finché l'uso della forza rimarrà "proporzionato" è difficile che l'equilibrio cambi a nostro favore; è con l'uso "sproporzionato" della forza che si vincono le guerre.
2 comments:
E come si fa a farlo "dall'inizio", se ci si mette in testa di aprire un altro bel fronte in Iraq? O se si sottovalutano palesemente gli sforzi su entrambi?
E non mi si venga a dire che il problema sta nella scarsa cooperazione delle altre nazioni. L'unico esercito al mondo capace di vincere una guerra è quello americano, al limite con l'appoggio di quello britannico.
Axe
Tutto vero (io tra l'altro alla guerra in Afghanistan non ho mai creduto). Ma mi piacerebbe sinceramente sapere qual è la tua opinione sulle attuali dichiarazioni dei membri della maggioranza, ivi compreso il premier. Mi pare si stia facendo una figura peggiore di quando i ministri di RC manifestavano contro il governo.
Linko questo post di epistemes: http://epistemes.org/2009/09/21/afghanistan-zero-credibilita-internazionale/
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