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Friday, September 18, 2009

Le guerre o si combattono o si subiscono

Ogni volta che uno dei nostri valorosi soldati muore o si ferisce in Afghanistan o altrove, qui in Italia si comincia a voler ridiscutere tutta la missione. Le chiacchiere, le ipocrisie e le dotte analisi militari e geopolitiche stanno a zero. La verità potrebbe essere molto più semplice. Sarò ingenuo, ma a me pare che la durata di una guerra sia inversamente proporzionale al numero di forze impiegate e all'intensità dei combattimenti (e, purtroppo, al numero di perdite). Minori sono i rischi che si accettano di correre e le risorse che si decidono di impiegare, maggiore sarà il tempo necessario per avere ragione del nemico. Ma al di sotto di una certa soglia di impegno, e oltre un certo numero di anni, il rischio è che senza neanche accorgersene non solo i tempi si dilatano e l'obiettivo si vede sfumare all'orizzonte, ma che non si riesca neanche più a contenere il nemico che prende coraggio dalla propria capacità di resistenza. Mi pare sia ciò che sta accadendo in Afghanistan.

Tanto che negli stessi Stati Uniti da tempo si dubita dei reali obiettivi della missione. Non è sufficientemente chiaro, rimproverano molti, se lo scopo ultimo sia la sconfitta totale e definitiva dei talebani e di al Qaeda, e il successo dell'operazione di nation building, cioè di rafforzamento delle nuove istituzioni afghane, o se la missione possa considerarsi conclusa anche in presenza di una certa attività di insorgenza da parte talebana, accontentandosi di avere a Kabul un governo "amico", seppure non in grado di controllare tutto il territorio. Senza la necessaria chiarezza sullo scopo ultimo della missione è difficile valutare i progressi e prendere decisioni sui mezzi da impiegare per raggiungerlo.

La sensazione è che finora gli Stati Uniti e gli altri Paesi Nato si siano accontentati di tenere impegnati i talebani e di braccare al Qaeda per impedirgli di organizzare attacchi in Occidente, ma non abbiano davvero cercato di distruggerli. Nei giorni scorsi l'amministrazione Obama ha mostrato ad alcuni senatori un documento in cui si chiariscono obiettivi e parametri per valutare i progressi della missione. Sembrano quelli più ambiziosi (e quindi potrebbero preludere all'invio di nuove truppe), anche se rimangono ancora un po' troppo generici.

Tra uno sforzo più concentrato nel tempo e di maggiore intensità ma più traumatico (in termini di vite umane) per le opinioni pubbliche, e uno più dilatato ma meno sanguinoso, la politica sembra aver scelto il secondo, ma le è davvero convenuto? Se da un lato una guerra ad alta intensità sarebbe risultata meno digeribile per il fronte interno, dall'altro le motivazioni sarebbero apparse più fresche e attuali di quanto lo siano oggi, mentre ora affiora una certa stanchezza, il successo è lontano e l'opinione pubblica si è scordata perché siamo in Afghanistan. Adesso ci troviamo in un vicolo cieco: lasciare è impossibile, perché tornerebbero al potere i talebani e ben presto al Qaeda ricomincerebbe a progettare attacchi contro l'Occidente; ma continuando così rischiamo un nuovo Vietnam.

Dunque, l'unica strada praticabile sembra quella di intensificare lo sforzo militare, ma se l'avessimo fatto dall'inizio ci saremmo almeno risparmiati questi 8 anni e le opinioni pubbliche sarebbero state meno stanche. Insomma, ciò che abbiamo voluto evitare all'inizio non possiamo più evitarlo: combattere sul serio. Tra l'altro, si tratta di una guerra asimmetrica, del tutto diversa da quelle classiche. Non ci troviamo di fronte un esercito appartenente ad un'entità statuale, quindi non c'è alcuna possibilità che il nostro nemico dichiari la sua capitolazione. I talebani e al Qaeda si batteranno finché non morirà l'ultimo di loro. In pratica, dovremo ucciderli tutti e non sottovalutare il fatto che dispongono di una lunghissima retrovia lungo i confini con il Pakistan.

P.S. Sarebbe bene anche abbandonare un'altra ipocrisia: finché l'uso della forza rimarrà "proporzionato" è difficile che l'equilibrio cambi a nostro favore; è con l'uso "sproporzionato" della forza che si vincono le guerre.

2 comments:

Anonymous said...

E come si fa a farlo "dall'inizio", se ci si mette in testa di aprire un altro bel fronte in Iraq? O se si sottovalutano palesemente gli sforzi su entrambi?

E non mi si venga a dire che il problema sta nella scarsa cooperazione delle altre nazioni. L'unico esercito al mondo capace di vincere una guerra è quello americano, al limite con l'appoggio di quello britannico.

Axe

Cachorro Quente said...

Tutto vero (io tra l'altro alla guerra in Afghanistan non ho mai creduto). Ma mi piacerebbe sinceramente sapere qual è la tua opinione sulle attuali dichiarazioni dei membri della maggioranza, ivi compreso il premier. Mi pare si stia facendo una figura peggiore di quando i ministri di RC manifestavano contro il governo.

Linko questo post di epistemes: http://epistemes.org/2009/09/21/afghanistan-zero-credibilita-internazionale/