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Tuesday, September 22, 2009

Il presidente degli appelli tentenna sull'Afghanistan

Sogni di realpolitik

Appelli, appelli, appelli. Appelli per il clima; per la pace in Medio Oriente; per il dialogo con l'Iran. Barack Obama è il presidente degli appelli, ma anche se non si può certo trarre un bilancio, nemmeno parziale, della sua politica estera, non si può non notare come fino ad oggi abbia raccolto pochissimo, direi quasi nulla, dalle aperture che ha disseminato per il mondo, al prezzo di qualche incrinatura nei rapporti con gli storici alleati dell'America, dall'Estremo Oriente all'Europa dell'Est, passando per Israele.

Ma è in particolare sull'Afghanistan che la sua credibilità come comandante in capo è messa a dura prova in questi giorni, soprattutto dopo la rivelazione del rapporto del generale McChrystal. Un rapporto pronto dal 30 agosto, ma che l'amministrazione - qualcuno pensa per motivi di politica interna - ha deciso di non prendere in esame fino a pochi giorni fa. Un rapporto nel quale si avverte senza mezzi termini che senza ulteriori rinforzi in Afghanistan si va incontro al fallimento. Obama dice che prima di mandare altri uomini vuole avere chiara la strategia; certo, la strategia conta, ma le truppe combattenti ad oggi impegnate sono talmente esigue che a mio avviso si può iniziare a parlare di strategia solo dopo aver riconsiderato i numeri.

Oggi il Washington Post (a Woodward si deve lo scoop - l'ennesimo - del rapporto McChrystal) è uscito allo scoperto accusando esplicitamente il presidente di essere troppo «esitante» e «dubbioso» sull'Afghanistan in un «momento cruciale» per la campagna. Un editoriale lo rimprovera di «aver dimenticato le sue stesse parole a favore di una campagna contro l'insurrezione», come «se avesse un ripensamento» rispetto a quanto affermava soltanto cinque mesi fa: «Che cosa è cambiato dallo scorso marzo?», si chiede il WP. E le innumerevoli apparizioni tv di Obama in questi giorni rischiano di trasformarsi in un boomerang, perché le sue risposte rafforzano l'impressione della sua indecisione su un fondamentale tema di sicurezza nazionale come l'Afghanistan.

Tra l'altro, ad aggravare la situazione c'è anche la denuncia nient'affatto sorprendente del generale McChrystal, che nel suo rapporto, rivela oggi il Los Angeles Times, accusa i servizi segreti pakistani e iraniani di sostenere i talebani. Un'accusa molto verosimile. «L'insorgenza afghana è chiaramente sostenuta dal Pakistan», scrive il generale. I leader talebani «sono assistiti da alcuni elementi dell'Isi», mentre per quanto riguarda l'Iran, «le forze al Quds stanno addestrando combattenti per alcuni gruppi talebani e fornendo altre forme di assistenza militare agli insorti».

Della rinuncia allo scudo antimissile in Polonia e Repubblica ceca ho già scritto - e c'è davvero da sperare che Obama abbia ricevuto almeno qualcosa in cambio dai russi, almeno un "sì" a nuove e più dure sanzioni nei confronti di Teheran - ma anche quella decisione, almeno nel modo in cui è stata gestita, questa settimana viene criticata su Newsweek da Fareed Zakaria, proprio per il significato politico che ormai lo scudo aveva assunto per russi, polacchi e cechi. «Di questi tempi - ha commentato il Wall Street Journal - meglio essere avversari dell'America che suoi amici». Il presidente Obama aveva promesso che avrebbe conquistato l'amicizia di Paesi che, sotto Bush, erano avversarsi. Ma «la realtà è che l'America sta lavorando sodo per creare avversari laddove in precedenza aveva amici».

E così non posso che condividere l'analisi di Christian Rocca, qualche giorno fa su Il Foglio, secondo cui in questo momento «l'approccio» di Obama sembra «costellato da una serie di mosse azzardate senza la certezza di contropartite valide e da un'assenza di visione strategica globale che denota la difficoltà di formulare un'alternativa multilaterale seria ed efficace, dotata di un linguaggio chiaro e coerente, da contrapporre alla chiarezza morale dell'unilateralismo di George W. Bush». Cosa farà Obama se iraniani, russi e nordcoreani respingeranno le sue aperture? C'è da cominciare a temere che esiterà sul da farsi come sull'Afghanistan, invece di riconoscere che l'atteggiamento ostile dei nemici degli Stati Uniti non era provocato dall'"unilateralismo" di Bush, ma da deliberate scelte politiche di quei regimi che nessuna mano tesa e realpolitik può ammorbidire. E se a un certo punto bisognerà riconoscere che non era Bush il "cattivo", e che l'"Asse del Male" esiste per davvero? Verrà il tempo di smettere di sognare a occhi aperti e mani tese?

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