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Friday, October 28, 2011

La strada è quella di Ichino

Nella lettera di intenti alla Ue il passaggio che sta suscitando la levata di scudi dei sindacati e delle opposizioni (tutte, pure quelle che rivendicano un atteggiamento "responsabile") è un'enunciazione generica: «Entro maggio 2012 una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato». Per capire come il governo intende attuarla in concreto, e soprattutto se sarà in grado di farlo, bisognerà aspettare, ma lo schema Ichino, a cui oggi in un intervento telefonico su Canale 5 Berlusconi ha fatto riferimento («la strada è quella del ddl Ichino»), mi sembra il più opportuno da seguire sia nel merito che nel metodo. Nel merito, perché di fatto consente il licenziamento per motivi economici od organizzativi, dietro un indennizzo da corrispondere al lavoratore la cui entità cresce con l'anzianità di servizio, e prevede la trasformazione della cassa integrazione in un sussidio di disoccupazione universale, decrescente nel tempo e condizionato alla disponibilità effettiva del lavoratore a nuove proposte e alla riqualificazione. La flexsecurity di stampo scandinavo, insomma, dove è ovvio che il fattore più delicato per le specificità italiane sta nel sussidio: quello prefigurato da Ichino mi sembra troppo generoso, attraente per entrambe le parti.

Ma è comunque conveniente per il governo e la maggioranza, dal punto di vista politico, procedere su questa strada, perché è una buona riforma ed è la proposta di un senatore e giuslavorista del Pd, sottoscritta da ben 54 senatori dell'opposizione. Come farebbe il Pd a tirarsi indietro e allo stesso tempo a presentarsi come forza di governo ed "europea"? Di «minacce inaccettabili» ai lavoratori parlano Bersani e Fassina e l'ex ministro Pd Cesare Damiano boccia senz'appello non solo la generica enunciazione del governo nella lettera di intenti all'Ue, ma anche le proposte di Ichino. Di Pietro ovviamente alza i toni, parlando di «contenuto pericoloso» e di un «omicidio sociale», ma anche il "moderato" Casini, quando si comincia a parlare di cose concrete, getta la maschera: lo definisce un «patto scellerato» contro il lavoro e a parole si dice a favore di un mercato «più flessibile», ma propone di affidarsi alla concertazione con le parti sociali, che è come chiedere ai tacchini di anticipare il Natale. Non se ne farebbe niente. Vale dunque per tutte le opposizioni, nessuna esclusa, nemmeno i centristi, quello che scrive Giuliano Ferrara, oggi su Il Foglio:
«Un giorno deridono il governo perché non avrebbe la fiducia dell'Ue, il giorno dopo insorgono contro il programma di riforme per lo sviluppo concordato in sede europea... Insorgere è facile, prepararsi al governo è difficile. Ma la prima ginnastica è propria di una concezione irresponsabile delle istituzioni, la seconda è un preciso dovere repubblicano per chi ha avuto il mandato di opporsi e di offrire ai cittadini una prospettiva diversa...».
E' ovvia la risposta di Bersani all'appello di Berlusconi alla responsabilità delle opposizioni: sì sulle proposte su cui conveniamo, no su quelle su cui non conveniamo. Peccato che non è dato sapere quali condividono e quali no, o meglio l'impressione è che stringi stringi non ci sia nulla che condividano, per il solo fatto che a proporle è Berlusconi. Nell'intervista di oggi a Il Messaggero, tra l'altro, reiterando la strategia dalemiana di rincorsa dell'Udc, Bersani certifica il fallimento del Pd, quando afferma che «non sto parlando di un'ammucchiata, ma di un incontro tra progressisti e moderati italiani per un patto di legislatura e su una dozzina di riforme da fare per ricostruire l'Italia». Ma come, non doveva essere proprio il Pd «l'incontro tra progressisti e moderati»? La necessità di un'alleanza con l'Udc, a giocare il ruolo della Margherita nell'Ulivo, dimostra che Pd = Pci-Pds-Ds.

Perché mi accanisco sull'opposizione? Primo, perché mi accanisco pure sul governo, e i post di questi mesi lo dimostrano. Secondo, a giudicare dagli articoli che si leggono negli ultimi giorni non sono l'unico a pre-occuparmi della mancanza di un'alternativa di governo al centrodestra berlusconiano, né sono l'unico a diffidare di governi "tecnici". «Italy Risks Post-Berlusconi Hangover», era il titolo di un commento di ieri sul Wall Street Journal di Murdoch:
«Many hope he might be replaced by a technocratic government with the power to make difficult decisions. A bigger risk is that early elections lead to instability and government paralysis. (...) For a technocratic government, the political challenge might be too great. But if the alternative is no government at all, Mr. Berlusconi might be the least-worst option».
E «For Italy, Berlusconi Is a Problem but Also a Solution» è il titolo di un articolo del New York Times oggi:
«... if there is one thing many Italians fear more than the current government it is the available alternatives».
Intanto, Berlusconi finalmente sembra aver sciolto le riserve sulla futura leadership del Pdl e del centrodestra: primarie. Il candidato premier per il 2013 sarà scelto con le primarie? «Certo, sarà un candidato che sceglieremo con un sistema elettorale sul modello dei partiti americani, che coinvolgono nella scelta della politica tutti i cittadini che desiderano partecipare». Così ha risposto a Belpietro, questa mattina su Canale 5.

4 comments:

Cachorro Quente said...

Guarda, se Berlusconi riuscisse a fare una riforma del lavoro sulla linea Ichino tanto di rispetto, non c'è nulla da dire (rimane il solito dubbio sul motivo per cui non l'ha fatta negli ultimi 17 anni, ma vabbè).
Però non può certo pretendere di farla con i voti dell'opposizione però mantenendo l'attuale maggioranza e l'attuale governo.
Perchè anche questo è chiedere ai tacchini di votare per anticipare il Natale.
Quindi o Berlusconi mette in riga la maggioranza (perchè di maggioranza, in teoria, si tratta: altrimenti è crisi) e comincia a fare gli straordinari per mettere in piedi qualcosa magari anche un po' prima di maggio 2012 (cosa che sembra ogni giorno più improbabile), o si deve trovare un nuovo governo, se si pretende un appoggio bipartisan.
Non ci piace il governo tecnico? Allora Berlusconi si dimetta in favore di Letta o di chiunque sia in grado di guidare una maggioranza di cdx che possa sperare di avere un appoggio esterno, o al limite venda qualcuna delle mille aziende che ha per corrompere una cinquantina di deputati e ottenere una maggioranza degna di questo nome.

Marcantonio said...

Se sussistessero dubbi sulla natura reazionaria della rivolta contro i c.d. licenziamenti facili (come se oggi non vi fossero i contratti a progetto e le partite IVA), guardate la lista dei rivoltosi: Deludenti, Partito dei Dolori, la Triplice Sindacale (un dinosauro degli anni '70/80 all'origine di almeno metà del debito pubblico), il Disfatto Quotidiano e il leader dell'Unione di Dentro (il governo, a tutti i costi, se ti accettano). Per rispondere ai fanatici dell'art. 18, ci vorrebbe Totò: 'ma mi faccia il piacere!'.

Stefano said...

@marcantonio
licenziamenti quando le cose vanno male... non ti pare rovesciare il rischio d'impresa sul dipendente? Che l'imprenditore guadagni 30 volte il suo operaio mi sta bene, perchè si è assunto un rischio. Ma che guadagni 30 volte l'operaio, e quando la situazione non è florida lo manda a casa, non mi sta bene.

un conto è se ci fossero ammortizzatori sociali adeguati: in questo caso, lo Stato si fa garante per il lavoratore, toglie parte del rischio all'imprenditore, aiutandolo, ma non lascia col culo a terra i lavoratori. Mi spieghi perchè lo stipendio medio di un operaio tedesco gira sui 35-40k l'anno (quello da qui prendono i giovani product manager, per intenderci) e l'economia tedesca funziona? E il costo della vita in Germania è paragonabile al nostro.

Anonymous said...

@stefano: qui il problema non è chi debba assumersi il rischio d'impresa (e visto che ci siamo, spesso e volentieri l'imprenditore se fallisce ci rimette anche la casa). è decidere se il rischio debba continuare ad essere che il peso dei contratti a tempo indeterminato trascini a fondo l'impresa, e tutti i suoi dipendenti (e, più in generale, il sistema-Paese), oppure se, permettendo alle imprese, a determinate condizioni, di liberarsi temporaneamente di alcuni dipendenti (magari, oltre o in alternativa al pagamento di una forte indennità, da due anni di stipendio in su, fornendo incentivi a riassumerli passata la crisi) non si salvino in prospettiva sia le imprese che i posti di lavoro...