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Wednesday, March 28, 2012

Equitalia non può lavarsene le mani

Anche su L'Opinione

Davvero Equitalia può far finta di niente se recapita cartelle esattoriali in cui si esigono interessi non dovuti? Può trincerarsi dietro al fatto che a determinare l'entità della somma sono gli enti locali? L'esattore pubblico può non curarsi della legittimità delle sue pretese, come qualsiasi picciotto mandato a riscuotere il pizzo? E' esattamente ciò che ha sostenuto davanti alle telecamere delle Iene, su Italia1, il presidente di Equitalia Attilio Befera.

Il caso è quello delle maggiorazioni nelle cartelle esattoriali originate da multe e sanzioni amministrative non pagate. Interessi del 10%, che scattano ogni semestre a partire dal mancato pagamento o dalla mancata opposizione alla sanzione entro i 60 giorni dalla notifica. Una sentenza della Corte di Cassazione del 16 luglio 2007, ma rimasta ben nascosta negli armadi pieni di scartoffie del Palazzaccio, ha dichiarato illegittimi tali interessi, stabilendo che va applicata «l'iscrizione a ruolo della sola metà del massimo edittale e non anche degli aumenti semestrali del 10%. Aumenti, pertanto, correttamente ritenuti non applicabili». Per 5 anni, tuttavia, i Comuni ed Equitalia hanno ignorato la sentenza e continuato a recapitare cartelle esattoriali con maggiorazioni a colpi del 10% ogni 6 mesi, quindi a incassare somme non dovute per milioni di euro. Finché un avvocato di Bari, Vito Franco, ha scovato quella sentenza e ha promosso migliaia di ricorsi, vincendoli.

Alle Iene Befera ha risposto che «Equitalia si occupa soltanto di riscuotere una cifra, che è quella indicata dal Comune». Come dire: noi facciamo quello che ci dicono di fare. «Siamo disponibilissimi a rinunciare a quella parte di compenso – ha aggiunto – purché il Comune ci mandi a riscuotere» la cifra legittima. Insomma, se il Comune sbaglia Equitalia non può farci niente, continuerà a mandare cartelle esattoriali nulle, in cui si pretendono interessi illegittimi. Ma è proprio così? Dalla giurisprudenza non si direbbe. Equitalia non si limita a riscuotere per altri. Sul totale, e in particolare sulle maggiorazioni applicate, ci guadagna. Dunque difficilmente può lavarsene le mani, se chiede e incassa per se stessa un compenso illegittimo.

Equitalia, così come l'ente locale per il quale agisce, rischia di incorrere nella «responsabilità aggravata» ai sensi dell'articolo 96 c.p.c., la cosiddetta "lite temeraria". Dottrina e giurisprudenza sembrano ormai ammettere l'applicabilità di questa norma al processo tributario. Il giudice può ravvisare la «responsabilità aggravata» se Equitalia resiste in giudizio, senza revocare la propria pretesa manifestamente illegittima, ma anche nel caso di atti cautelari o esecutivi emessi senza averne il diritto. E' sufficiente che abbia agito con «mala fede o con colpa grave», cioè nella consapevolezza dell'infondatezza della domanda, oppure nel difetto della normale diligenza per l'acquisizione di tale consapevolezza. Esigere interessi su una sanzione amministrativa nella consapevolezza che sono illegittimi per effetto di una sentenza della Cassazione di 5 anni prima sembra prefigurare proprio tale fattispecie. Di solito il giudice dispone la compensazione delle spese legali, ma il Tribunale di Roma, sezione di Ostia, con sentenza del 9 dicembre 2010 ha condannato Gerit Equitalia S.p.A. anche al pagamento di 25 mila euro a titolo di indennizzo, proprio ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., ritenendo più grave la condotta pretestuosa dell'amministrazione finanziaria, che in quanto depositaria di una funzione pubblica dovrebbe a maggior ragione ispirarsi a criteri di correttezza, buona fede e diligenza.

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