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Friday, July 01, 2011

Vince il tremontismo

Al governo per cambiare lo Stato, lo Stato ha cambiato il centrodestra

E' vero che nessuno ci ha mai chiesto il pareggio di bilancio nel 2011, ed è vero che l'entità della manovra per il 2011 e il 2012, se si sommano gli effetti dei provvedimenti assunti negli anni scorsi, è pressocché identica a quella per il 2013 e 2014, quindi l'accusa di aver scaricato sul successivo governo il peso del risanamento è falsa, posta in questi termini. Lo stesso Tremonti, come ricorda Porro su il Giornale, fece nell'estate del 2008 una manovra da quasi 40 miliardi (quella dei cosiddetti «tagli lineari») che proprio in questi anni sta dispiegando i suoi effetti. Nessuna «bomba a orologeria», dunque. E persino il presidente Napolitano, in quella che è sembrata una replica alle critiche delle opposizioni, l'altro ieri certificava che la concentrazione dei sacrifici nel 2013 e 2014 corrisponde alle richieste europee. Ma in realtà, in mancanza di altre grandi riforme "epocali" da poter vantare, un'accelerazione sarebbe stata nell'interesse proprio dell'attuale governo.

Il pareggio di bilancio nel 2013 anziché nel 2014, cioè con un anno di anticipo, avrebbe significato certo fare più di quanto la stessa Europa ci ha chiesto, certamente avrebbe comportato tagli maggiori nel 2011 e nel 2012, ma forse avremmo sorpreso positivamente i mercati, evitando di restare sul filo del rasoio per altri due anni, e sul piano politico la maggioranza uscente si sarebbe potuta presentare agli italiani con un grande, storico obiettivo centrato prima del voto. Anche la legge delega per la riforma del fisco prevede un arco temporale - tre anni - che scavalca il termine di questa legislatura. Un altro obiettivo, dunque, quello della riduzione delle tasse - ammesso che alle tre nuove aliquote corrisponderanno scaglioni di reddito tali da ridurre effettivamente il carico fiscale - che esce dall'orizzonte dell'attuale legislatura, la seconda di questo centrodestra al governo.

La manovra sì, sembra soddisfare le richieste europee e mettere in sicurezza i conti. Contiene anche buone misure, accanto ad altre dal deciso sapore anti mercato. Ma se dal punto di vista contabile è probabile che raggiunga il suo scopo (il pareggio di bilancio nel 2014) - spero che nessuno sotto sotto, per fare dispetto a Berlusconi e a "Voltremont", auspichi per l'Italia la fine della Grecia - dal punto di vista politico sancisce il tramonto della leadership di Berlusconi (che le cronache riportano letteralmente assopito) e l'apice dell'influenza di Tremonti, il quale però sbaglierebbe ad illudersi di aver cambiato paradigma al Paese, come pure crediamo che nel suo intimo si prefiggesse.

Dopo all'incirca otto anni di gestione del Tesoro ciò che il ministro Tremonti è stato capace di presentare agli italiani è una manutenzione, saggia ma da ragioniere, dell'esistente, mentre era lecito aspettarsi, e ce ne sarebbe stato tutto il tempo in questi ultimi tre anni, una rivoluzione copernicana, in senso liberale, dello Stato. Questa manovra invece non rivoluziona la macchina statale, non dice agli italiani la verità su un modello statalista ormai insostenibile, né libera dalla spesa pubblica risorse sufficienti, in modo da rendere possibile, o da prefigurare un nuovo e diverso paradigma economico e sociale. Quel paradigma che a nostro avviso dovrebbe costituire le fondamenta politiche di una coalizione di centrodestra - e cioè che per spendere occorre produrre, per produrre occorre lavorare e non imboscarsi, e che la ricchezza si produce con meno Stato (leggi meno politica), meno tasse e più mercato.

PENSIONI - L'agganciamento automatico dell'età di pensionamento alle speranze di vita poteva partire già dal 2012, mentre è ridicolo il rinvio di due decenni - non al 2014 ma addirittura al 2032 - dell'equiparazione tra l'età pensionabile degli uomini e quella delle donne. Nel 2032 anche nel settore privato le donne dovranno andare in pensione a 65 anni, come gli uomini, ma è altamente probabile che per quella data dovremo tutti andare in pensione a 70 anni. Gran parte della manovra per fortuna graverà sui bilanci di ministeri ed enti locali (giusto che ai Comuni "virtuosi" sia consentito di spendere), ma non mancano misure da Prima Repubblica per fare cassa, come superbolli e ticket sanitario. Nemmeno sfiorato il capitolo province. Abolirle del tutto non si poteva? Tagliarne qualcuna - per esempio quelle che fanno capo alle grandi metropoli - forse sì, e con qualche risparmio non trascurabile.

COSTI DELLA POLITICA - Potevano rappresentare un cambio di paradigma anche i tagli ai costi della politica, ma il rinvio negli anni rende incerto anche questo capitolo. Se il livellamento delle remunerazioni di tutti gli incarichi politici ai corrispondenti europei (dei sei grandi Paesi dell'area Euro), può rappresentare una piccola rivoluzione dal valore non solo simbolico, bisognerà però aspettare la conclusione dei lavori di una commissione ad hoc, con tutte le incognite del caso. Incoraggiante la stretta su auto e aerei blu, e l'ulteriore decurtazione del 10% del finanziamento ai partiti, così come l'accorpamento delle tornate elettorali (esclusi i referendum), ma sugli stipendi dei parlamentari bisognerà fare i conti con le competenze esclusive di Camera e Senato. E questo non lascia ben sperare.

SVILUPPO, SANITA', STATALI - Certo, non mancano buone misure per favorire lo sviluppo, ma anche su questo fronte manca un cambio di paradigma. Le liberalizzazioni, per esempio, si riducono agli orari di apertura dei negozi (solo in alcune città) e ai servizi di collocamento, mentre il capitolo professioni e ordini rimane blindato, tranne rare eccezioni che scommettiamo il Parlamento renderà non più tali. Molto positiva la tassazione di vantaggio (aliquota del 5% per 5 anni) per le imprese create dai giovani fino a 35 anni e per il nuovo modello contrattuale concordato da sindacati e Confindustria, per incentivare contrattazione decentralizzata e premi di produttività; bene la reintroduzione dei ticket circoscritta agli esami specialistici e ai codici bianchi in pronto soccorso, per responsabilizzare un minimo gli utenti, e la proroga del blocco delle assunzioni e degli aumenti contrattuali nel pubblico impiego, così come la stretta sulle assenze, con la "visita fiscale" che potrà scattare fin dal primo giorno della dichiarata malattia.

FISCO - Se pare accantonata la tassa del 35% sulle operazioni finanziarie delle banche, così come il balzello dello 0,15 per cento sulle transazioni finanziarie, viene però aumentata l'Irap a carico di banche, assicurazioni e società finanziarie, e viene aumentato il bollo sul "dossier titoli", misure il cui peso si trasferirà ovviamente sui clienti e che inspiegabilmente vanno a "punire" chi investe nella crescita del Paese. Passa anche il superbollo per le auto di grossa cilindrata (potenza superiore a 225 kw), mentre su questa follia dei Suv giganteschi vedrei con maggiore favore restrizioni e disincentivi a livello comunale, per occupazione di suolo pubblico. La delega sul fisco è una scatola vuota. Le tre aliquote Irpef ok, ma tutto dipenderà dagli scaglioni di reddito che verranno associati ad esse e da quante risorse per finanziare la riforma verranno dalla spesa pubblica corrente. Probabili l'aumento dell'Iva e la cosiddetta «armonizzazione» della tassazione sulle cosiddette "rendite" finanziarie. Unica aliquota fino al 20%, esclusi i titoli di Stato: saliranno le tasse sulle obbligazioni e scenderanno quelle sui depositi bancari, oggi al 27. Ai piani di risparmio, ai fondi pensione e alle forme di assistenza socio-sanitaria complementare si promettono aliquote inferiori al tetto del 20. A parte il fatto che il risparmio investito è già stato abbondantemente tassato alla fonte, sul reddito, l'orientamento sembra quello di "punire" gli investimenti più rischiosi, il finanziamento delle imprese tramite la Borsa, e premiare il semplice deposito o quelli più "conservativi". Demenziale, ben sapendo della cronica difficoltà delle nostre imprese nell'accesso al credito e nell'attrarre investimenti in Borsa.

Thursday, June 30, 2011

No, non ci siamo proprio

A poche ore dal varo della manovra in Consiglio dei ministri le anticipazioni e le voci che circolano sui giornali di oggi sono a dir poco deprimenti. Non solo rispetto alle nuove entrate i tagli strutturali previsti non sembrano assumere la forma necessaria di una vera e propria "aggressione" alla spesa pubblica e sono troppo diluiti nel tempo, non solo non s'intravedono all'orizzonte né una riduzione, sia pur minima, della pressione fiscale, né vere "frustate" liberalizzatrici, ma spuntano tasse e balzelli di ogni tipo che rivelano un approccio anti mercato col quale sarà difficile portarci oltre l'1% annuo di crescita. E senza crescita, è a rischio persino l'obiettivo minimo di questa manovra: il pareggio di bilancio nel 2014.

Al di là di alcune misure condivisibili, si prosegue con una logica da Prima Repubblica, cioè con una caccia grossa a coloro che hanno ancora qualche spicciolo da parte. Il saccheggio dei granai, insomma, mentre l'obiettivo dovrebbe essere quello di farli riempire i granai e di ampliare la platea di quanti producono ricchezza. Manca solo la rapina notte tempo sui conti corrente messa a segno da Amato nel '92, e poi siamo ad una manovra da Prima Repubblica. L'impressione che se ne ricava è che piuttosto che spendere meno, i politici se ne inventino una in più di Dracula per succhiare altro sangue. Una buona metà degli italiani si chiederanno a questo punto che cosa hanno votato a fare il centrodestra nel 2008. Di un centrodestra del genere l'Italia non ha bisogno, non ha alcun senso.

L'adeguamento dell'età di pensionamento delle donne a quella degli uomini, a 65 anni, è una barzelletta: avverrà in modo graduale a partire dal 2020 concludendosi nel 2030! Si rinuncia ad una misura impopolare ma strutturale, per una altrettanto impopolare ma certo non virtuosa: il superbollo sui Suv e le auto di grossa cilindrata (quale la prossima "riforma strutturale", l'aumento delle imposte sulle sigarette?). Attenzione: avrebbe un qualche senso far pagare ai fumatori le spese sanitarie che lo Stato dovrà sostenere per curare le loro malattie, e ha un qualche senso "punire" questa mania dei Suv giganteschi, che nel contesto urbano delle nostre città sono una follia. E la reintroduzione del ticket sanitario avrà l'effetto di responsabilizzare un minimo i cittadini nel ricorso ad esami specialistici e al pronto soccorso. Ma è la mentalità che rivelano queste misure ad essere preoccupante: raccontano di un governo che anziché concentrarsi unicamente nel tagliare la spesa, cerca spasmodicamente nuove entrate.

Ci sono poi misure che rivelano un istinto anti mercato e che rischiano di avere un impatto persino depressivo sull'economia. Tassare le transazioni finanziarie e accanirsi sulla gestione delle attività finanziarie da parte delle banche è una roba "comunista". Punto. Si punisce chi decide di investire i propri risparmi (da una fonte di reddito già tassata) nel finanziamento di attività produttive, pur sapendo della cronica difficoltà delle nostre imprese di ottenere credito dalle banche e finanziamenti in Borsa. Tra l'altro, come ricorda Nicola Porro su Il Giornale, «se una banca o una società devono pagare un euro in più di imposte, è molto probabile che facciano di tutto per traslarle sul proprio cliente. Il quale, a sua volta, se è in grado, le fa pagare al suo di cliente. La sintesi finale è la regressività dell'imposta».

E' positiva la conferma della riforma del Patto di stabilità per i Comuni, per cui chi rispetta gli obiettivi di bilancio e ha soldi in avanzo potrà spendere, a differenza di quanto avviene oggi, così come è rassicurante l'allentamento delle "ganasce fiscali", con il raddoppio dei termini oltre i quali scattano i pignoramenti (da 120 a 240 giorni). Il Foglio si accontenta della liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura degli esercizi commerciali (ma solo nei comuni di interesse turistico e nelle città d’arte), ed è certamente un'ottima misura «sviluppista», ma il segno generale della manovra è a dir poco conservativo dell'esistente. Il pressing su Tremonti sembra non aver prodotto un sussulto di riforme liberali, sia sulla spesa che sulle tasse, bensì una diluizione nel tempo e un ammorbidimento (soprattutto, sembra, su previdenza e costi della politica) dei tagli. Ciascuno è impegnato a salvare dalla sforbiciata il proprio portafoglio ministeriale, non a offrire al Paese un approccio nuovo alla riduzione della spesa pubblica. Manca un ripensamento generale dello Stato e delle sue funzioni, mentre siamo di fronte ad una manutenzione, sia pure "responsabile" ma semplicemente ragionieristica dell'esistente. E non è detto che basti. Il giudizio sulla manovra lo daranno Moody's e le altre agenzie di rating, ma potrebbe essere senza appello.

Dove tagliare? I conti che fa Oscar Giannino sono impietosi nella loro semplicità. Basta avere la volontà politica di tagliare. Basta guardare i numeri e chiunque può comprendere all'istante come difendendo la spesa pubblica i politici difendono in realtà se stessi, mentre fanno credere ai cittadini di difendere i servizi - scadenti - che ricevono dallo Stato.

Wednesday, June 29, 2011

Compromesso al ribasso

Il più tipico dei compromessi al ribasso è quello che si sta profilando sulla manovra fra Tremonti da una parte e Berlusconi, Bossi e gli altri ministri dall'altra. Nonostante delle buone misure ci saranno quasi certamente, si è preferito vivacchiare piuttosto che porsi obiettivi ambiziosi. E gli italiani hanno già espresso il loro giudizio sui governi che tendono a vivacchiare. Aspettiamo il varo ufficiale, ma come temevamo il pressing su Tremonti non sta producendo un sussulto di riforme liberali, sia sulla spesa che sulle tasse, bensì una diluizione nel tempo e un ammorbidimento (soprattutto, sembra, su previdenza e costi della politica) dei tagli. Ciascuno è impegnato a salvare dalla sforbiciata il proprio portafoglio ministeriale, non a offrire al Paese un approccio nuovo alla riduzione della spesa pubblica. Manca un ripensamento generale dello Stato e delle sue funzioni, mentre siamo di fronte ad una manutenzione, sia pure "responsabile" ma semplicemente ragionieristica dell'esistente. E non è detto che basti per allontanarci dal baratro in cui è precipitata la Grecia. Infatti, spostando in là negli anni i tagli più corposi rischiamo di non apprezzarne gli effetti benefici sui conti pubblici. Di rimanere sul filo del rasoio per altri due anni. Forse Bruxelles sì, ma non è detto che i mercati ci concederanno questo tempo. Rivelatrici saranno le decisioni di Moody's e le altre agenzie sull'ipotesi minacciata di declassamento del rating sul nostro debito, ma stiamo giocando col fuoco.

Serviva invece più coraggio. Sulle tasse, ma anche sui tagli alla spesa e sulle tante altre riforme e liberalizzazioni che potevano essere fatte a costo zero. In vista del 2013 la domanda chiave che nel centrodestra dovrebbero porsi è: potremo presentarci di fronte ai nostri elettori sostenendo di aver ridotto il peso dello Stato e cominciato a sgravare le spalle di famiglie e imprese? Al netto di autolesionismi e suicidi del centrosinistra, dalla risposta a questa domanda dipenderanno le sorti elettorali del centrodestra. Il rischio è che non solo si arrivi al 2013 con la solita crescita che non supera l'1% annuo, ma che nemmeno i conti pubblici siano incontestabilmente in ordine. Arrivare al pareggio nel 2013 avrebbe significato anticipare dei sacrifici, ma almeno presentarsi alle elezioni avendo raggiunto un traguardo.

Tuesday, June 28, 2011

Se salta il tappo Tremonti

Fin dai primi passi della legislatura avevamo ben presente quale fosse il rischio del prevalere, nella compagine governativa, delle spinte anti-tremontiane. Da critici della prima ora del tremontismo avvertivamo tuttavia che non tutte le forze che si oppongono all'immobilismo rigorista del ministro erano volte al "bene". Ci sono quanti - e sono purtroppo minoritari - rimproverano al ministro di aver represso con la scusa della crisi lo slancio riformatore dell'Esecutivo, ritenendo invece che proprio la crisi economica nel 2009, così come oggi la crisi dell'eurodebito, offrivano l'occasione per far digerire al Paese riforme profonde sia per mettere in sicurezza i conti pubblici che per favorire la crescita. Ma molti degli avversari di Tremonti, forse la maggior parte, si nascondono dietro la necessità delle cosiddette politiche per lo sviluppo al solo scopo di proteggere dai tagli il proprio portafoglio ministeriale o la propria fetta di spesa pubblica.

Per questo oggi far saltare il tappo Tremonti presenta molte incognite, qualche opportunità ma anche molti rischi. Ripeto: è ciò che, da critico di Tremonti, l'onestà intellettuale mi impone però di riconoscere. Non so come andrà a finire il braccio di ferro tra Berlusconi e Bossi da una parte e il ministro dall'altro. Il rigore, più che necessario, rischia di essere fine a se stesso, se il Paese continua a crescere dell'1% annuo (quando va bene), e quindi potremmo svegliarci non tra qualche anno, ma tra qualche mese, e scoprire che tutti i sacrifici fatti non sono serviti a nulla. Ma d'altra parte, se il pressing sul ministro, o addirittura il suo allontanamento, portassero ad allentare i cordoni della borsa, o a non tagliare la spesa nella misura necessaria, allora sarebbe una catastrofe.

Occorre invece essere più coraggiosi nei tagli alla spesa per poter essere più coraggiosi nel tagliare le tasse. Lo Stato va ridotto. Di più. Va sottoposto ad una spietata cura dimagrante. E restituire ai cittadini, alle imprese e alle famiglie, una parte dei loro guadagni oggi vampirizzati dal fisco è l'unico modo per incoraggiare le attività produttive. A meno che non si ritenga, come Bersani, che per incoraggiarle occorra prelevare «soldi freschi» dalle tasche dei cittadini per redistribuirli in modo dirigistico alle attività che una cerchia di "illuminati" ritiene più produttive (alla fine secondo le proprie convenienze politiche). E' ciò che intendono quanti parlano di una "politica industriale".

Molta demagogia si è fatta sui cosiddetti tagli lineari, quando tutti sappiamo che in Italia, appena ci si chiede dove tagliare selettivamente, dal presidente della Repubblica fino all'ultimo degli editorialisti nessuno indica con precisione dove tagliare, tutti però sono bravissimi ad indicare i settori che non solo meritano di non subire tagli, ma persino di ricevere investimenti ulteriori. Un'ipocrisia francamente insopportabile di fronte alla quale appaiono di gran lunga più onesti i tagli lineari di Tremonti.

A due condizioni a mio avviso si possono rendere politicamente sostenibili misure impopolari ma certo non antipopolari: 1) dalla politica deve giungere un esempio concreto - e tra i tagli che vengono ipotizzati, il livellamento dei compensi pubblici alla media europea è una misura dal valore non soltanto simbolico. Certo è che il modo in cui Tremonti ha fatto filtrare le sue proposte anti-casta non è stato dei più limpidi e desta qualche sospetto che si prepari a giocare la carta demagogica in chiave tutta personale ("mi hanno fatto fuori perché volevo tagliare i privilegi della politica"), presentandosi tra qualche mese come salvatore della patria. 2) che a fronte della minaccia di finire come la Grecia, si offra agli italiani una prospettiva incoraggiante: stiamo riducendo lo Stato per rendervi più ricchi e più liberi. Per questo è fondamentale che quella fiscale sia una vera riforma.

La riduzione effettiva della pressione fiscale può anche essere minima in questa fase, ma dev'esserci. Naturalmente non in deficit, ma prelevare le risorse da qualche altra "tasca" sarebbe un inganno, oltre che probabilmente dannoso per l'economia. Un punto percentuale in più di Iva - in Italia già alta e altamente evasa - potrebbe essere facilmente eroso da ulteriore evasione, nonché fornire un alibi per aumenti ingiustificati dei prezzi, mentre l'aliquota sulle rendite finanziarie dovrebbe restare competitiva per non scoraggiare gli investimenti nel settore privato. Piuttosto, disboscare il sistema di deduzioni e detrazioni, semplificare, e tagliare ulteriormente la spesa. Se per centrare l'obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014 servono 40 miliardi, perché non si taglia la spesa di 50 per destinarne 10 alla riduzione della pressione fiscale complessiva?

La Lega ha ragione quando chiede che il patto di stabilità interno sia più clemente con i comuni virtuosi, ma ha torto quando rifiuta l'allungamento dell'età pensionabile. Dev'essere chiaro a tutti i cinquantenni che lavorare qualche anno di più è un sacrificio non fine a se stesso, o peggio un regalo al governo, ma a beneficiarne saranno i propri figli. E sarebbe delinquenziale se, esattamente come ha fatto il governo Prodi, per non mandare in pensione i cinquantenni qualche anno più tardi si aumentassero di nuovo i contributi ai lavoratori parasubordinati, i cosiddetti precari, che oltre a sopportare sulle proprie spalle tutto il peso della rigidità del mercato del lavoro, si ritrovano già buste paga piuttosto leggere.

Thursday, June 17, 2010

Manovra accerchiata

No, non mi fido. Non mi fido dei cambiamenti che da più parti si vorrebbero apportare alla manovra, per lo più in nome della crescita. A saldi invariati, il governo si dice aperto a contributi e modifiche migliorative. Quindi, ben vengano altri tagli, ma qui e là si riaffacciano brutti modi di ri-spendere subito le poche risorse raccolte. La manovra va difesa così com'è, purtroppo in Italia non c'è spazio per i distinguo, perché nel dibattito su come migliorarla si nascondono in troppi che vogliono solo annacquarla per favorire le loro clientele. Se si apre un pertugio, non si sa mai chi ci si può infilare.

I 'finiani', per esempio, abboccano in toto alla versione keynesiana di Bankitalia secondo cui ogni cent tagliato di spesa pubblica frena la crescita, già fioca, e quindi giù con le proposte per sostenerla, rischiando però di ricadere nel vizio dei pacchetti di stimolo (per giunta con pochissime risorse). In breve, la ricetta prevederebbe non meglio identificati investimenti "tecnologici" qui e là e il ritorno del credito d'imposta per le imprese, a sostituire, scrivono, la «marea di miliardi di euro che ogni anno lo Stato dà alle imprese sotto forma di contributi a fondo perduto». Ma Lakeside Capital si è già incaricato di segnalare le controdindicazioni di questa politica. E il dubbio è che i maggiori tagli proposti (ripeto: ben vengano) servano a dispensare gli amati statali dai "sacrifici" previsti dalla manovra, come si poteva facilmente scorgere in un post di due giorni fa dell'on. Bocchino.

Diffido anche delle reali intenzioni delle regioni e delle buone ragioni di bravi governatori come Formigoni. E' vero che tagli uguali per tutte le regioni, in proporzione ai trasferimenti ricevuti, non è il migliore dei modi di procedere, perché non si distingue tra virtuosi e viziosi, premiando i primi e colpendo i secondi. Ma, primo, anche nelle regioni più virtuose la spesa è tale che esistono ampi margini per tagliare (pensioni di invalidità, eccessi di personale, sussidi vari, enti e imprese inutili); secondo, proviamo solo ad immaginare cosa accadrebbe se il governo, d'un tratto, dicesse, alla Lombardia che è stata brava togliamo 5, e alla Calabria che è stata pessima togliamo 15, e in mezzo tutte le altre. E' vero che sarebbe questa una logica coerente con il federalismo fiscale, ma per ora il meccanismo ancora non c'è e un criterio simile per questa manovra sarebbe visto come ancora più arbitrario.

Resta inoltre un pesante interrogativo. Se Tremonti e Berlusconi hanno dall'inizio assicurato disponibilità a discutere sul come tagliare, fermo restando il quanto, non dovrebbero esserci problemi. Perché, se il problema è davvero non punire le regioni virtuose, la Conferenza delle Regioni non propone al governo un meccanismo per cui i tagli colpiscano meno chi ha ben governato? Dunque, o mentono Tremonti e Berlusconi (non sono disponibili a discutere, neanche sul come), oppure le regioni ci marciano: in realtà, vogliono solo subire minori tagli complessivamente, e non distribuirli in modo più intelligente e meritocratico.

Monday, June 07, 2010

Occasione da non perdere

La Commissione europea oggi è apparsa irremovibile sulla necessità dell'equiparazione immediata, a partire già dal primo gennaio 2012 (e non dal 2018 come previsto dal governo), dell'età di pensionamento delle donne nel settore pubblico a quella degli uomini, cioè a 65 anni. E' una fortuna. La manovra, ha riconosciuto il ministro del Welfare Sacconi, è «il veicolo più tempestivo» per adeguarci alla richiesta dell'Ue. E c'è davvero da augurarci che il governo non sia così stupido da lasciarsi sfuggire questa occasione. Oltre a risparmiare centinaia di milioni di sanzioni, potrebbe fare subito una riforma strutturale comunque inevitabile, migliorando la manovra sul fronte della tenuta dei conti pubblici.

Certo, le proteste delle parti sociali e delle categorie più retrive sarebbero ancora più veementi, mettendo alla prova la determinazione riformista sia della maggioranza che dell'opposizione. Ma per arginare l'impopolarità della misura il governo può sempre contare sul solido - e solito - argomento "l'Europa ci obbliga", senza il quale pare che in Italia non sia possibile alcuna riforma significativa. E chissà che la dialettica tra il ministro Sacconi e la commissaria Reding non fosse nient'altro che un più che opportuno gioco delle parti. Il risparmio per le casse dello Stato sarebbe in effetti piuttosto esiguo nel breve termine, ma nel medio-lungo termine potrebbe liberare importanti risorse per riequilibrare la spesa sociale a vantaggio dei capitoli ad oggi trascurati. E potrebbe rendere più accettabile l'innalzamento dell'età pensionabile anche nel settore privato.

Friday, June 04, 2010

Voglia di deregulation

Colpo di reni di Berlusconi e Tremonti, che dopo tanto rigore sulla stabilità dei conti e sui tagli alla spesa, riportano l'attenzione sulla crescita, con un annuncio tutto da verificare (di promesse non mantenute e annunci a vuoto è lastricata la via dei governi Berlusconi), ma comunque positivo. Si poteva cogliere già dalla nota di ieri di Palazzo Chigi che qualcosa del genere bolliva in pentola. Laddove, smentendo le voci su presunti contrasti tra il premier e il ministro dell'Economia, faceva riferimento ad «un grande progetto di liberalizzazione delle attività economiche», «per rendere il nostro Paese competitivo sulla crescita». Oggi il ministro Tremonti ha chiarito i contorni del progetto: una misura straordinaria «per la libertà di impresa», che porti ad una «sospensione per 2-3 anni» delle autorizzazioni richieste alle piccole medie imprese, alla ricerca e alle attività artigiane. Una sorta di deregulation, dunque, che riguardi l'economia reale e non la finanza. Una misura che non comporterebbe i soliti incentivi fiscali, quindi spesa ulteriore. Una di quelle riforme a costo zero a lungo invocate.

Una proposta che il ministro dell'Economia intende presentare domani al vertice G20 di Busan, in Corea del Sud, e lunedì prossimo all'Ecofin. «Non si tratta di liberalizzazioni o di privatizzazioni - ha spiegato Tremonti - perché non si cambia il sistema dall'interno, ma di una rivoluzione liberale che renda possibile tutto ciò che non è proibito». Il ministro pensa quindi «ad una radicale e totale autocertificazione per le pmi, l'artigianato e la ricerca, con i controlli e la verifica dei requisiti fatta ex post», ma «limitata all'economia reale e non alla finanza, e con l'urbanistica che abbia un regime a parte». Finalmente qualcosa di liberale.

L'Europa, ha osservato il ministro, deve eliminare «l'eccesso di regole» che si sono stratificate negli ultimi 30 anni, pena «una dolce morte». «Non ha alternative», perché ormai l'eccessiva regolamentazione dell'economia reale «è un lusso che non si può permettere», data la concorrenza dei Paesi in via di sviluppo. «Inutile mettere benzina in un'auto che è bloccata da un macigno», sarebbero «soldi buttati». Per questo, secondo Tremonti, da un lato la stabilità dei conti pubblici «è tutto quello che si deve fare», ma la crescita è possibile solo «liberandosi dalla zavorra» delle regole. «O lo fai - ha concluso - oppure l'Europa si autosoffoca e non c'è sviluppo e può fare solo il guardiano di un cimitero o, al massimo, il tenutario elegante di un antico Relais».

Non si capisce perché si dovrebbe passare attraverso l'incognita di una modifica dell'art. 41 della Costituzione, e ci attendiamo dai 'finiani' e dalla sinistra i soliti richiami alla «legalità» da garantire. Vedremo se almeno su questo il governo saprà non farsi frenare.

Monday, October 01, 2007

Finanziaria da rassegnazione

Impietosa bocciatura della Legge Finanziaria varata dal Governo Prodi da parte di Tito Boeri e Pietro Garibaldi (lavoce.info): «Il complesso della manovra di bilancio per il 2007 e 2008 peggiorerà i conti pubblici, rispetto a quanto avverrebbe in sua assenza. Si tratta di mezzo punto di Pil di deficit in più. Dal punto di vista dell'equilibrio di bilancio e degli impegni europei sarebbe meglio fare a meno di decreto fiscale e Legge Finanziaria. Una fetta consistente del peggioramento dei saldi è dovuta a maggiori spese e non a riduzioni di tasse. Quindi non si può neanche sostenere che si tratta della restituzione agli italiani dell'extragettito. E' invece una rinuncia a investire nel futuro».

Da notare che Boeri e Garibaldi sono due tra gli studiosi di cui si starebbe circondando Veltroni per elaborare il suo programma economico.