E' Christian Rocca ad osservare, oggi su Il Foglio, che «a seguire l'agenda politico-diplomatica newyorchese di Vernetti si nota una differenza di approccio alle questioni internazionali rispetto ai suoi più alti in grado», Prodi e D'Alema. A noi è venuto subito in mente che anche Emma Bonino, durante la visita del Governo in Cina - soprattutto prevedendo ciò che tutti sapevano (che cioè le autorità cinesi avrebbero chiesto a Prodi di prendere le posizioni che poi ha preso) - poteva trovare degli spazi, pensare a un gesto concreto, per rimarcare una differenza di approccio alle questioni internazionali rispetto al suo più alto in grado. E' la mancanza che abbiamo sottolineato in un capoverso in fondo all'articolo di ieri su L'Opinione. Bastava poco, si poteva e si doveva.
Vernetti, per esempio, mentre Prodi incontrava all'Onu il presidente iraniano Ahmadinejad, partecipava di fronte al Palazzo di Vetro alla manifestazione anti-Ahmadinejad insieme con l'opposizione iraniana e i gruppi pro Israele guidati dal premio Nobel Elie Wiesel; mentre Prodi invocava e praticava il dialogo con il negatore dell'Olocausto, Vernetti e i manifestanti chiedevano la semplice applicazione dello Statuto dell'Onu e la conseguente espulsione dell'Iran dal consesso delle Nazioni Unite.
Le dichiarazioni che il sottosegretario della Margherita rilascia al Foglio impressionano per quanto di "radicale" vi si riconosce: «L'idea che si possa fare a meno di democrazia e diritti, ottenendo in cambio la stabilità politica, è un reperto del passato, spazzato via dall'11 settembre. Quel modo di pensare non è più possibile». Traducendo questi concetti in azioni politiche, Vernetti si ritrova in piazza contro Ahmadinejad, ma anche a marcare un'ulteriore differenza rispetto all'apertura di Prodi per la fine dell'embargo europeo sulle armi alla Cina: «In tutti i miei incontri con i rappresentanti del governo di Pechino ho fatto puntuale richiesta sulla libertà religiosa e di stampa e ho chiesto l'eliminazione della pena di morte per quella quarantina di reati non di sangue... non bisogna avere paura della Cina, né pensare di adottare sciocche misure protezioniste alla Tremonti. Via libera al mercato, purché queste concessioni non siano gratuite: noi ci apriamo agli scambi commerciali, ma voi ci date qualcosa in termini di diritti».
Se il nome di Emma Bonino è una garanzia nel campo della promozione dei diritti umani e della democrazia, è anche vero che non conta "il nome" di per sé, ma chi quelle idee le porta avanti concretamente, anche con piccoli gesti. Ciò che Vernetti ha fatto all'Onu è ciò che i radicali avrebbero sempre voluto fare, una volta acquisito il ruolo di rappresentanti di governo. Insomma, il classico caso dell'allievo che supera la maestra. E' confortante però che qualche seme "radicale" stia germogliando, anche se lontano dalla pianta.
Leggendo tutto il mio articolo su L'Opinione si comprende che le mie non sono critiche moralistiche per le parole sui diritti umani che sarebbero mancate durante la visita del Governo in Cina, ma per le prese di posizione che ci sono state. Non è chi constata un danno d'immagine a procurarlo, altrimenti si tratta di una via stalinista per dare addosso all'avversario interno.
Le generiche dichiarazioni sui diritti umani, come sempre, ci sono state, e, come sempre, sono gratis. Avrei capito se si fosse detto: "Visita commerciale, non si parla di democrazia e diritti umani". Ok, è coerente, non mi piace ma è coerente. Invece la visita ha vissuto un suo momento altamente politico quando Prodi ha incontrato i vertici della Repubblica popolare cinese a Pechino. Lì ha schierato l'Italia con il Governo cinese su due pilastri della sua politica. Di fatto, obiettivamente, ha praticato una politica filo-dittatura, non (lo ripeto) perché abbia taciuto sui diritti umani o abbia fatto affari commerciali, ma perché ha sposato due obiettivi strategici di stampo nazionalistico della dittatura cinese.
Lì, a Pechino, nel momento politico (non più commerciale) della visita, mi sarei aspettato da Emma Bonino un gesto concreto per rimarcare una differenza di approccio nei confronti di Pechino, come Vernetti - e abbiamo visto con quanti e quali argomenti - ha fatto all'Onu nei confronti di Ahmadinejad. Si potrebbe obiettare che la Bonino è ministro al Commercio Estero e non alla Farnesina, ma allora viene meno l'obiettivo di far "maturare" sul campo quel ruolo che a tavolino, in sede di negoziazione per la formazione del Governo, non si riuscì a ottenere, per le vicende che sappiamo, e che doveva servire come postazione per l'alternativa.
Comunicati nei quali si fa notare come Prodi abbia semplicemente fatto e detto ciò che Berlusconi, Ciampi e Fini avevano detto e fatto prima di lui sono dei clamorosi autogol. Si mette, certo, in luce la contraddizione negli avversari, ma si conferma la propria: non doveva, il Governo Prodi, dare segni di discontinuità? Non dovevano, i radicali, almeno provare l'alternativa, dopo l'alternanza? Chi meglio può provarci se non una radicale ministro?
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