Pagine

Wednesday, September 28, 2011

Blog, rettifica non è censura

Anche su notapolitica.it e taccuinopolitico.it

Da titolare di un blog politico da quasi dieci anni, praticamente dall'alba della "generazione blogger", questa rivolta dell'immaginario "popolo del web", questo gridare alla censura per quella norma del ddl intercettazioni all'esame della Camera che obbligherebbe i siti internet, blog compresi, alla rettifica, non mi convince affatto. Alle mie orecchie suona come il tipico riflesso conformista internettiano. "Bavaglio", "ammazza-blog", attentato alla "libbbertà della Rete" (doverosamente con la maiuscola). Siccome gli assoluti mi insospettiscono, ci ho ragionato un po' su. Premetto che qui non s'intende difendere l'emendamento in questione, che può, e quindi deve, essere migliorato per corrispondere in modo equo alle diverse situazioni e responsabilità in campo, bensì il principio. Coloro che respingono in linea di principio l'idea che persino un blog debba garantire il diritto alla rettifica non conoscono la rete, non hanno ben compreso le sue enormi potenzialità – anche se in suo nome e in ragione di esse pretendono di alzare la voce – oppure le hanno comprese ma fanno i furbi.

L'obbligo di rettifica non può valere anche per i siti internet, si obietta, perché «esiste una differenza abissale tra un blog, magari gestito da un ragazzo, un giornale e una televisione». «Differenza abissale»? Ma come? Non cerchiamo quotidianamente, noi blogger, di dimostrare che la grande rivoluzione di internet è proprio quella di aver annullato, almeno potenzialmente, questa differenza? Non crediamo più a questa rivoluzione? Grazie a internet anche l'autore più anonimo può essere letto potenzialmente da milioni di persone in tutto il pianeta; twitter può essere più potente di un'agenzia di stampa; il blog più inutile e sconosciuto può diventare in un paio d'ore una star mediatica, un imprescindibile "opinion leader", passando da una decina di lettori a decine di migliaia di contatti. E' già capitato, capita ogni giorno, è storia. E allora, se queste sono le enormi potenzialità di internet, un luogo virtuale dove un piccolo blogger può davvero competere con i mainstream media, fino a condizionare il dibattito pubblico, perché negare che ad esse corrispondano delle responsabilità? Così facendo non rischiamo forse di negare noi stessi le potenzialità della rete?

Non si può, a mio avviso, pretendere di sfruttare tali potenzialità senza riconoscere le responsabilità che implicano. E una delle responsabilità, quando si trasmette, si comunica qualcosa ad un'agorà mediatica potenzialmente illimitata, è legata al rispetto degli altri. Sostenere che solo le testate regolarmente registrate dovrebbero rispondere di ciò che scrivono e dicono, che siti e blog non dovrebbero essere soggetti a tale responsabilità solo perché compilati a livello amatoriale, perché non fanno parte della corporazione dei giornalisti, significa piegarsi ad una logica, corporativa appunto, che contraddice tutto ciò che internet rappresenta nel mondo di oggi. E sorprende che persino alcuni blogger liberali siano scivolati su questo terreno. Preferite forse l'obbligo di registrazione presso i tribunali, con tanto di ordini, contratti e sindacati? All'obbligo di rettifica dovrebbe attenersi chiunque comunichi ad un pubblico vasto, a prescindere dal media utilizzato e dalla sua inquadratura professionale.

La differenza tra un blogger – magari ragazzino – e un giornalista, una redazione, o un editore, è «abissale» nelle modalità operative (forse), non nelle responsabilità legate all'atto comunicativo. Nel momento in cui apro un blog e comincio a scrivere non sto scambiando quattro chiacchiere in salotto o al bar con i miei amici, sto esercitando la mia legittima fetta di "quarto potere", indipendentemente dall'ordine professionale cui sono iscritto. Ed è un potere che va esercitato responsabilmente, perché ha a che fare con le vite delle persone. Di più. Se le sorti professionali e imprenditoriali di giornalisti ed editori di professione dipendono dalla loro autorevolezza, quindi hanno – in teoria – tutto l'interesse a non divulgare notizie false, un blogger amatoriale può infischiarsene, causare lo stesso danno ma per lui a costo zero.

Per numero di contatti un sito internet può ormai competere con le tirature di un quotidiano. Una diffamazione via web si diffonde in modo molto più virale rispetto agli altri media, non è stampata sull'edizione di un solo giorno, né scorre via nel flusso radiotelevisivo, ma ad ogni ricerca su Google riaffiora, come un marchio potenzialmente indelebile. L'esempio ce l'abbiamo sotto gli occhi: il blog che la settimana scorsa ha pubblicato un'arbitraria lista di politici omofobi epppure omosessuali. Ebbene, l'insulto sta ovviamente nell'essere indicati come omofobi, non come omosessuali, ma perché ai diretti interessati non dovrebbe essere riconosciuto il diritto ad una rettifica, visto che del loro orientamento sessuale si parla?

La rete non è un mondo totalmente avulso dalla realtà. Internet è uno strumento di libertà, di informazione dal basso, ma è un luogo – chiunque lo frequenti lo sa benissimo – che pullula di diffamatori di professione, di odiatori seriali e persino di istigatori alla violenza, che spesso approfittano dell'anonimato. Non stiamo parlando di censure preventive, registrazioni, iscrizioni ad albi, ma di una semplice rettifica. Ed è chiaro che la rettifica non si riferisce ad un'opinione espressa, quindi non introduce una sorta di obbligo a dare spazio sul proprio sito al o ai punti di vista che si vogliono criticare, ma ad una notizia riportata o ad un giudizio su una persona. E' vero che il singolo blogger probabilmente non ha risorse e competenze giuridiche tali da potersi opporre a richieste di rettifica infondate, avanzate solo come forma di intimidazione, ma è pur vero che minore è il seguito del blog, minori saranno le probabilità di subire pressioni. E' vero che esistono già strumenti per punire eventuali illeciti – come la querela – ma richiedono la via giudiziaria e tempi lunghi, quando molto spesso chi si sente diffamato o danneggiato ha solo interesse a poter replicare sullo stesso media in tempi brevi. Tra l'altro, gli attuali strumenti di tutela sono già utilizzati nei confronti dei blog come forme di intimidazione, e ben più pesanti di un'ammenda di 12 mila euro. E' già capitato ad alcuni di vedersi recapitare minacce di denunce, alcune delle quali hanno addirittura avuto un seguito in tribunale (si veda il caso Morini-Moncalvo, conclusosi con l'assoluzione del blogger). Certo, ai siti amatoriali si potrebbero applicare norme meno stringenti. Ragionevoli in proposito le modifiche suggerite dal deputato Pdl Roberto Cassinelli, per esempio allungare i termini entro cui la rettifica dev'essere pubblicata e ridurre le sanzioni.

9 comments:

Stefano said...

premetto che non sono contrario alla rettifica. E che tempi e sanzioni si possono giustamente rimodulare, per un blog gestito da una sola persona 48 ore sono ridicole, si spera che l'autore non sia in ferie in malesia.

ma la parte che mi lascia più perplesso è quella che riguarda la rettifica incondizionata, basta la richiesta del diretto interessato.

banalmente, se io pubblico sul mio blog che l'onorevole xxx ha detto yyy, magari in conferenza stampa, e lui mi intima di rettificare dicendo 'non ho detto quella frase, il contesto del mio discorso era un altro', io che faccio? Mento? Oppure devo pagare la multa e poi imbarcarmi in una causa legale per dimostrare che avevo ragione, xxx ha detto davvero yyy, e riavere i miei soldi???

'prima paga e rettifica, poi vediamo se avevi o meno ragione in tribunale'. Mi spiace, ma questa logica è intimidatoria.

Anonymous said...

Chiunque sia contemporaneamente giornalista e blogger (il cui blog non sia ovviamente ospitato sul portale del giornale, ovviamente) sa che l’acquisizione delle notizie e le modalità del loro accesso, non hanno nulla in comune tra le due figure, tant’è che il blogger nella sua quasi totalità assume le notizie proprio dai mezzi d’informazione. E chiunque sa (o dovrebbe sapere) che l’Ansa che scorre su Internet non è la stessa che è al servizio di un giornale, quindi non esiste alcun legame di “colleganza” o di modalità operative (per non parlare dell’autorevolezza) tra un giornale o un blog che può solo imitarne lo stile. Ne è la conferma la stessa legge di cui discetti, che nemmeno ai più sprovveduti tra i legislatori verrebbe in mente di applicare al Corriere della Sera, tanto per fare un esempio. Per esperienza personale e da modesto esperto di comunicazione, so che ogni volta che viene chiesta una rettifica ad un grande giornale, solitamente viene rincarata la dose anziché la rettifica, molto rara. Avrei altri numerosi esempi, ma credo di aver reso l’idea.
Lasciare 48 ore per la rettifica senza l’onere della prova è chiaramente una censura ed è solo la chiave per entrare e legiferare nel mondo di Internet, sinora vissuto felicemente allo stato brado e nel quale i vari Woodcock, Ingroia, Boccassini e compagnia cantando non hanno potuto mettere becco e godono infatti di un pressoché generale disprezzo. Tu vuoi consegnare a questi tizi la chiave come hanno fatto i parlamentari con la loro immunità? Io no.
Infine – e concludo – quando scrivi “Alle mie orecchie suona come il tipico riflesso conformista internettiano” non capisco come un mondo vasto come Internet possa avere aspetti conformisti. Mi pare tecnicamente impossibile, data la vastità. Opinioni personali, che non è necessario condividere, naturalmente.
Vive cordialità.

JimMomo said...

Nel mio post cerco proprio di sollevare questa domanda: molti siti internet, compresi alcuni blog, fanno informazione (che non si limita solo alle fonti primarie come le agenzie di stampa), sono in grado di incidere sul dibattito pubblico, hanno rilevanza, oppure non contano un cazzo? Bisogna decidersi, perché se non contano un cazzo allora finiamola di parlare di blog, di Facebook, di twitter e in generale di internet in termini rivoluzionari, ma se hanno rilevanza, se cioè arrivano ad un pubblico e contribuiscono a formarne le opinioni - e mi pare sia innegabile - allora diffondendo notizie false sono anche in grado di diffamare e causare lo stesso tipo di danni all'immagine dai quali intende tutelarci la legge già esistente sulla rettifica. La differenza è che i giornali vendono milioni di copie e un blog può avere solo qualche decina di contatti? Falso, perché come dimostra l'iniziativa "lista outing", anche per un solo giorno un blog appena nato e costituito da una sola pagina può avere enorme risonanza su tutti i media. Un blog amatoriale può tranquillamente superare le copie vendute da un piccolo giornale (cioè la maggior parte) e i telespettatori di una tv locale. Le differenze stanno forse nelle modalità operative, ma non nelle responsabilità legate all'atto comunicativo in sé. P.S. La legge di cui "discetto" si applica eccome al Corriere della Sera, che poi non venga rispettata e il richiedente a volte non insiste - ma più spesso querela - è tutt'altra storia.

Veniamo all'"onere della prova", e qui rispondo anche a Stefano. Vedo che c'è parecchia confusione su cosa sia la rettifica. Non ha diritto alla rettifica chiunque, ma solo "i soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati ***attribuiti*** atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità". Non si chiede di modificare o correggere il proprio articolo o post, ma di pubblicare le dichiarazioni del soggetto richiedente, il quale ovviamente se ne assume la paternità e la responsabilità. Dunque, pubblicare la rettifica significa prendere atto che c'è una discordanza e dargli voce, non implica ammettere di essersi sbagliati o di avere torto. Giudicherà il lettore. Dunque, Stefano, non devi "mentire". Pubblichi la rettifica: in merito al post pubblicato in data ecc. ecc., l'onorevole xxx dichiara quanto segue: "Non ho mai detto yyy". Punto. Se non pubblichi la rettifica, il richiedente può rivolgersi al giudice per ottenere un'ordinanza d'urgenza che ti obblighi a pubblicarla e allora rischi la sanzione amministrativa. Ma il giudice in quella sede non valuta nel merito della notizia, si limita a valutare se il soggetto richiedente abbia o meno diritto alla rettifica o se tu hai adempiuto correttamente ai requisiti della rettifica. Quindi non ha senso parlare di "onere della prova". In caso di ricorso al giudice l'onere della prova (provare di avere diritto alla rettifica, non che la notizia è falsa, questo verrà eventualmente appurato in altra sede) è comunque a carico del richiedente. Non conta affatto se il tal xxx ha detto davvero yyy, conta che avesse in ogni caso diritto alla rettifica. Tutte le rettifiche sono "incondizionate, basta la richiesta del diretto interessato". Vale per la stampa, per le radio e le tv, anche le meno seguite, non vedo perché non debba valere per i siti internet, blog compresi, dal momento che ciò che si vuole tutelare non ha nulla a che vedere con le caratteristiche del media o la professione dell'operatore. Certamente si può discutere come rimodulare termini e sanzioni per i blog amatoriali, ma non mi pare una norma liberticida.

Anonymous said...

Federico, sto uscendo. Due sole sintetiche osservazioni:
1) Non si tratta di pubblicare la smentita come fosse un commento sotto il post: rileggiti l'art. 8 della legge sulla stampa così si chiarisce meglio cosa si intende per "smentita"
2) E' solo la testa d'ariete per i magistrati politicizzati che per bocca di Spataro hanno dichiarato "Internet non può essere una prateria del far west senza leggi!". Cominciano così, poi alle interpretazioni ci penseranno loro...
Temo che Berlusconi perderà l'unica fonte dalla quale riceveva una difesa ben modulata...
Cordialità.

JimMomo said...

1) Ma chi ha parlato di un "commento sotto il post"? Cerca di essere preciso nell'attribuirmi. Proprio all'art. 8 mi riferisco. Obbliga a pubblicare la rettifica, le dichiarazioni del richiedente, naturalmente con lo stesso rilievo, come dovrebbero fare i giornali per esempio, ma non a correggere il proprio articolo o post, né ad ammettere di essersi sbagliati.
2) A me pare che la "testa d'ariete" di certi magistrati politicizzati siano alcuni giornali, tv e anche siti internet, certo non lo strumento della rettifica.

Anonymous said...

Non ti ho attribuito niente: l’ho scritto io. Vediamo cosa scrive la legge: “Art. 2. (Definizione di prodotto editoriale).1. Ai fini della presente legge, per prodotto editoriale si intende qualsiasi prodotto contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione o di intrattenimento e destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso.
Cioè praticamente qualsiasi blog! Proseguiamo:
Art. 8.
(Attività editoriale sulla rete internet). 1. L’iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione dei soggetti che svolgono attività editoriale sulla rete internet rileva anche ai fini dell’applicazione delle norme sulla responsabilità connessa ai reati a mezzo stampa. 3. Sono esclusi dall’obbligo dell’iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione i soggetti che accedono alla rete internet o che operano sulla stessa in forme o con prodotti, quali i siti personali o a uso collettivo, che non costituiscono il frutto di un’organizzazione imprenditoriale del lavoro.”
Una descrizione fumosa che si presta ad ogni interpretazione. Potevano scrivere più chiaramente “Sono esclusi dall’obbligo (…) che non costituiscono il frutto di una impresa commerciale regolarmente costituita. Io non ho nessuna fiducia nella nostra magistratura, specie in materia di informazione e una legge scritta coi piedi che si presta ad “interpretazioni” sui siti considerati scomodi non è di mio gradimento. Forse abbiamo opinioni diverse, ma questa è la democrazia. Ti ringrazio per l’ospitalità e prendo commiato.

Stefano said...

@jim
la rettifica attualmente viene 'chiesta' al giornale o all'emittente. L'editore può rifiutare, e allora la palla passa al garante o al magistrato (di solito il garante perchè è più veloce) che valuta la fondatezza delle ragioni del richiedente, e obbliga, nel caso, l'editore a pubblicarla.

non esiste nessuna 'procedura automatica', come mi pare invece sia contenuta in questa leggicchia.

non servono grossi mezzi. Lavorativamente parlando, mi intendo di web reputation. Basta un programmino crawler, un aggregatore e un'impiegato minimamente sveglio e si possono tener d'occhio 10000 blog. E mandare a raffica mail chiedendo rettifiche.

tanto, una volta che la procedura è automatica, non serve manco dover produrre delle ragioni, basta dire 'non 'ho detto-fatto'

se mi sbaglio riguardo al nuovo disegno di legge, chiariscimi.

Marcantonio said...

Sulla rettifica, vi è abbondanza di elementi per tirare delle conclusioni.
Ma a me sembra importante cogliere l'occasione di questo dibattito per fare il punto sulla proposta disciplina delle intercettazioni, che sembra essere divenuto il punto di incontro tra le grane giudiziarie di Berlusconi e la crisi strisciante del suo governo.
La mia posizione è lineare: questo ddl i) non serve; ii) è controproducente. Non serve perché se gli uffici giudiziari fossero gestiti sulla base di criteri di economicità ed efficacia (come richiesto dalla Costituzione per qualsiasi ufficio pubblico), i) vi sarebbero assai meno intercettazioni; ii) la loro gestione sarebbe più rigorosa e limitata nel tempo (ad esempio, negli USA è difficilissimo per i district attorneys ottenere periodi superiori ad un mese e raramente si va oltre i tre); iii) i titolari degli uffici (procuratore capo, presidente del tribunale) eserciterebbero una vigilanza severa sulla riservatezza delle informazioni raccolte ed impartirebbero disposizioni precise perché le informazioni non rilevanti (in genere riguardanti terzi estranei) vengano espunte dagli atti. Se ció avvenisse (corollario: procedimenti per divulgazione del segreto d'ufficio ed atti assai più concisi ed essenziali, invece delle tesi dottorali che sono di moda in Italia), la regolamentazione per via legislativa delle intercettazioni (che è comunque problematica) diverrebbe superflua.
Il ddl 'intercettazioni' è controproducente perché consente ad una burocrazia statale che opera con scarsi pesi e contrappesi (la magistratura, in particolare le procure), di trasformare un problema concreto in una questione di principio, dato che è innegabile che la disciplina proposta farà da ostacolo alle indagini, col risultato probabile che non se ne farà nulla (anche a causa della probabile opposizione del Quirinale), consacrando lo status quo (cioé la quasi totale discrezionalità delle procure e l'uso forsennato dei contenuti intercettati da parte dei media).
Del resto, nei maggiori Paesi europei ed occidentali una disciplina di tale natura non esiste, per una ragione precisa: gli uffici giudiziari dispongono di bilanci adeguati, ma non illimitati (come sembra essere il caso per le procure italiane), ed i responsabili degli uffici hanno vincoli di bilancio e di economicità precisamente fissati. Infine, anche i rapporti coi media sono, in alcuni Paesi come la Francia, regolamentati per via amministrativa, i magistrati francesi non potendo dare interviste senza l'autorizzazione del capo del proprio ufficio, mentre gli uffici giudiziari ricorrono frequentemente - quale mezzo preferenziale di comunicazione - ai comunicati stampa.

JimMomo said...

Sul ddl intercettazioni mi trovi d'accordo. Il punto è la riforma della giustizia (separazione carriere, Csm, eccetera), perché l'illegalità da colpire non è nei giornalisti, che pubblicano materiale più o meno di pubblico interesse ma che innegabilmente fa vendere i giornali, ma nei magistrati, del tutto irresponsabili persino rispetto a evidenti violazioni di legge.
Un solo esempio: esce un atto, l'inchiesta viene trasferita ad altra procura. Ma per far questo temo occorra modificare la Costituzione.