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Friday, February 03, 2012

Meglio soli che male accompagnati


Un colpo di reni del ministro Fornero, che al tavolo di oggi con le parti sociali sulla riforma del lavoro chiarisce le intenzioni del governo: dialogo sì, ma la riforma s'ha da fare (ce lo ha ricordato anche la cancelliera Merkel la scorsa settimana) e il governo la farà «nel volgere di poche settimane», anche senza l'accordo con sindacati e Confindustria.

I messaggi lanciati ieri dal premier Mario Monti durante le sue apparizioni sulle reti Mediaset, prima al Tg5 poi a Matrix, confermano che l'articolo 18 è sul tavolo: «Non è un tabù» e «può essere pernicioso per lo sviluppo in certi contesti», quali l'Italia, ha fatto capire. Da sempre sull'articolo 18 si scontrano due visioni diametralmente opposte: chi lo ritiene una tutela fondamentale, il baluardo dei diritti sociali; e chi invece un potente feticcio che frena le assunzioni e ostacola la crescita dimensionale delle imprese. In questa chiave bisogna leggere il proposito, annunciato ieri sera dal premier, di «ridurre il terribile apartheid che esiste nel mercato del lavoro tra chi è già dentro e chi fa fatica a entrare o entra in condizioni precarie». Siccome è impossibile obbligare le imprese ad assumere a tempo indeterminato – al limite, se si aboliscono tutte le altre tipologie di contratto, non assumeranno affatto – l'unico modo per rimuovere o per lo meno ridurre l'apartheid è rendere meno inamovibili gli insider, così che gli outsider possano beneficiare della maggiore mobilità.

Confindustria ha preso la palla al balzo. La presidente Marcegaglia si è detta «d'accordo» sul fatto che la riforma vada fatta e trova «ragionevole» che il governo vada avanti, anche perché «non è un accordo sindacale, su un contratto che deve vedere le parti sociali assolutamente coinvolte». Mercati ed Europa sono alla finestra, «aspettano di vedere come faremo questa riforma, che dimostrerà la capacità di cambiamento del Paese». Gli industriali sembrano finalmente aver preso coraggio nel sostenere anche il superamento dell'articolo 18: «Siamo totalmente d'accordo che non deve essere più un tabù, crea una dicotomia drammatica, pesantissima all'interno del mercato del lavoro. Quindi il tema è sul tavolo e noi lo sosteniamo». In particolare sul tavolo il ministro Fornero avrebbe portato lo stop al reintegro dei lavoratori licenziati per motivi economici nei casi di crisi aziendale.

Ma su un altro punto fondamentale della riforma, il passaggio dal sistema di ammortizzatori attuale, che tutela il posto di lavoro, anche se improduttivo, ad uno universale che tuteli il singolo lavoratore, in qualsiasi settore sia impiegato, che favorirebbe una più rapida ristrutturazione delle aziende o riallocazione degli investimenti produttivi, Confindustria mostra una certa resistenza, condivisa dai sindacati.

Sull'articolo 18 i sindacati sono pronti alla levata di scudi ma sono cauti nelle loro reazioni per non danneggiare la trattativa in corso. «Confindustria si fa prendere un po' la mano sulla scorciatoia dei licenziamenti», è la battuta della segretaria della Cgil Camusso, la quale piuttosto che i toni ultimativi di oggi preferisce «apprezzare, pur usando i condizionali d'obbligo, la dichiarazione del governo secondo cui l'intento è di lavorare per raggiungere un accordo». Bonanni della Cisl si augura che «in una situazione così nessuno si metta in testa in modo così pervicace la questione della flessibilità in uscita» e vede nell'articolo 18 un modo «per coprire le reticenze del sistema, un ballon d'essai per coprire altro». Ma il suo è un invito alla cautela: «Non daremo l'esca a nessun estremista che aizzi allo scontro. Il governo faccia lo stesso», suggerisce Bonanni.

Un tema, quello dell'articolo 18, che promette di diventare dilaniante all'interno del Pd, dove si scontrano la linea largamente maggioritaria, impersonata dall'ex ministro Damiano e dal responsabile economico Fassina, allineata a quella dei sindacati, e quella invece “liberale” di Ichino e dei 50 senatori che hanno sottoscritto la sua proposta. In mezzo Bersani, che dovrà sostenere le scelte del governo Monti, anche nel caso di un boccone amaro sull'art. 18.

Come prevedibile però la polemica si è scatenata in particolare su un'affermazione del premier Monti, quando ieri sera, ospite a Matrix, ha bollato come «monotono» il posto fisso. Apriti cielo! Dal Pd reazioni tra l'irritazione e lo scandalizzato, mentre Bersani tenta di gettare acqua sul fuoco (il pensiero di Monti, «ed io un po' lo conosco, è un po' più articolato» di quella battuta). Nel Pdl Sacconi e Gelmini danno ragione al premier, mentre Casini considera la sua una provocazione efficace, che non può scandalizzare, e Della Vedova una battuta infelice. L'intenzione del professore era quella di offrire un momento di verità nel dibattito spesso pieno di ipocrisie sulla precarietà. Monotono o meno, il posto fisso non esiste più, o esiste sempre meno, dunque sarebbe sbagliato indicarlo ancora oggi ai giovani come modello, come punto d'arrivo. L'unico modo per rendere meno precari i nuovi lavoratori, senza irrigidire il mercato peggiorando così il nostro gap competitivo, è rendere un po' meno inamovibili i vecchi.

1 comment:

Anonymous said...

Ma quant'è monotono avere il posto fisso da senatore a vita... Meno male che c'è LA Fornero che ha ridotto lo spread con la SUA riforma...