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Thursday, November 08, 2012

L'inizio della fine dell'America per come l'abbiamo conosciuta

Anche su L'Opinione

C'è un piccolo paradosso nella rielezione di Obama: la sua vittoria è sì netta nei numeri, ma molto meno di quattro anni fa. Eppure, è incomparabilmente più epocale. Quattro anni fa l'evento era il primo presidente di colore nella storia degli Usa. "Esperimento" eccitante, che ha sedotto molti elettori moderati e centristi, portandolo alla Casa Bianca sull'onda di uno spirito bipartisan. Logorato da quattro duri anni di presidenza, in cui è uscito fuori il suo lato più ideologico, Obama ha perso molti di quei voti (in totale ne ha presi quasi 10 milioni in meno del 2008). Ma proprio per questo la sua è una vittoria di portata storica, perché di (e da) sinistra (niente a che vedere con la "terza via" clintoniana), e perché indice di mutamenti strutturali, profondissimi nella composizione e nella mentalità dell'elettorato americano, demograficamente molto diverso da quello del 2004 e più spostato a sinistra. E' Obama ad aver cambiato connotati all'America, o è lui stesso il prodotto di tale cambiamento? Probabilmente entrambe le cose insieme.

Una rielezione nonostante dati macroeconomici così avversi, soprattutto la disoccupazione all'8%, fa riflettere sul reale peso dell'economia nelle scelte dell'elettorato. L'economia conta, certo, ma forse in modo diverso che in passato. Da un lato chi ha perso il lavoro può contare su sussidi più generosi e chi sta per perderlo sul salvataggio della sua industria, come in Ohio; dall'altro, tra no tax area e detrazioni molti americani non avvertono il peso del fisco, quindi sono meno preoccupati dei costi del welfare, della sanità pubblica, di cui vedono solo il lato "rassicurante" e umano. E' un approccio ai temi economici più "europeo", più orientato alle protezioni sociali che non al dinamismo tipico dell'economia americana. E senz'altro le variazioni demografiche – l'incidenza sul voto di afroamericani e ispanici, più inclini all'assistenzialismo – e le politiche obamiane stanno contribuendo alla diffusione di questo modo "europeo" di guardare all'economia.

Temi quali l'immigrazione, l'aborto, le unioni gay, sono stati decisivi in negativo per Romney, l'hanno reso invotabile anche da parte di elettori sull'economia critici nei confronti di Obama, perché il GOP resta drammaticamente arretrato su questi temi, ormai chiave per far breccia su elettorati determinanti. Obama ha infatti surclassato Romney oltre che nel voto femminile (+12 punti) e in quello degli afroamericani (+87), anche nel voto di ispanici (+40) e asiatici (+49), persino più di McCain (distanziato rispettivamente di 36 e di 27 punti), mentre ha mantenuto un ampio margine nel voto dei giovani (24 punti contro i 34 del 2008).

La forza di Obama, grazie al colore della sua pelle, sta nell'aver dato rappresentanza a una parte di America che fino ad oggi era rimasta divisa (troppo distanti tra loro giovani liberal, afroamericani e ispanici) e lontana dalle urne e che oggi, invece, si è risvegliata unita e maggioritaria nel paese.

Ma sarebbe sbagliato mettere sotto processo Romney. Nel voto popolare ha recuperato molto (da -7,3% a -2,3%) e ha strappato a Obama North Carolina e Indiana. Non era il candidato perfetto, probabilmente non ha scaldato i cuori e le menti della Right Nation, ma se ci fosse riuscito avrebbe perso troppi voti moderati e centristi, che invece ha in parte recuperato. Il tipico dramma della coperta troppo corta, insomma. Una sfida tremenda che ha di fronte tutto il GOP: come rappresentare la Right Nation e allo stesso tempo aprirsi su temi quali l'immigrazione e i diritti civili?

Da oggi, insomma, l'America è un po' meno "eccezionale". Da altri quattro anni di Obama alla Casa Bianca possiamo aspettarci la prosecuzione a tappe forzate del processo di "europeizzazione" degli Stati Uniti, una svolta storica.

3 comments:

Cachorro Quente said...

Scusa JimMomo ma quanti articoli puoi scrivere ripetendo un luogo comune dei repubblicani americani senza nessun tipo di analisi?

"According to the Organization for Economic Co-operation and Development, the U.S. economy is expected to grow at a rate of about 2.5 percent this year while the eurozone will be virtually flat; and unemployment in America will run (as it typically does) 2 to 3 points below Europe. The harsh limits on government spending imposed by EU rules and bond investors was, of course, precisely the policy which Mitt Romney was urging on American voters. The numbers show how wrong he was." (da Foreign Policy)

Io mi rendo conto che la logica di questa affermazione è opinabile, ma non il fatto che Obama si sta comportando in maniera molto diversa dall'Europa, e che gli Stati Uniti hanno per decenni utilizzato sia politiche di "tax and spend" che di aumenti del deficit, sia con amministrazioni democratiche e repubblicane.

JimMomo said...

E tu quanti commenti puoi scrivere ripetendo i soliti luoghi comuni su Obama e la spesa pubblica?
Forse il mio articolo è carente di analisi - e tra l'altro non è un articolo di analisi economica (per quella ti consiglio gli articoli di ieri di Alesina, Zingales e Giannino), ma vuol essere un'analisi politica, post-elettorale.
Ma il fatto che alcuni stati europei stiano faticosamente cercando di porre un freno agli eccessi del loro modello non significa che il modello non sia più tale, e quindi non contraddice la mia affermazione sull'europeizzazione.

Cachorro Quente said...

Un'analisi politica deve per forza semplificare, ma quando la semplificazione stravolge la realtà "fa anca steso" come si dice a Verona.
Un modello che comprende gli USA (bravi liberisti) e l'Europa (socialisti afflitti dal welfare) e dice che Obama vuole "europeizzare" gli USA non è un modello utile ad interpretare il mondo, perchè non comprende nella sua analisi l'esempio tedesco, i paesi del nord Europa, il problema del deficit negli USA, ma anche piu' sottilmente le radicali differenze che possono esserci tra un paese come l'Italia e uno come la Spagna (anche loro in crisi per il welfare?).