E' francamente sconcertante il lungo sfogo, oggi su la Repubblica, di Francesco Merlo contro Roberto Fiore. Non che il leader di Forza Nuova mi sia simpatico. Anzi. Merlo vorrebbe «restaurare» il principio che «nelle università italiane si può parlare solo per titoli e per competenze». Giusto, ma quando mai è stato così? Nelle richieste di Fiore di parlare di foibe nelle aule universitarie Merlo vede una «montante strategia del finto convegno storico, che ha la rissa e la violenza politica come reali obiettivi». Una strategia di cui Merlo si accorge oggi perché è Fiore ad attuarla, ma che studenti dell'estrema sinistra praticano da anni: convegni che di scientifico hanno ben poco usati come oggetti contundenti per colpire Israele, gli Stati Uniti, il capitalismo, i nemici ideologici. Personaggi dalla biografia giudiziaria almeno paragonabile a quella di Fiore hanno calcato le scene accademiche e politiche serviti e riveriti.
Del «rapporto che c'è tra la politica e la scienza» Merlo si preoccupa solo oggi che l'estrema destra chiede spazi di «agibilità politica» negli atenei. Quegli stessi spazi che da decenni sono "occupati", a volte anche illegalmente e con la forza, dall'estrema sinistra, senza che Merlo e gli altri intellettuali di sinistra si siano mai scandalizzati. Sono d'accordo con lui: «L'università italiana dovrebbe vietare l'abuso di agibilità politica» che alimenta un clima di violenza. «In nome dell'università, e non dell'antifascismo o dell'anticomunismo». Ma dovrebbe vietarlo a tutti gli «ultrà», sia di destra che di sinistra, non solo a Roberto Fiore.
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Thursday, June 05, 2008
Saturday, February 17, 2007
Anche gli sloveni criticano Napolitano
Dopo la violenta e strumentale (in funzione anti-europeista?) reazione del presidente croato Mesic alle parole del Presidente Napolitano sulle foibe, adesso si viene a sapere che in modo più civile, con toni moderati, con una lettera privata inoltrata al nostro Capo dello Stato nel riserbo dei canali diplomatici, anche il presidente sloveno Drnovsek ha protestato.
Top secret il contenuto della lettera slovena, e di quella di replica, sempre privata, di Napolitano, ma sarebbe un testo duro, molto lungo e articolato.
«Non possiamo, noi croati e sloveni — ha commentato Borut Pahor, leader della sinistra — essere le vittime della riconciliazione nazionale italiana».
Parole comprensibili, visto che - come osservavo in un precedente post - nel suo "coraggioso" discorso il Napolitano ha parlato di «disegno annessionistico» genericamente «slavo», di un'Italia mutilata nella sua regione orientale», tacendo per ipocrita pudore di chiamare in causa non slavi o latini, neri o bianchi, ma i fascisti e i comunisti dell'una dell'altra parte, le forze nazional-comuniste titine.
Top secret il contenuto della lettera slovena, e di quella di replica, sempre privata, di Napolitano, ma sarebbe un testo duro, molto lungo e articolato.
«Non possiamo, noi croati e sloveni — ha commentato Borut Pahor, leader della sinistra — essere le vittime della riconciliazione nazionale italiana».
Parole comprensibili, visto che - come osservavo in un precedente post - nel suo "coraggioso" discorso il Napolitano ha parlato di «disegno annessionistico» genericamente «slavo», di un'Italia mutilata nella sua regione orientale», tacendo per ipocrita pudore di chiamare in causa non slavi o latini, neri o bianchi, ma i fascisti e i comunisti dell'una dell'altra parte, le forze nazional-comuniste titine.
Monday, February 12, 2007
Napolitano scivola nel revanscismo
Davvero eccessiva la reazione del presidente croato Stipe Mesic al recente discorso di Napolitano in occasione della "Giornata del Ricordo delle Foibe e dell'Esodo": si è detto «costernato» dalle parole del Presidente italiano, «nelle quali è impossibile non intravedere elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico».
Un nazionalista, Mesic, ma rileggendo bene il discorso di Napolitano comprendiamo quale possa essere stato il motivo di tale risentimento. A un certo punto Napolitano parla di un «moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo che prevalse nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica» e, poco dopo, di un'Italia «umiliata e mutilata nella sua regione orientale».
«Moto di odio», «furia sanguinaria» e «disegno annessionistico» vi furono, ma al di là del merito collegarli al Trattato di pace del '47 e definire zone che oggi appartengono alla Croazia come quella «regione orientale» di cui l'Italia è stata «mutilata» somiglia molto a voler rimettere in discussione i confini. Intendiamoci, regioni come l'Istria e la Dalmazia non possono a cuor leggero, tout cour, dirsi «italiane» o «croate», ma se oggi ufficialmente sono croate definirle italiane assume l'inequivocabile valore politico di volerne rimettere in discussione lo status e non può che dar luogo a un incidente diplomatico.
Un altro scivolone, che spiega l'accusa di «razzismo», è l'uso da parte del Presidente del termine «slavo», sicuramente inappropriato nell'individuare la responsabilità della pulizia etnica delle foibe e dell'esodo. Per evitare di pronunciare il nome dei protagonisti di quel «moto di odio», di quella «furia sanguinaria» e di quel «disegno annessionistico» - i comunisti di Tito - il Capo dello Stato ha attribuito quel disegno genericamente agli slavi (termine che indica non un popolo ma una razza), non a un'ideologia politica, il comunismo, né semmai al nazionalismo jugoslavo.
Un nazionalista, Mesic, ma rileggendo bene il discorso di Napolitano comprendiamo quale possa essere stato il motivo di tale risentimento. A un certo punto Napolitano parla di un «moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo che prevalse nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica» e, poco dopo, di un'Italia «umiliata e mutilata nella sua regione orientale».
«Moto di odio», «furia sanguinaria» e «disegno annessionistico» vi furono, ma al di là del merito collegarli al Trattato di pace del '47 e definire zone che oggi appartengono alla Croazia come quella «regione orientale» di cui l'Italia è stata «mutilata» somiglia molto a voler rimettere in discussione i confini. Intendiamoci, regioni come l'Istria e la Dalmazia non possono a cuor leggero, tout cour, dirsi «italiane» o «croate», ma se oggi ufficialmente sono croate definirle italiane assume l'inequivocabile valore politico di volerne rimettere in discussione lo status e non può che dar luogo a un incidente diplomatico.
Un altro scivolone, che spiega l'accusa di «razzismo», è l'uso da parte del Presidente del termine «slavo», sicuramente inappropriato nell'individuare la responsabilità della pulizia etnica delle foibe e dell'esodo. Per evitare di pronunciare il nome dei protagonisti di quel «moto di odio», di quella «furia sanguinaria» e di quel «disegno annessionistico» - i comunisti di Tito - il Capo dello Stato ha attribuito quel disegno genericamente agli slavi (termine che indica non un popolo ma una razza), non a un'ideologia politica, il comunismo, né semmai al nazionalismo jugoslavo.
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