Ho tradotto per voi l'ultimo grande articolo di
Michael Ledeen,
«Engage!», uscito un paio di giorni fa su
National Review. Buona lettura.
Se volete vincere il dibattito, vincete la guerraPiaccia o no, siamo in una guerra regionale e non può essere condotta efficacemente all'interno di un ristretto confine nazionale. Non ci sarà mai una sicurezza decente in Iraq fino a che i tiranni a Teheran e Damasco rimangono al potere.Più di tre anni fa, prima della liberazione dell'Iraq, lamentavo che il nostro grande dibattito nazionale sulla guerra contro il terrorismo fosse un dibattito sbagliato, perché era «sull'uso della nostra irresistibile potenza militare contro un singolo paese per deporre il suo leader, mentre dovremmo discutere l'uso di tutto il nostro ingegno politico, morale e militare per sostenere una vasta rivoluzione democratica per liberare i popoli del Medio Oriente dai loro governanti tirannici. Quella è la nostra missione reale, l'essenza della guerra in cui siamo coinvolti e l'argomento appropriato del nostro dibattito nazionale.»
Il dibattito appropriato non è stato ancora intrapreso e l'incapacità di condurlo da parte dell'amministrazione rivela una grave mancanza di visione strategica. La guerra è stata strettamente mirata contro il regime iracheno di Saddam Hussein. Ma, come il presidente Bush stesso ha detto dopo l'11 settembre, era davvero, dal punto di vista logico, una guerra sia contro i terroristi stessi sia contro i regimi che adottano, sostengono, armano, addestrano, indottrinano e guidano le legioni dei terroristi che stanno proclamando la nostra distruzione.
A seguito della sconfitta dei Talebani, rimanevano quattro regimi siffatti: L'Iran, Iraq, la Siria e l'Arabia Saudita. Erano questi i veri "signori del terrore" (Master of Terror), senza il cui sostegno attivo i gruppi terroristici non avrebbero potuto lanciare un jihad globale. Essi avevano - e i tre sopravvissuti ancora hanno - due denominatori comuni: tutti attivamente sostengono il terrorismo in un modo o nell'altro e tutti sono tirannici.
Al contrario di molto dell'odierno senso comune, non tutti si fondano sul fanatismo religioso: Saddam non aveva convinzioni religiose, essendo salito al potere come socialista secolare, e la dittatura della famiglia Assad ha origini simili. Non sono tutti arabi: gli iraniani (a parte una piccola minoranza nel sud), dovrebbero trattenere da quella errata identificazione. Tutti condividono un odio comune per il mondo occidentale e un malcelato disprezzo per la loro stessa gente, sapendo troppo bene che i loro cittadini oppressi costituiscono una minaccia al loro potere e alla loro autorità.
Non è casuale che i signori del terrore lavorino insieme, nonostante le differenze spesso esagerate fra arabi e persiani, sunniti e sciiti. Siriani e iraniani hanno lavorato spediti culo-e-camicia per anni, sostenendo Hezbollah e altri gruppi terroristici nel Libano occupato. Quasi una decade prima che fu rovesciato lo Shah dell'Iran, le fanatiche Guardie rivoluzionarie sciite dell'Ayatollah Khomeini venivano addestrate nel Libano dai terroristi sunniti di Al Fatah di Yasser Arafat. Stanno lavorando insieme oggi, per uccidere i soldati della coalizione e gli iracheni.
Il più pericoloso e paradossalmente il più vulnerabile dei signori del terrore era, e probabilmente ancora è, l'Iran. Quasi tutti concordano che l'Iran ha svolto un ruolo unico nella guerra del terrore che è stata intrapresa contro gli Stati Uniti da quasi un quarto di secolo. Secondo l'indagine annuale del Dipartimento di Stato, l'Iran è stato a lungo lo sponsor principale nel mondo del terrorismo internazionale. Sia Hezbollah che la Jihad islamica sono creazioni e clienti iraniani, il che spiega come mai Imad Mugniyah di Hezbollah e Aywan Al Zawahiri della Jihad islamica e di Al-Qaeda continuano a incontrarsi a Teheran, in compagnia di Abu Musab Al Zarqawi, il capo del jihad in Iraq che aveva lavorato fuori Teheran per molti anni. Non sorprende che la Commissione sull'11 settembre abbia trovato la pesante prova della collusione fra l'Iran e Al-Qaeda, risalente alla metà degli anni '90.
Nel 2002 ho sostenuto che la nostra prima azione contro i signori del terrore dovesse essere dare appoggio politico ed economico al popolo iraniano nei suoi sforzi per rovesciare il regime dei mullah. A quel tempo, le strade delle città principali del paese si riempivano di dimostranti quasi ogni settimana. Se l'opposizione democratica avesse ricevuto lo stesso genere di aiuto che abbiamo dato a Solidarnosc in Polonia, alle forze anti-Milosevic in Jugoslavia e al movimento anti-Marcos nelle Filippine, i mullah potevano essere buttati giù allora, rendendo così la guerra contro Saddam, gli Assad e le componenti terroriste della famiglia reale Saudita molto più facile, riducendo notevolmente la potenza militare necessaria. Una strategia di sostegno attivo alla rivoluzione democratica attraverso la regione era precisamente la cosa che il presidente Bush proponeva ed era storicamente sensata: facendo parte di quella sostanziale diffusione della libertà delle decadi recenti, inclusa la sconfitta dell'impero sovietico.
È stato obiettato che una missione così rivoluzionaria fosse troppo ambiziosa e che la prudenza richiedeva di muoverci con attenzione, un caso alla volta, nel frattempo tessendo le nostre difese diplomatiche con gli amici, gli alleati e gli indecisi. Ma, come accade spesso, la strategia "prudente" si dimostra la più pericolosa. Muoversi passo dopo passo - prima l'Iraq, poi vediamo - ha dato ai rimanenti signori del terrore il tempo necessario a organizzare il loro contrattacco prima che liberassimo l'Iraq e, come prevedevo, il tempo supplementare usato anche per sviluppare le armi di distruzione totale che logicamente ci preoccupano e mettono urgenza alla nostra causa.
Il lungo periodo d'ozio dopo la sconfitta dei Talebani, accompagnato al difetto di visione strategica che ci ha impedito di vedere la natura regionale della guerra, ha permesso ai signori del terrore di sviluppare una strategia collettiva, per la quale eravamo notoriamente impreparati. Tuttavia non c'era giustificazione perché lo fossimo, poiché, alla vigilia dell'operazione Iraqi Freedom, il dittatore siriano Bashar Assad annunciò pubblicamente che una guerra terroristica si sarebbe scagliata contro di noi all'interno dell'Iraq. E che la guerra terroristica si sarebbe basata sul modello della riuscita campagna contro le forze americane in Libano nella metà degli anni '80. E così fu, compresa l'alleanza siriano-iraniana (sunnita-sciita), usando spesso come volontari i jihadisti sauditi.
Piaccia o no, siamo in una guerra regionale e non può essere condotta efficacemente all'interno di un ristretto confine nazionale. Non ci sarà mai una sicurezza decente in Iraq fino a che i tiranni a Teheran e Damasco rimangono al potere. Sanno che la diffusione della libertà è una minaccia terribile per loro e che se avesse successo un Iraq democratico, il loro potere e la loro autorità sarebbero a rischio. Ecco perchè stanno intraprendendo una guerra di sopravvivenza contro di noi in Iraq.
È virtualmente impossibile leggere la stampa quotidiana senza trovare almeno qualche ulteriore prova del profondo coinvolgimento dei siriani e dei mullah nella guerra del terrore in Iraq e gli iraniani sono dentro fino al collo pure in Afghanistan. Il presidente afghano Hamid Karzai parecchie settimane fa ha dichiarato che giocare in difesa contro i terroristi nel suo paese non va granché bene. Karzai ha sottolineato che dobbiamo combattere quei paesi stranieri dove i terroristi vengono addestrati, il che certamente include l'Iran. Ci sono abbondanti informazioni sul sostegno congiunto iraniano/siriano ai terroristi in Iraq, comprese le fotografie scattate dopo la battaglia per Hilla l'anno scorso, che hanno mostrato i capi terroristi incontrarsi in Siria con i funzionari dei servizi segreti militari iraniani e siriani. Mi è stato confermato da un traduttore che ha lavorato per le forze speciali degli Stati Uniti durante e dopo la battaglia, che inoltre ha letto i documenti con informazioni simili sia a Hilla che a Fallujah.
La nostra arma più potente contro i signori del terrore è la rivoluzione, tuttavia siamo stranamente tiepidi nel sostenere le forze pro-democrazia in ciascun paese. Né c'è alcun segno di appoggio agli operai iraniani, che giusto il mese scorso hanno organizzato un breve sciopero nazionale. Gli operai hanno bisogno di fondi per starsene via dal lavoro e rimanersene a casa, una lezione imparata dall'Ayatollah Khomeini, che ha fatto arrivare sacchi di riso dappertutto nel paese nelle settimane dei grandi scioperi contro lo Shah nel 1979. I gruppi di opposizione hanno bisogno di buoni mezzi di comunicazione, da telefoni cellulari e satellitari a pc portatili e server. Non sarebbe molto difficile organizzare questo tipo di supporto; non fu quello il difficile negli anni '80, quando abbiamo fatto lo stesso per Solidarnosc e altre forze democratiche nell'impero sovietico.
Purtroppo non abbiamo una politica per sostenere il cambiamento di regime a Teheran o Damasco. Effettivamente, non c'è affatto una politica, dopo quattro lunghi anni dall'11 settembre. Un funzionario del Dipartimento di Stato recentemente mi ha assicurato che ci sono riunioni regolari sull'Iran, sebbene non ci sia ancora consenso su cosa fare. Se è per paralisi o per appeasement è difficile da dire, ma certamente non è un modo di intraprendere una guerra contro il terrore.
Se potessimo superare l'errore strategico di base - che si è riflesso nel dibattito nazionale come nel nostro comportamento sul campo in Iraq - potremmo ancora vedere che teniamo le carte vincenti. La libertà effettivamente si è diffusa attraverso la regione. Al contrario delle sicure previsioni di molti esperti, molti, forse la maggior parte, gli arabi ed i musulmani aspirano alla democrazia e sono disposti ad assumersi responsabilità enormi per ottenerla. La Siria ha ricevuto parecchi colpi devastanti alla sua egemonia un Libano come risultato di una rivolta popolare. Gli Egiziani e i Sauditi devono almeno fingere di tenere elezioni libere. Le persone in Iran vengono percosse, torturate e uccise come mai prima, ma quasi ogni settimana ci sono dimostrazioni di vasta portata, che coinvolgono anche le regioni petrolifere senza le quali il regime dei mullah sarebbe sull'orlo del crollo. E c'è un incoraggiante impulso di entusiasmo pro-democrazia nella stessa Siria. Queste persone sono i becchini del vecchio ordine tirannico in Medio Oriente e meritano il nostro aiuto.
Gli argomenti principali contro questa politica sono che i regimi repressivi a Damasco e Teheran hanno saldamente in mano il controllo; che ogni ingerenza che facciamo provoca un ritorno di fiamma, che conduce i potenziali democratici dalla parte dei regimi in uno spasmo di indignato nazionalismo; e che i movimenti democratici sono guidati male, quindi destinati a fallire. Le persone che stanno dicendo queste cose - nelle università, al Dipartimento di Stato, nel Consiglio di sicurezza nazionale e nella comunità dell'intelligence - dissero spesso le stesse cose del nostro sostegno alla rivoluzione democratica all'interno dell'impero sovietico poco prima del suo crollo. Hanno dimenticato la lezione del Machiavelli che la tirannia è la forma più instabile di governo e si sono dimenticati quanto il mondo cambia quando gli Stati Uniti agiscono contro i loro nemici. La maggior parte degli esperti pensò che Ronald Reagan fosse fuori di testa quando decise di buttare giù l'impero sovietico e difficilmente uno oggi poteva credere che una rivoluzione democratica avrebbe buttato giù i dittatori in Georgia, in Ucraina e in Serbia. Tutte queste dittature sono state rovesciate da una piccola percentuale attiva di popolazione; in Iran, secondo i sondaggi d'opinione pubblica del regime stesso, la stragrande maggioranza prova avversione per i mullah. Perché dovrebbe essere più difficile rimuovere la Guida suprema iraniana e il dittatore siriano di quanto lo fu mandare Mikhail Gorbachev in pensionamento anticipato?
Qual è l'alternativa? Se non ci impegniamo, presto ci ritroveremo ad affrontare un Iran nucleare certamente incoraggiato ad accrescere il suo appoggio ad Al-Qaeda, a Hezbollah, alla Jihad islamica, a Jamaah Islamiah e ad Hamas e a raddoppiare i suoi sforzi per far fallire il fragile esperimento democratico in Iraq. Qual è la politica più prudente? Prudentemente difendere l'Iraq solo, o sostenere i rivoluzionari contro i signori del terrore? L'appoggio attivo delle forze democratiche in Medio Oriente sarebbe la giusta politica, anche se non ci fosse una guerra del terrore e anche se l'Iran non fosse a un soffio dalle armi atomiche. È tutto ciò che l'America è.
E
Camillo ci segnala che ora anche
Timothy Garton Ash sul
Guardian si è convertito al
regime change e dice le stesse cose che Ledeen «predica da anni», anche se «con molte più parole e in modo molto più confuso e facendo mille premesse e aprendo cento parentesi e fornendo decine di excusatio non petite».