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Tuesday, January 17, 2006

La Chiesa soffre la democrazia

I cardinali Ratzinger e Ruini«Non ci sono istinti, anche sbagliati, che non possano essere ricondotti alla normalità... uno stile di vita può essere raddrizzato». In un'intervista di domenica a la Repubblica, Mons. Alfonso López Trujillo, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, parla in questo modo dell'omosessualità. A sentir parlare di normalità e di raddrizzare già vengono i brividi, ma è un altro il passaggio dell'intervista sul quale vorrei soffermarmi.
«La Chiesa soffre per queste proposte [i Pacs]. Per la prima volta nella storia di tutte le culture, tutte le religioni, tutte le etnie viene compromesso ciò che è sempre stato valido in ogni concezione di natura, filosofia e teologia: il matrimonio è l'unione di un uomo e una donna». E più sotto: «... Non si può confondere il gioco delle maggioranze con la democrazia».

Svolgimento. Questa frase rivela più di quanto a una semplice lettura possa apparire. Non si tratta della solita difesa del matrimonio tradizionale. Si dice per tutte le culture, tutte le religioni, tutte le etnie, per ogni concezione di natura, filosofia e teologia: il matrimonio è sempre quello. Dove è invece possibile mettere in discussione impunemente che il matrimonio sia l'unica forma della famiglia? Nei paesi democratici. Per quale sistema? La democrazia. Grazie a quale filosofia politica? Il liberalismo.

E' la frase che misura quel particolare relativismo che esprime la Chiesa cattolica. Sa bene, ogni gerarca ecclesiastico, che la Chiesa cattolica ha molto più in comune, può trovare molti più punti di contatto e terreni di dialogo con qualsiasi cultura, religione, etnia, con qualsiasi concezione di natura, filosofia e teologia che con quanto secernono i sistemi democratici. Dalla democrazia e dal liberalismo vi è una distanza irriducibile, incolmabile, data dal fatto che sottoponendo le decisioni al «gioco delle maggioranze» la tradizione finisce per perdere la sua autorità. Mantiene, al più, un'autorevolezza soggettivamente vissuta. E' qualcosa di realizzabile solo grazie, o per disgrazia, della democrazia. Quale più profondo relativismo che equiparare, come fa Papa Giovanni Paolo II nel suo ultimo libro pubblicato poco prima della morte, al nazismo e alla shoah i parlamenti democratici che legalizzano, per arginarlo, l'aborto?

Ecco quindi che persino con l'Islam radicale è, in linea teorica, qualora se ne presentasse l'occasione e se fossero un poco meno violenti, possibile accontonare le molte differenze per lavorare all'affermazione di valori comuni, ma mai è ipotizzabile affidarsi mani e piedi alla democrazia. La convivenza con essa e con le sue leggi è vissuta come ripiegamento tattico, nella consapevolezza che alla Chiesa è stato tolto il potere di imporsi con la forza e quindi, tutto sommato, la cornice democratica le conviene. Qui non si parla delle importanti e sincere esperienze del cattolicesimo liberale, o del senso religioso dei fedeli, ormai caratterizzato nei più da moderazione e liberalità, ma del pensiero prevalente nella "Chiesa ufficiale".

Per me, di educazione cattolica, è una scoperta abbastanza nuova. L'interruttore è scattato con la famosa omelia pro eligendo pontefice del Card. Ratzinger, quella del relativismo e del liberalismo «venti di dottrina» da combattere. A molti liberali l'interruttore non è scattato e anzi ritengono questo Pontefice un valido alleato nella guerra al fondamentalismo islamico.

Il piglio deciso - scrivevo in un articolo, "L'abbraccio di Ratzinger può rivelarsi mortale", dello scorso 18 maggio - con il quale riafferma le radici cristiane dell'Occidente, la determinazione con la quale combatte la sua battaglia al relativismo culturale - quel relativismo reo di indebolire la risposta ideologica delle nostre società all'aggressione del fondamentalismo islamico - sono gli aspetti della figura e del pensiero di Benedetto XVI che esercitano un forte appeal su alcuni politici e intellettuali liberali e laici. Che libertà e democrazia non siano sacrificabili in nome di una falsa stabilità e di una cinica realpolitik in politica estera, o in nome di un ingannevole "quieto vivere" nelle nostre società multiculturali, è solo una delle possibili declinazioni politiche del pressante appello ratzingeriano a non sacrificare a un male inteso spirito di tolleranza, a una modernità asettica dove tutto è relativo, l'identità e i valori su cui si fonda l'Occidente. Possiamo azzardare che possa essere proprio questo volto, in un certo senso "neocon", della battaglia ratzingeriana a sedurre alcuni liberali. Rischia però di essere una lettura ingenuamente "politica" del pontificato di Ratzinger.

Il tentativo di dialogo col mondo laico e liberale intrapreso quando era cardinale rischia di rivelarsi una vera e propria "trappola". La critica liberale a un certo relativismo, quello dello scettico a oltranza che ritenendo equivalente ogni opzione finisce per non agire, si fonda su ben altri valori e presupposti filosofici rispetto a quella ratzingeriana, che è critica al relativismo tout court. Depositaria di una verità definitiva, la critica ratzingeriana ha come esito l'anatema contro i molteplici frutti del pensiero moderno fondato sul dubbio e sullo spirito critico, sulla ricerca di un sapere fallibile e rivedibile, sulla libertà di coscienza. Per il pensiero moderno la verità va cercata, sottoposta a critica, e il suo superamento è lo scopo stesso della ricerca; per la Chiesa cattolica la verità è rivelata, fissata secula seculorum, e va solo annunciata. Chi la rifiuta si becca l'anatema di "relativista", non importa se si sia posto al di fuori di quella verità ma ne abbia abbracciate altre, perché agli occhi di chi sale al soglio di Pietro è come se si ponesse al di fuori di qualsiasi verità.

Per i liberali è la ragione, misura interna all'individuo, a rivelare a tutti gli uomini la "legge" di natura; per Papa Ratzinger Dio e la tradizione, autorità e misure esterne all'individuo, sono le fonti di verità definitive, socialmente condivise e conosciute tramite Santa Romana Chiesa.

Se i liberali hanno il dovere morale, l'obiettivo culturale e politico, di non disertare dall'affermazione di valori e principi, di resistere al cinismo della realpolitik, a una falsa tolleranza che è indifferenza, al nichilismo, essi non dovrebbero cedere alla tentazione di riempire con l'autorità della religione e della tradizione quelli che a ben vedere sono vuoti di elaborazione culturale e di comprensione laica della realtà, assenza di visione e progettualità politica. Ammesso e non concesso che dal riconoscimento delle radici cristiane possa partire il "risveglio" dell'Europa e dell'Occidente, che la battaglia ratzingeriana al relativismo possa rappresentare un'arma efficace contro politiche di cedimento di fronte alla minaccia islamista o di appeasement nei confronti della tirannia nel mondo, tutto ciò ha un prezzo.

Accettare che al relativismo culturale si oppongano non solo e non tanto principi irrinunciabili e non sacrificabili come la libertà e la democrazia, ma anche e soprattutto vecchi assolutismi che trovano nella fede e nella tradizione il loro fondamento. Accettare che nuovamente l'autorità religiosa rientri in modo prepotente nella nostra vita civile, con pesanti limitazioni delle libertà individuali e forti condizionamenti sui più controversi temi etici. Tutti compromessi che sono i sintomi, non il superamento, dell'attuale debolezza del pensiero laico e liberale di fronte alle nuove sfide culturali e politiche del XXI secolo.

Il paradosso è che aderendo alla battaglia culturale di Papa Ratzinger, i liberali finiscono col combattere una battaglia non loro, per di più dotandosi degli stessi strumenti del nemico islamista contro cui si vorrebbe "risvegliare" l'Occidente. La condanna senza appello dei "venti di dottrina" che indicherebbero la decadenza dell'occidente, il richiamo al rispetto di un ordine morale e sociale che fa capo a Dio minacciato anche dalle decisioni dei Parlamenti democratici, sono a ben vedere connotati fondamentali proprio dell'islam radicale al quale si vorrebbe opporre l'identità dell'Occidente.

1 comment:

JimMomo said...

Beh, questo è scontato, ma il punto è che falso/verità non sono termini che attengono al legislatore di uno stato di diritto.