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Monday, April 19, 2010

Una corrente per fare cosa?

Non finirà qui. Probabilmente non assisteremo alla formazione di gruppi parlamentari autonomi, quindi ad una «scissione» nel Pdl, ma alla nascita di una "correntina", in pratica l'istituzionalizzazione del controcanto. Domani Fini riunirà i "suoi" per definire un documento da portare alla direzione di giovedì. Risulterà minoritario ma sancirà la nascita della sua personale corrente, propedeutica a poter avanzare pretese ad ogni variazione di organigrammi (di partito e governativi), visto che non si riconosce più nella spartizione 70-30 tra ex FI ed ex An.

Non si capisce in cosa esattamente il Pdl e il governo siano «al traino» della Lega. Su federalismo fiscale, immigrazione e sicurezza, i tre temi più cari ai leghisti, c'è piena sintonia politica e le posizioni di Fini (assunte solo ultimamente) sono obiettivamente minoritarie nel Pdl. La Lega è andata meglio del Pdl alle ultime regionali perché è più radicata sul territorio e il suo elettorato è più "fedele", meno sensibile alle tentazioni astensioniste che affliggono invece fisiologicamente i grandi partiti. Come ha osservato ieri anche Panebianco, «complici anche certe letture superficiali dei risultati delle regionali, la forza della Lega appare alquanto sopravvalutata... ha infatti ottenuto un grande successo ma con la complicità dell'astensione». Inoltre, c'è da considerare l'effetto "trascinamento" dei due candidati governatore, ma non si può dire che abbia sfondato né in Piemonte né in Lombardia. La sensazione è che attragga più voti da sinistra e dal centro di quanti ne strappi al Pdl. Ora governa due regioni, ma ha un ministro in meno.

Ma forse a irritare Fini sono le dichiarazioni a volte provocatorie e il protagonismo dei leghisti, cui a suo avviso il Pdl dovrebbe rispondere colpo su colpo. Il rischio però sarebbe quello di trasmettere l'immagine di una coalizione litigiosa, quando nei fatti - quando ci sono decisioni da prendere in Consiglio dei ministri - la Lega si è fin qui dimostrata un alleato affidabile e stabile. Non voglio credere che a farlo sbottare sia stata la "bozza Calderoli" o l'ipotesi di un premier leghista in un assetto semipresidenziale che vedrebbe Berlusconi presidente, scenari troppo in là da venire da poter creare una crisi del genere. In definitiva, le critiche dei 'finiani' alla Lega muovono da pregiudizi tipici della sinistra e non da posizioni liberali, dalle quali molto si potrebbe rimproverare alla Lega.

Un altro problema sarebbe la politica economica gestita in modo troppo autonomo e personalistico da Tremonti. A parte che Berlusconi in persona e tutto il governo hanno alla fine condiviso la politica del rigore, Fini dovrebbe dire chiaramente dove pensa che Tremonti stia sbagliando e cosa vorrebbe fare di diverso. Vuole più spesa sociale, come invoca Bersani, in barba al rigore sui conti pubblici? Chiede una politica più meridionalista? Ma in che senso, assistenzialista o federalista? Oppure come noi la contesta da posizioni "liberali"? Ma allora dovrebbe accorgersi che si apre una fase più che propizia, sia pure non scontata, per spingere sulle riforme, da quella fiscale a quella del welfare, e sulle liberalizzazioni. Se di contenuti e non di "posti" si tratta, perché non abbiamo sentito nulla di nulla in proposito?

Sulle riforme, mi pare ci sia ampia condivisione che sarebbe meglio non farle da soli (Bossi è il primo a pensarla così), ma che non bisogna neanche concedere poteri di veto alle opposizioni. Riguardo una gestione più collegiale e democratica della vita interna del partito sono condivisibili le richieste di Fini, ma non può trasformarsi in un modo per rallentare ed ingolfare l'attività di governo, un continuo stop-and-go su tutto, un gioco estenuante di mediazioni, dando luogo di fatto ad una diarchia Berlusconi-Fini.

Nel suo editoriale di oggi Giuliano Ferrara evidenzia quanto sia in realtà vago e generico il malessere di Fini, che «rivendica rispetto, uno spazio vitale, non essere umiliato e marginalizzato platealmente, vuole ossigeno per continuare a crescere sulla propria strada, costruendo il profilo di una conversione repubblicana che, tutto considerato, gli fa onore e fa onore al Cav. che l'ha resa possibile, al pari della conversione governativa e costituzionale della Lega di Bossi e Maroni. E allora, se chiede questo e non altro, che senso ha fargli la faccia feroce, caro Cavaliere?».

Anche Ferrara pensa dunque che sia tutto qui. Stringendo, che Fini sia geloso dei "caminetti" tra Berlusconi e Bossi ad Arcore. Ma sono i leader dei due partiti di maggioranza, mentre lui è presidente della Camera e il suo ruolo dovrebbe tenerlo alla larga dalla determinazione dell'indirizzo politico. E' paradossale e preoccupante che tra gli elementi più destabilizzanti degli ultimi governi vi siano stati i presidenti della Camera dei deputati (Casini, Bertinotti e ora Fini), esondando ampiamente dal loro ruolo istituzionale. Non si è mai visto un presidente della Camera che riunisce i "suoi" parlamentari per formalizzare una corrente o addirittura dei gruppi autonomi.

Al contrario di quello di Casini il controcanto di Fini non sarebbe «pericoloso», secondo Ferrara. Anzi, con le sue «incursioni» e il suo aplomb istituzionale Fini «allarga» lo spazio politico della maggioranza. E ciò può essere senz'altro vero, a patto però che non raggiunga e non superi quel limite di litigiosità interna alla coalizione che irrita gli elettori più di ogni altra cosa e che contraddistinse l'Unione prodiana. Che Fini sia «obbligato dal proprio interesse a stare dentro» il Pdl lo credo anch'io (anche se di mosse irrazionali in questi ultimi anni ne ha fatte parecchie); sul fatto che sia anche obbligato «a scommettere sulla buona riuscita» dell'alleanza di governo ho i miei dubbi. Mi pare infatti che anteponga a tutto la sua esigenza di smarcarsi da Berlusconi, sempre e su qualsiasi cosa, che sia convinto - sbagliando - di costruire il suo futuro politico logorandolo, come facevano le correnti Dc quando al governo non c'era un loro esponente.

Panebianco sostiene, a ragione, che una scissione sarebbe un «favore» alla Lega. A suo avviso, invece, una corrente interna al Pdl darebbe a Fini una «certa forza contrattuale» da spendere nei confronti di Berlusconi, Tremonti e Bossi sulle varie questioni dell'azione di governo. Una strada «sdrucciolevole», ma l'unica possibile, perché anche per Panebianco «limitarsi a fare il controcanto ogni volta che Berlusconi parla, come il presidente della Camera ha fin qui scelto di fare, può strappare applausi alla sinistra ma, politicamente, non porta da nessuna parte». Il problema è che a mio avviso la corrente non sarà altro che l'istituzionalizzazione del controcanto, perché di politiche e obiettivi concreti da proporre, sui quali mettere la faccia e caratterizzarsi, finora Fini ha dimostrato di non averne (tranne che qualche suggestione sulla cittadinanza).

1 comment:

Anonymous said...

per tenere per le palle il governo.
bastano 12-13 senatori 25-26 deputati. soprattutto alla camera ce ne sono in abbondanza.

JL