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Thursday, April 29, 2010

Il piano di Fini-san

Fin dalle prime ore dello strappo, la sensazione era stata che Fini avesse perso le staffe quando, già frustrato dal suo ruolo di eterno secondo, si è visto retrocedere in terza, se non in quarta posizione. Il suo malessere deriva oltre che da una irriducibile diversità da Berlusconi, dall'insicurezza di riuscire a succedergli come leader del centrodestra, accentuata da voci e ipotesi balenate sull'onda degli entusiasmi per il successo elettorale. Si è sentito ancor più superfluo e messo in un angolo, trascurato. Ha percepito che continuando così le cose, sarebbe stato sempre più marginalizzato e oscurato da altre personalità - su tutte Giulio Tremonti, perfetto trait d'union tra Lega e berlusconismo - e ipotesi, come quella di un premier leghista con Berlusconi presidente. Per cui, anche se le regionali non sono andate come sperava, ha dato inizio al "piano"...

Questa mattina arriva una conferma. Sulla base delle confidenze di alcuni ex fedelissimi del presidente della Camera, Libero ricostruisce quello che chiama «il piano di Fini contro il Pdl», con tanto di «colloqui» con Pier Ferdinando Casini e con Francesco Rutelli. Scrive Franco Bechis:
«Era pronto da tempo, dall'autunno scorso. E aveva subito un'accelerazione notevole proprio durante la campagna elettorale delle regionali. Gianfranco Fini era pronto ad aprire prima la crisi dentro il Pdl, poi trovare una sponda nell'area centrista e infine fare saltare il banco, smontando i due principali partiti del bipolarismo: Pd e Pdl. Ma la leva principale per realizzare tutto doveva venire da quella che per lui era una certezza: la sconfitta di Renata Polverini alle elezioni regionali del Lazio e il probabile deludente risultato complessivo».
Racconta Amedeo Laboccetta, ex An e da oggi anche ex 'finiano':
«Fino alle regionali avevo compreso le sue ragioni. Ma il giorno dopo le elezioni l'ho visto e gli ho detto che bisognava prendere atto della realtà. I fatti non erano quelli che ci si immaginava, e un leader sa cambiare atteggiamento. Vero che uno dei nostri, Italo Bocchino, si era spinto troppo avanti. Ma che Berlusconi avesse vinto le elezioni e che a Roma questo fosse avvenuto proprio grazie a lui, era un dato di fatto che non si poteva negare. Gli dissi quel giorno che bisognava prendere atto della attualità, che quei dati dicevano che il progetto di una rapida scomposizione del sistema politico, tutto pronto a dissolversi, l'area di Casini e Rutelli in movimento, altri contatti con esponenti del PdL e dell'opposizione non avrebbero portato a nulla».
Ma Bocchino aveva già fatto partire Generazione Italia. Prosegue Laboccetta:
«Gli dissi. "Gianfranco, fermati!" Hai ragione su molte cose, ma se la realtà è diversa... Bocchino sostenne il contrario: avanti, è il momento di spaccare tutto. Parlava da guerrigliero, e credo che sia proprio questo che avesse in mente e che vedremo in scena nei prossimi mesi: la guerriglia... Gianfranco ormai è in mano a guerriglieri come Bocchino, e mi sembra preso dal cupio dissolvi. Cosa farà? La guerriglia, poi la componente finiana, la correntina e inevitabilmente la scissione... Errori ce ne sono stati dappertutto. Vero che Fini troppo spesso è stato umiliato da Berlusconi. Vero che la responsabilità di quella brutta pagina della direzione nazionale è stata vicendevole. Io fino all'ultimo ho sperato che si potesse ancora - chissà, con una stretta di mano - riprovare. Ma non è così. Gianfranco è partito da una considerazione certa: lui non sarebbe stato il successore di Berlusconi nel Pdl. Lega o non Lega, ormai erano più forti altre ipotesi: Giulio Tremonti o altri. Non lui. Io fino all'ultimo gli ho detto: aspetta, prendi tempo. Un leader sa farlo».
Un leader, appunto, ma Fini era ormai preso da un «cupio dissolvi». Da qui il "fallo di frustrazione". Ma se si è chiuso in un vicolo cieco la colpa è sua. Ha scelto di non entrare nel governo per avere le mani più libere, per giocare la stessa, comoda partita di logoramento dei suoi predecessori alla presidenza della Camera (Casini e Bertinotti), convinto che sarebbe riuscito laddove gli altri avevano fallito. Gli è andata male, anche perché ci stava un passo falso elettorale dopo due anni di governo con la crisi, un po' di immobilismo, tutte le gazzarre mediatico-giudiziarie e infine pure il caos liste. E invece... sappiamo com'è andata e Fini ha perso il contatto con la realtà.

Invece di covare rancore, avrebbe dovuto porre a Berlusconi due o tre richieste concrete, obiettivi di governo da portare a casa e che potessero caratterizzarlo in chiave futura. Queste sì che sarebbero state questioni comprensibili e utili a tutti: a se stesso, al Pdl, al governo e al Paese. Due o tre cavalli di battaglia su cui gettarsi personalmente a capofitto, su cui avrebbe trovato in Berlusconi e nella Lega alleati ben disposti a trovare un compromesso alto, un accordo serio. Così avrebbe potuto giocarsi le sue carte.

1 comment:

Anonymous said...

aridaje. i numeri dicono il contrario. Fini, se vuole può far cadere il governo quando vuole.

JL