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Tuesday, May 11, 2010

Un cattivo modello per l'Europa

«Non incolpate la moneta unica per i fallimenti delle politiche keynesiane», e di leadership «irresponsabili», scriveva ieri il Wall Street Journal, osservando che L'Europa «non sta vivendo una crisi monetaria, ma una crisi del debito provocata da eccessivo indebitamento, eccessivo peso e inefficienze pubbliche e insufficiente crescita economica». Il rischio è che il salvataggio di oggi, inducendo a credere che in circostanze simili l'Ue agirà come «prestatore di ultima istanza», produca ulteriore «azzardo morale» domani, e non maggior rigore. Il messaggio mandato ai creditori e ai governi è che «saranno sempre salvati». Il rischio che la Bce appaia pronta a «monetizzare» i debiti dei Paesi Ue potrebbe spingere gli uni a correre rischi eccessivi, gli altri a non agire come dovrebbero sul deficit.

Fa bene a insistere Carlo Stagnaro, oggi su Il Foglio:
«La radice di tutti i mali non è nel mercato, nella speculazione, nel profitto. La radice dei mali è nelle finanze pubbliche allegre e creative, nello stato spendaccione e irresponsabile. Nella speranza di alcuni governi europei che dei loro disastri si sarebbero fatti carico altri: gli investitori gonzi, i Paesi più solidi, le generazioni future... Non possiamo più considerare la spesa come una variabile indipendente, e se le entrate non bastano, finanziare la differenza in debito. Dobbiamo tagliare il debito... La parola d'ordine per il settore pubblico deve essere: austerità. La parola d'ordine per il settore privato dev'essere: crescita».
L'aumento del deficit è «comprensibile in tempi di crisi - ammette oggi il WSJ - ma i mercati hanno mandato il messaggio che questo livello di spesa è insostenibile». Con le misure assunte, osservava ieri Munchau sul Financial Times, l'Europa ha guadagnato tempo, ma - avverte oggi il WSJ - se la classe politica europea non approfitta di questa apertura per «tornare in forma», la crisi ritornerà. Una crisi, insiste il WSJ, dovuta alla «spesa eccessiva e a politiche che ostacolano la crescita economica». L'argine innalzato ieri ha «solo posticipato la resa dei conti - e ad un prezzo allarmante».

Ma soprattutto, nel commento di ieri il Wall Street Journal coglieva una tendenza particolarmente preoccupante. La crisi di questi giorni rischia infatti di generare un'ulteriore spinta all'idea che l'Unione anche politica dell'Europa coincida con un «super-stato europeo» che abbia il potere di «fissare» una politica economica comune, «armonizzare» i livelli di imposizione fiscale e «facilitare» i trasferimenti dai Paesi ricchi ai poveri, nella sostanza di «imporre il welfare state che ha cacciato l'Europa in questo guaio». E' esattamente, mi viene da pensare, l'errore che ha commesso l'Italia nei confronti del Sud e di cui ancora non riusciamo a liberarci: dirigismo, tasse elevate e uguali dappertutto, assistenzialismo da Nord a Sud. L'Europa si sta pericolosamente avviando verso un modello perdente già sperimentato in Italia, e l'Italia rischia di "esportare" in Europa il suo modello più fallimentare.

E mentre Fini si iscrive tra i più entusiasti sostenitori della proposta di un'agenzia di rating europea, bisogna riconoscere a Tremonti - oggi lo fa Oscar Giannino su Il Messaggero, non certo un "tremontiano" - di aver tenuto stretti i cordoni della borsa, resistendo a pressioni interne ed esterne alla maggioranza.
«Meno male, che sono rimasti stretti. E' questo ciò che il ministro vorrebbe oggi non riconosciuto a lui personalmente, ma che divenisse un riflesso condizionato di tutti i protagonisti della vita italiana in questa difficile fase. Questa volta abbiamo evitato di essere considerati, dai mercati come dagli altri Paesi, come un appestato che poteva diffondere il contagio. Una non disprezzabile novità, in un mondo in cui Stati Uniti, Giappone e Regno Unito dovranno tutti tagliare strutturalmente tra i 12 e i 14 punti di Pil il loro deficit pubblico anno per anno, se vogliono tornare a ristabilizzare il loro debito verso il 65% del Pil entro il 2030. E in cui la media dei Paesi Ocse dovrà farlo di 8 punti di Pil, dice il Fmi. Mentre all'Italia ne basterebbero meno di 5 (...)».

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