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Saturday, May 08, 2010

In buona compagnia

Era lecito aspettarsi che dopo l'esito delle elezioni generali britanniche, che hanno dato luogo ad un Hung Parliament e ad una situazione di instabilità politica, si scatenassero sulla stampa e nel mondo politico gli avversari dell'uninominale e del bipartitismo per suonare le campane a morto. Ciascuno desideroso di piegare gli eventi in casa d'altri a sostegno del disegno politico coltivato a casa nostra. In particolare, chi nella maggioranza prende la palla al balzo per convincerci che l'attuale nostro sistema elettorale è il migliore possibile e chi - il commento di Polito oggi ne è un fulgido esempio - suggerisce ai britannici il sistema tedesco, che è nei piani del propri referenti politici: cioè, Massimo D'Alema e Pier Casini.

Su questo blog avete letto un'analisi diversa: il bipartitismo britannico è - almeno per ora - salvo, e vivo e vegeto nei comportamenti dell'elettorato. Il punto infatti non è l'eventuale formazione di un insolito governo di coalizione, esperienza che potrebbe comunque concludersi in breve tempo, né un periodo di instabilità politica, possibile con qualsiasi sistema. Il punto è capire se i lib-dem hanno una forza politica tale da ottenere una riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Secondo me, al momento no.

I laburisti, gli unici disponibili a ragionare su una tale ipotesi, sono usciti troppo sconfitti da queste elezioni. E i lib-dem hanno deluso. Neanche una "coalizione degli sconfitti" (258 seggi più 57, 52% del voto popolare), infatti, raggiungerebbe la maggioranza assoluta dei seggi (326). Decisivo, rispetto alle possibilità di riforma in senso proporzionale, è il flop-Clegg: se infatti avessimo avuto, per esempio, i laburisti al 28% e i lib-dem al 27, quindi anche senza sorpasso, probabilmente ci sarebbero stati i numeri per un governo di coalizione tra i due, legittimato dalla cospicua avanzata dei "gialli". Ma così non è stato. Tra l'altro, come fa notare oggi il ministro della Difesa ombra Liam Fox, sarebbe «strano» se un accordo fosse fatto naufragare sul sistema di voto, che non è certo al centro dell'interesse degli elettori. Sarebbe quindi politicamente costoso per i lib-dem rifiutare l'offerta di Cameron impuntandosi sul proporzionale.

Tornando a noi, fa piacere, andando controcorrente, almeno trovarsi in buona compagnia. Identica, infatti, è l'analisi di Angelo Panebianco, oggi sul Corriere della Sera:
«L'aspettativa di un Parlamento in cui nessun partito avrebbe conquistato la maggioranza assoluta dei seggi si era fatta forte a causa del successo mediatico (che però non si è tradotto in successo elettorale) del "terzo partito", i Lib Dem di Nick Clegg. Diversi politici italiani, e anche qualche commentatore, avevano creduto di trarne la "lezione" secondo cui il bipartitismo britannico sarebbe agonizzante. E' l'abitudine italiana di usare le vicende altrui per sostenere le proprie tesi preferite sulla politica di casa nostra. Adesso che l'aspettativa si è realizzata, che, effettivamente, nessun partito detiene la maggioranza assoluta, è probabile che molti continueranno a sostenere quella tesi. Si sbagliano. È già accaduto altre volte. L'ultima fu nel 1974, quando si formò un gabinetto laburista di minoranza. Pochi mesi dopo la Gran Bretagna tornò alle elezioni, i laburisti conquistarono la maggioranza assoluta dei seggi e si ricostituì la normale dialettica bipartitica. Nulla lascia pensare che le cose non andranno così anche questa volta. Un forte successo di Clegg, forse, avrebbe innescato cambiamenti ma il successo non c'è stato... ha contato soprattutto una ragione tecnica: il sistema elettorale maggioritario rende la vita difficile ai "terzi partiti" che non dispongano di un consenso territorialmente concentrato. Gli elettori sono chiamati a dare un "voto strategico", a orientare il proprio voto al fine di impedire che si assicuri il seggio il candidato del partito da essi più avversato. Il non brillante risultato liberale, a sua volta, salvo sorprese, rende poco credibile la possibilità di una riforma del sistema elettorale in senso proporzionale (una riforma, quella sì, che decreterebbe la fine del bipartitismo)... Presto o tardi, con nuove elezioni, anche l'attuale incidente di percorso verrà riassorbito...».
Nessun sistema mette al 100% al riparo da crisi e momenti di instabilità, perché essi fanno parte della vita umana, individuale e collettiva, e non sono eliminabili. Ma se l'uninominale e il bipartitismo li riducono al minimo, il proporzionale e il multipartitismo rischiano di produrre due esiti che sono la regola, non l'eccezione: o il consociativismo, o l'ingovernabilità patologica. E stiamo sperimentando in Italia come l'aver adottato un sistema proporzionale con correzione maggioritaria ci abbia solo illusi di aver rafforzato il bipolarismo. Nei due partiti maggiori infatti si agitano ancora spezzoni che ambiscono a recuperare una rendita di posizione.

Così come i lib-dem nel Regno Unito si illudono che passando al proporzionale verrebbe formalizzato un sistema tri-partitico che li vedrebbe sempre al governo, o con i Tories o con il Labour, e unici arbitri del quadro post-voto. In realtà, la stessa complessa entità statuale del Regno Unito dovrebbe suggerire che senza una semplificazione del sistema partitico, passando al proporzionale si andrebbe non verso il sistema tedesco, ma verso una frammentazione estrema, con probabilmente oltre 10 partiti. Gli stessi lib-dem finirebbero ben presto per perdere il loro ruolo di ago della bilancia, funzione che si scomporrebbe a favore di tante altre entità che cercano di far valere la loro rendita di posizione anche minima.

E' falso, inoltre, che l'uninominale «sovrarappresenti» i partiti di maggioranza relativa, come se ciò fosse il prodotto di un intervento artificiale rispetto alla volontà degli elettori. Si può parlare in questo senso di «sovrarappresentazione» in un sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza, com'è il nostro, per cui una quota di rappresentanti viene praticamente eletta dal nulla. L'uninominale è semplicemente la messa in pratica di un'idea diversa della rappresentanza rispetto a quella sottesa al proporzionale.

L'idea alla base di quest'ultimo è che ad eleggere i propri rappresentanti sia il popolo nella sua totalità, inteso come entità monolitica e omogenea (non dal punto di vista delle opinioni politiche, ma come soggetto legittimato ad essere rappresentato), quindi in un certo senso astratta. Viceversa, il collegio uninominale presuppone l'idea che non esiste tale entità umana, ma che esistono in concreto, su un dato territorio nazionale in un preciso momento storico, diverse comunità di persone, di diverse o simili dimensioni, ciascuna delle quali ha diritto ad esprimere un suo rappresentante. Parlare di «sovrarappresentazione» con l'uninominale non ha senso, perché in realtà ha poco senso, in quel sistema, guardare al dato percentuale sul voto popolare, che diventa un'astrazione.

1 comment:

Anonymous said...

mai sentite tante stronzate tutte insieme talmente grandi che non andrebbe neanche la pena smentirle.
ho di meglio da fare ma tuttavia faccio un piccolo esempio della scorrettezza intellettuale del punzi.

"E' falso, inoltre, che l'uninominale «sovrarappresenti» i partiti di maggioranza relativa, come se ciò fosse il prodotto di un intervento artificiale rispetto alla volontà degli elettori. Si può parlare in questo senso di «sovrarappresentazione» in un sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza, com'è il nostro, per cui una quota di rappresentanti viene praticamente eletta dal nulla. L'uninominale è semplicemente la messa in pratica di un'idea diversa della rappresentanza rispetto a quella sottesa al proporzionale."

invece è vero, verissimo, e la determinazione dei seggi è un intervento artificiale rispetto alla volontà degli elettori.
un sistema proporzionale con premio di maggioranza non è più proporzionale, quindi eviti di fare giochini stupidi.

e se ne faccia una ragione. il bipartitismo in UK è morto e sepolto. ora mettiamoci in poltrona e guardiamo come viene bollito cameron...

JL