La politica stia alla larga
Come per un errore giudiziario, dopo sedici anni una detenzione viene riconosciuta ingiusta. Sedici lunghi anni ha dovuto combattere il padre di Eluana per mandare in pace la figlia, in stato vegetativo permanente e irreversibile. Fatta vegetare tramite sondino. Avrebbe potuto intraprendere delle scorciatoie. Ha voluto invece sentirsi legittimato dalla società, sentirsi a posto con la legge. Ed è stata una lunga, drammatica, battaglia legale.
Per ignoranza o per malafede, o come semplificazione giornalistica, si sente ora a parlare della «Terry Schiavo italiana». Un errore che purtroppo commettono anche giornali e commentatori che considerano la sentenza una liberazione e non un assassinio. La differenza tra i due casi è enorme e - ripeto - solo per ignoranza o malafede si possono confondere. Nel caso di Terry Schiavo non c'era accordo sulle sue volontà tra il marito, riconosciuto come tutore legale, e i genitori e la sua condizione era più indefinibile. Un dubbio lacerante. Nel caso di Eluana, tra genitori e amiche nessuno ha mai messo in dubbio la sua volontà. Non hanno deciso i giudici, ha deciso il papà di Eluana, al quale i giudici hanno solo riconosciuto di agire secondo legge. E nel caso ci succeda una cosa del genere, in una situazione in cui non siamo in grado di esprimerci in prima persona, a chi affideremmo ciò che rimane della nostra vita? Al medico? Al giudice? Al legislatore? Al cardinale? Oppure, a mamma e papà, al nostro compagno o compagna, all'amico più intimo?
Mons. Fisichella si chiedeva ieri «come sia possibile che il giudice si sostituisca in una decisione come questa alla persona coinvolta». Ecco, innanzitutto bisogna premettere che non solo la sospensione del trattamento, ma anche la sua continuazione per sedici anni, è una decisione, altrettanto invasiva, di qualcuno. Non di Eluana, né della sua famiglia.
Poi, non è il giudice ad essersi «sostituito» alla persona coinvolta, semmai è il padre di Eluana (il padre!) a sostituirsi a lei riportandone e interpretandone le volontà. Non si capisce perché un medico, il legislatore, o un cardinale potrebbero invece sostituirsi alla persona coinvolta imponendo a loro volta quella che è a tutti gli effetti una decisione della medesima invasività: la continuazione del trattamento che fa vegetare. Non si capisce, quindi, chi potrebbe, sulle basi di quale suo diritto o interesse legittimo, impugnare la sentenza.
Più volte mi è capitato di scrivere del materialismo, del biologismo, dello scientismo di coloro che riducono la vita umana alle sue mere funzioni biologiche (pur assicurate da macchine) e avrebbero voluto, da comuni aguzzini, condannare a vegetare persino Welby e Nuvoli, i quali la loro volontà erano in grado di esprimerla in prima persona. Ad esprimere questa concezione sono per lo più vescovi e cardinali della Chiesa cattolica, intellettuali cattolici, comunque uomini e donne di religione, che dovrebbero invece avere della vita umana una concezione ben più alta del semplice vegetare.
Su il Riformista di oggi, è Mario Ricciardi a soffermarsi in modo chiaro su questo paradosso: «Se è vero che le sostanze nutritive che vengono somministrate a Eluana non sono in senso stretto "terapie", c'è da chiedersi se questa sia una ragione sufficiente per ritenere che sospenderle equivalga a uccidere un essere umano. Si ha l'impressione che chi ragiona in questo modo assuma una concezione della vita che finisce per farla coincidere con lo svolgimento di certe funzioni di parti del corpo umano. Posta questa premessa, impedire che tali funzioni proseguano sarebbe indubbiamente un omicidio. Si tratta di una posizione sorprendente soprattutto quando viene proposta da persone che non dovrebbero essere inclini a ridurre la vita alla materia. Appare inaccettabile l'idea che vivere sia semplicemente continuare a respirare. Oppure a digerire. Sorprende che questo modo di pensare sia difeso dai cattolici, perché la tradizione filosofica cui la chiesa si richiama intende la vita umana in modo più sofisticato, distinguendola dal semplice vegetare. C'è qualcosa di irragionevole, verrebbe quasi da dire di blasfemo, nel modo in cui certi ambienti hanno accreditato una sorta di idolatria delle funzioni vitali per opporsi agli atti di disposizione della propria vita, o all'eutanasia. Concentrarsi sugli indici biologici della vita ha fatto perdere di vista la questione della sua dignità, che non può essere assicurata da un'alimentazione artificiale protratta in modo indefinito. Almeno non quando si può escludere la speranza ragionevole di ritorno alla coscienza».
Perché, dunque, questo apparente materialismo da parte cattolica. Forse perché, ipotizza Gian Enrico Rusconi, considerano «il bios vegetativo come tale segno dell'impronta divina nell'uomo». Sull'uomo, un'impronta che altri uomini si sentono investiti della missione di rendere indelebile.
Così, per Mons. Fisichella è del tutto secondario che nel caso di Eluana sia stato il padre a decidere per la figlia, perché comunque non è la volontà dell'individuo a meritare tutela, ma il principio della sacralità divina della vita. E' sconcertato, confida a la Repubblica, perché «questa sentenza si sostituisce al legislatore e ai medici». La «persona coinvolta» scompare dalle preoccupazioni del monsignore. «Si è creato un precedente per obbligare il legislatore a intervenire». Qualsiasi autorità, dunque, persino il legislatore, con il quale la Chiesa può sempre trovare dei "compromessi". Purché non l'individuo, come dimostrano anche i casi Welby e Nuvoli, perché ciò che conta non è la vita concreta del singolo, ma il principio astratto.
Ci sono personalità e forze politiche che si battono con le migliori intenzioni per il cosiddetto testamento biologico. Ma con il passare degli anni e dei mesi - e delle sentenze - sono divenuto sempre più scettico sulla necessità di un intervento del legislatore, convincendomi da una parte che nel nostro ordinamento esistono già principi e leggi applicabili che garantiscono il diritto individuale a decidere della propria vita e della propria malattia e morte; dall'altra, proprio per questo, perché temo che il legislatore intervenendo possa addirittura limitare gli spazi di libertà che oggi più di una sentenza (da quella Welby a quelle sul caso Englaro) ha riconosciuto nell'ordinamento.
I giudici della prima sezione civile della Corte d'Appello di Milano, infatti, si sono limitati ad accertare l'esistenza nel caso Englaro delle due condizioni individuate dalla sentenza della Cassazione del 16 ottobre del 2007 come necessarie per riconoscere la legittimità della richiesta di sospensione dei trattamenti: che (1) lo stato vegetativo del paziente sia irreversibile e che (2) si accerti, sulla base di elementi di fatto ritenuti attendibili dai giudici, che il paziente, quando era cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento. Altre sentenze, inoltre, hanno già riconosciuto l'ammissibilità di testamenti biologici spontanei come prove della volontà del paziente.
L'impressione, anche qui, è che la politica più ne sta alla larga meglio è.
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Thursday, July 10, 2008
Thursday, March 08, 2007
Diritti gay: il tempo della delega alla sinistra è finito
Criticando l'intenzione dei vescovi di convocare le divisioni del Papa, pare a fine marzo, in piazza San Giovanni, Francesco Merlo scrive un paio di frasi davvero efficaci nello spiegare come Ruini e la Chiesa siano i veri materialisti, sessuocentrici e sessuofobici. L'ipocrisia innanzitutto:
Secondo la loro visione la vita non è che un processo biologico, dove l'anima scompare dalla scena; l'amore e la famiglia non sono che meccanica sessuale, senza spiritualità. Hanno paura dell'uomo. Ma com'è ridotta una religione che ha paura dell'uomo?
Tuttavia, conclude Merlo, «nessun organizzatore di piazze, nessun Ruini riuscirà a toglierci quel Cristo semplice che fu dileggiato in piazza proprio perché diverso. Si può essere omosessuali e non stare con Cristo, ma non si può neanche immaginare Cristo che manifesta contro gli omosessuali».
Se la Chiesa ha già tolto la propria delega politica ai partiti d'ispirazione cattolica e intende intervenire direttamente in difesa di quei principi ritenuti «non negoziabili», il movimento omosessuale sta per fare altrettanto con la propria delega alla sinistra. E lo fa con questo articolo davvero splendido di Aurelio Mancuso, su il Riformista, che forse è espressione di un momento di consapevolezza piena e di maturità politica completa da parte del mondo omosessuale: «Questi ceti politici della sinistra italiana devono sapere che il tempo della delega è definitivamente concluso e questa manifestazione del 10 marzo vi metterà il sigillo».
Né destra, né sinistra, ma al di là di destra e sinistra, la decisione è di "investire" nella società italiana.
Infine, nota per Benedetto Della Vedova, dei Riformatori Liberali, che sarà alla manifestazione del 10 marzo: i "Dico" «non dicono nulla», ma «è ora che le coppie omosessuali abbiano un riconoscimento giuridico... un riconoscimento di serie A». Peccato che poi, come spesso gli capita, cade in alcune evidenti contraddizioni.
«Ruini organizza la piazza perché vuole che nelle famiglie rimanga celata la diversità e la dissonanza, che l'omosessualità venga coltivata appunto come vizio nascosto, con questa idea barbara e blasfema che Dio sia maschio e il diavolo sia invece pederasta, che il diritto non sia compatibile con l'omosessualità, che ci siano dei viali di Roma dove, anche nella notte di Pasqua, è opportuno che gli omosessuali si vendano nell'inferno del vizio, mentre è sempre inopportuno che due uomini o due donne si amino alla luce del sole, ed è pagano e antiitaliano che i loro diritti di coppia siano tutelati da una timidissima legge, che non è certo rivoluzionaria».«Nella tormentata storia della liberazione sessuale dell'Italia, la famiglia, se è in crisi, non lo è certo a causa degli omosessuali. Al contrario, gli omosessuali proprio perché vogliono "affamigliarsi" la rilanciano, ne accettano il codice alto che non può essere ridotto da nessuno, neppure da Ruini, alla tecnica sessuale, al modo con il quale in camera da letto si uniscono due corpi. E' Ruini e non gli omosessuali a credere che l'uomo sia una pratica sessuale. Nessuna persona sana quando parla con qualcuno pensa alle sue parti basse e all'uso che egli ne fa. E l'Italia, che forse non è un paese molto morale, è però abbastanza sana: all'anarchia del vizio nascosto preferisce la civiltà dei diritti...»
Secondo la loro visione la vita non è che un processo biologico, dove l'anima scompare dalla scena; l'amore e la famiglia non sono che meccanica sessuale, senza spiritualità. Hanno paura dell'uomo. Ma com'è ridotta una religione che ha paura dell'uomo?
Tuttavia, conclude Merlo, «nessun organizzatore di piazze, nessun Ruini riuscirà a toglierci quel Cristo semplice che fu dileggiato in piazza proprio perché diverso. Si può essere omosessuali e non stare con Cristo, ma non si può neanche immaginare Cristo che manifesta contro gli omosessuali».
Se la Chiesa ha già tolto la propria delega politica ai partiti d'ispirazione cattolica e intende intervenire direttamente in difesa di quei principi ritenuti «non negoziabili», il movimento omosessuale sta per fare altrettanto con la propria delega alla sinistra. E lo fa con questo articolo davvero splendido di Aurelio Mancuso, su il Riformista, che forse è espressione di un momento di consapevolezza piena e di maturità politica completa da parte del mondo omosessuale: «Questi ceti politici della sinistra italiana devono sapere che il tempo della delega è definitivamente concluso e questa manifestazione del 10 marzo vi metterà il sigillo».
Né destra, né sinistra, ma al di là di destra e sinistra, la decisione è di "investire" nella società italiana.
Infine, nota per Benedetto Della Vedova, dei Riformatori Liberali, che sarà alla manifestazione del 10 marzo: i "Dico" «non dicono nulla», ma «è ora che le coppie omosessuali abbiano un riconoscimento giuridico... un riconoscimento di serie A». Peccato che poi, come spesso gli capita, cade in alcune evidenti contraddizioni.
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