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Thursday, September 20, 2007

La rupture di Sarkozy tenta Veltroni

«Ogni giorno che passa diventa più chiaro a tutti - credo anche a Veltroni – che la mancanza di risposte reali, durature e ambiziose ai problemi diventa una palla al piede. Sarebbe autolesionistico. La scommessa di Veltroni si gioca sull'autenticità del suo riformismo. Quanto più sceglie obiettivi difficili, soluzioni coraggiose, tanto più potrebbe farcela».

Ne è convinto Nicola Rossi, che ha affidato queste considerazioni a Il Foglio. Sarà il tempo a dirci se Veltroni imboccherà con decisione la strada che intravede Rossi. Certo, è in salita. Serve una rottura totale con l'attuale governo, che però ad oggi Veltroni non può permettersi. E questo rende difficile l'eventualità che si vada alle urne subito, se Prodi dovesse cadere. Il nuovo leader del Pd avrebbe bisogno di molto tempo per convincere gli italiani che il suo nuovo partito e il centrosinistra - ci auguriamo di «nuovo conio» - non hanno più nulla a che fare con il prodismo.

Tuttavia, anche Il Foglio offre al riformismo di Veltroni un certo credito, ed è un'attenzione a mio avviso giustificata. E tra l'altro il sindaco sa bene che su quel fronte ha anche il fiato sul collo di Rutelli. «Prove di sarkosismo», le chiama: «Veltronomics». Attenzione soprattutto alla rete di rapporti, ai legami con gli studiosi del sito lavoce.info. Marco Causi, economista dei beni culturali, lo stesso Nicola Rossi, Enrico Morando (sulla parte fiscale), Tiziano Treu, Tito Boeri e Pietro Garibaldi.

Si cominciano a delineare le prime proposte fiscali, dopo l'inversione dello slogan in "Pagare meno, pagare tutti", e l'altro giorno è stata presentata quella sul contratto unico, «parente del contratto unico di Sarkozy»: un contratto a tempo indeterminato sin dall'inizio, ma con tutele progressive, cioè la possibilità per il datore di lavoro di licenziare il lavoratore nei primi tempi. Una proposta che può coniugare «una ragionevole flessibilità in uscita – senza evocare lo spettro dell'articolo 18 – e una semplificazione della complessa articolazione dei contratti prevista dalla legge Biagi».

Intanto, Sarkozy prosegue con la sua rupture, che in questo caso riguarda la pubblica amministrazione. Fino ad oggi ha giocato un ruolo di «ostacolo al cambiamento», ma «il malessere è ovunque», «lo Stato non cessa di estendersi per diventare tentacolare». Occorre quindi un «nuovo patto tra funzionari e cittadini», una «rivoluzione culturale», «ricostruire da zero la funzione pubblica, rifondare lo Stato». Intenzioni bellicose. Si annunciano mesi caldissimi di scontro con i sindacati del settore e la lobby burocratica, in Francia forse più potenti che da noi.

Meno impiegati, meglio pagati e con migliori prospettive di carriera, ma secondo merito e con più mobilità tra le diverse strutture. L'obiettivo è di introdurre la «cultura del risultato» anche nell'apparato dello Stato, uscendo «dall'approccio ugualitarista e anonimo», quello dell'avanzamento di carriera uguale per tutti indipendentemente dai risultati.

Dunque, stipendio sulla base del merito invece che dell'anzianità, valutazioni non più affidate ai sindacati, formazione continua, ma - soprattutto - «l'individualizzazione della remunerazione per tenere conto delle capacità e dei risultati» e la libertà per ogni nuovo assunto di scegliere «tra lo statuto di funzionario e un contratto di diritto privato negoziato individualmente». Insomma, l'inizio della fine della contrattazione collettiva. Autunno caldo per Sarkozy. E per Veltroni, se vorrà, e saprà, stargli al passo.

Saturday, August 25, 2007

Veltroni attacca Prodi e il prodismo

Verso una "rupture" veltroniana?

Ci era parso a suo tempo che qualcosa di positivo e di nuovo, seppure ancora insufficiente, Veltroni l'avesse detto a Torino, annunciando la sua candidatura alla leadership del Partito democratico.

Registriamo oggi che Veltroni si dice pronto a far compiere al Partito democratico un passo che riteniamo assolutamente necessario: rinunciare all'alleanza con la sinistra comunista e massimalista. E' passato infatti dall'idea di un Pd «maggioritario ma non autosufficiente», esposta nel discorso di Torino, che avevamo giudicato inadeguata a garantire una rottura con l'esperienza dei riformisti nell'Ulivo e del centrosinistra formato Unione, all'idea di un partito maggioritario e, se necessario, anche autosufficiente.

«Il Partito democratico nasce per superare l'idea che quel che conta è vincere le elezioni. Ovvero battere lo schieramento avversario mettendo in campo la coalizione più ampia possibile, a prescindere dalla sua coerenza interna e dalla sua effettiva capacità di governare il paese». E ancora: «Non si può giustificare la vaghezza o l'ambiguità del programma, in nome del feticcio dell'unità della coalizione... in nessuna grande democrazia europea sarebbe immaginabile presentarsi agli elettori con una coalizione priva dei requisiti minimi di coesione interna, tali da rendere credibile la sua proposta di governo».

Quindi il Partito democratico «non potrà presentarsi alle elezioni all'interno di coalizioni disomogenee sul piano programmatico» e «piuttosto, qualunque sistema elettorale avremo in futuro, dovrà accettare il rischio, o sperimentare l'opportunità, di correre da solo». Meglio soli che male accompagnati, anche se il prezzo da pagare fosse quello di perdere le elezioni. Una svolta di mentalità che se confermata dai fatti produrrebbe essa stessa un cambiamento politico.

Quante volte ci era capitato di denunciare il «feticcio dell'unità» della sinistra! In un lungo articolo scritto per LibMagazine sulla crisi del Governo Prodi, "L'utopia prodiana al capolinea. La sinistra ancora in ritardo con la storia", avevamo definito "utopia prodiana" proprio l'idea che l'Ulivo, alleandosi con la sinistra comunista e massimalista, potesse non solo "cacciare" Berlusconi e vincere le elezioni, ma anche governare il paese.

"Senza l'ala radicale non si vince, ma con l'ala radicale non si governa". L'impegno dei vertici del centrosinistra negli ultimi undici anni è stato sempre volto a smentire la seconda di queste due proposizioni. Mai si è tentato di smentire la prima. Ebbene, questo «schema tattico ha dominato il bipolarismo italiano in questa lunga transizione», scrive oggi Veltroni. E il riferimento non può che essere all'eterogenea Unione prodiana, oggi afflitta da paralisi decisionale.

Per undici anni Prodi (come Berlusconi) è stato l'unico possibile interprete e collante dell'eterogeneità della coalizione. Il prezzo pagato nell'arco di questo lungo periodo è stato l'incapacità della sinistra di fare i conti con se stessa, di accorgersi di quanto fosse ingombrante il suo passato, seppure oggi nella veste di un antagonismo post-ideologico, e quindi di diventare forza di governo.

Se in nessun paese europeo la sinistra democratica e liberale governa insieme a quella neocomunista ci sarà pure un motivo. Il superamento di questa anomalia solo italiana passa per il fallimento dell'"utopia prodiana".

Ma è proprio vero che il Pd non vincerebbe facendo a meno dell'alleanza con l'ala comunista e massimalista? Parte dei consensi sarebbe recuperata da sinistra, da quanti farebbero confluire il loro voto su chi avrebbe chance reali di battere la destra. Ma una parte decisiva di voti verrebbe da quel "centro" politico dell'elettorato, da quel ceto medio produttivo, de-ideologizzato e pragmatico, che il "riformismo debole" alleato con i comunisti non potrà mai conquistare. Una leadership lungimirante avrebbe dovuto progettare tutto ciò anni fa, ma rinviare ancora vorrebbe dire pagare un conto ancora più salato.

In Italia è ancora diffusa la convinzione da parte dei leader di entrambi i poli che per conquistare nuovi consensi, e allargare la propria coalizione, servano alleanze con i piccoli partiti contigui piuttosto che cercarli politicamente nel paese, convincendo gli elettori della bontà della propria proposta di governo. L'assenza di un sistema elettorale veramente maggioritario e di una cultura bipartitica non aiuta, spingendo i partiti più grandi ad allearsi con i partiti minori anziché contendergli i voti. Il vantaggio del collegio uninominale, invece, sarebbe proprio quello di costringere le forze politiche maggiori a trovare candidati che possano intercettare il consenso dell'elettorato di mezzo, o addirittura avversario, allargando così la loro base elettorale politicamente, non "geograficamente", subendo i ricatti dei partiti centristi che mirano alla palude o di quelli estremisti, con i quali è impossibile governare.

Certo, tranquillizza Veltroni, nel futuro il patto con Rifondazione o con il nuovo soggetto a sinistra del Pd potrà proseguire, seppure su basi di maggiore chiarezza programmatica. Ma se si rivelasse impossibile... Infine, l'ultimo colpo a Prodi: «Le alleanze di governo si fanno e si disfano davanti agli elettori, prima del voto», ma «a regime la leadership del partito dovrà coincidere con la premiership o con la candidatura a premier».

Le «parole giuste», «contro la logica dell'Unione e del prodismo», ha riconosciuto stamattina anche Il Foglio. E' su «un programma di governo incisivamente riformatore» che va fondata la coalizione, e non il contrario, com'è accaduto, raccogliendo cioè «una coalizione per poi stilare un colossale e ambiguo documento programmatico di carattere elettorale», osserva il quotidiano di Ferrara, che conclude: «Pur nei limiti ovvii delle impostazioni generali e preliminari, quella proposta da Veltroni è giusta, coglie le contraddizioni vere, offre risposte chiare e impegnative. Si dirà che sono solo parole, ma sono le parole giuste e non vanno sottovalutate. L'averle scritte esplicitamente come premessa alla battaglia per la conquista della guida del partito, d'altra parte, ha un senso di sfida anche a se stesso, alle tentazioni di un atteggiamento più possibilista e transigente, nelle quali ora sarà più difficile e sarebbe rovinoso cadere».

E non le deve sottovalutare innanzitutto Berlusconi, al quale la possibilità di non poter usare contro il Pd l'argomento dell'Italia "in mano ai comunisti" dovrebbe suonare come campanello d'allarme.

Rutelli il passo in avanti di Veltroni lo aveva già compiuto giorni fa, parlando di «alleanze di nuovo conio», e oggi su Europa torna sull'argomento: «Gli alleati di oggi – che dureranno per la legislatura, secondo l'impegno preso con gli elettori – non è detto che lo siano a vita... Dipende dalla sinistra più radicale, se continuerà a isolarsi, a cercare una caratterizzazione su temi troppe volte conservatori e talvolta del tutto minoritari. Attenzione: non in minoranza tra i "moderati" o "la borghesia", come si diceva un tempo: minoritari nel popolo, nei ceti popolari... Negli anni a venire, l'alternativa al ritorno della destra non potrà che essere un centrosinistra di nuovo conio».

Nel frattempo, Veltroni fa muovere qualcosa anche su una questione cruciale: le tasse. Il liberal Ds Morando e Giaretta della Margherita stanno preparando la piattaforma del candidato alla guida del Pd sulla riduzione del debito e delle tasse, partendo da quella che hanno riconosciuto essere una buona idea tremontiana: alleggerire il patrimonio statale. Resta da capire, però, se ricorrendo alla Cassa Depositi e Prestiti (la nuova Iri progettata da Tremonti) e se tagliando la spesa pubblica.

Qualche boccata d'aria questi giorni di fine estate ce la stanno regalando.