A Torino un discorso con il freno a mano tirato, ma non in retromarcia
Non è stato un discorso di "rottura", né Veltroni, accettando la candidatura alla guida del Partito democratico (testo e video), ha rinunciato al suo voler tenere tutto e tutti insieme e alle sue tirate "buoniste". Nel tono della voce, nell'insistere sul concetto di «democrazia che decide», si è sforzato però di dare di sé un'immagine di leader capace di assumersi la responsabilità della scelta piuttosto che incline alla mera raccolta e gestione del consenso.
E in realtà, oltre al "buonismo", qualcosa di buono l'ha detto. Sarebbe sciocco ignorarlo, perché quella di ieri non è sembrata una farsa, né l'ingresso in scena di un leader già lesso. Guai a sottovalutarlo. Tanto vale, senza illudersi, prendere per buoni gli spunti di novità e, a partire da quelli, incalzarlo, sfidarlo, andare a vedere il suo gioco.
Certo, né Blair né Sarkozy, né Obama né Clinton, hanno parlato al Lingotto di Torino, semmai, in alcuni passaggi (quelli meno applauditi), sprazzi di ragionamenti, buone intenzioni ancora troppo vaghe, lo sguardo al futuro e ai giovani, lezioncine blairiane imparate a memoria ed echi lontani di una sinistra moderna e liberale. Poche le risposte concrete e impegnative, come sulla Tav o sugli affitti, ai molti problemi reali elencati. Un discorso con il freno a mano tirato, ma con due o tre paradigmi culturali finora estranei sia al prodismo che al "riformismo" ulivista.
Innanzitutto, denuncia, definendone i connotati, un "conservatorismo di sinistra" come fattore di blocco per il Paese e di immobilismo sociale; indica la crescita come premessa indispensabile per ogni politica di "equità e opportunità"; parla di concorrenza, competitività, merito; si dice per un "ambientalismo dei sì". Sulle pensioni rimane vago, parla di "patto generazionale", sembra dire "meno pensioni, più ammortizzatori", critica i sindacati che tutelano i pensionati ma non i giovani, ma poi appoggia «l'ammorbidimento dello scalone»; cita persino il modello americano, le tutele e le opportunità di quello inglese; critica la logica "tassa e spendi" e parla di riduzione della spesa pubblica, anche se non dice dove e come; sulle tasse capovolge il paradigma riformista e anche l'approccio Padoa-Schioppa, proponendo "pagare meno, pagare tutti" (dove il "pagare meno" viene prima del "pagare tutti"), anche se non quantifica il "meno"; rompe il tabù della sicurezza; difende il bipolarismo e il sistema maggioritario, citando il doppio turno francese; richiama i cattolici alla "ragionevolezza", va bene la famiglia fondata sul matrimonio ma sì anche ai diritti dei conviventi.
Il sindaco di Roma spera che la sola presenza sulla scena politica di un proprio leader sia sufficiente al Partito democratico per defilarsi dall'attuale fallimentare esperienza di governo. Dunque, nessuna critica, né dissensi espliciti, sull'operato del Governo Prodi. Anzi, è disposto a sopportare anche qualche contraddizione nell'impianto del suo discorso teso al "voltare pagina", pur di mandare un messaggio di "non belligeranza", di appoggio pieno al governo, che incoraggia a proseguire su questa strada, ai suoi occhi «riformista».
Ma al di là di tutte le "rotture", le politiche innovative, le prese di posizione chiare e dirimenti sui temi di stringente attualità, che potevano esserci e non ci sono state, è mancata - ma non avevamo dubbi - una dichiarazione essenziale: che il nuovo Partito democratico non farà alleanze elettorali con la sinistra comunista e massimalista. Era chiedere troppo? Abbiamo avuto, invece, la conferma dell'approccio opposto: «Il Partito democratico deve avere in sé un'ambizione, al tempo stesso, non autosufficiente ma maggioritaria». Non autosufficiente e maggioritario, all'interno dell'Unione, era già l'Ulivo e vediamo tutti come sta andando a finire. Si accorgerà con il tempo, forse, che il progetto di un partito che vuol dirsi democratico è per forza di cose alternativo al progetto di partiti comunisti e antagonisti, almeno quanto lo è rispetto a quello del centrodestra? Ne dubitiamo.
E' infatti il modo di concepire l'alleanza elettorale e di governo con la quale presentarsi davanti ai cittadini a chiedere la chiave di Palazzo Chigi a gettare su Veltroni l'ombra della continuità e a rendere poco credibile che il Partito democratico possa rappresentare davvero una novità rilevante politicamente e non, invece, la riesumazione dell'Ulivo, con tutti i suoi disastri e problemi di ingovernabilità. Che fine faranno le migliori, più moderne e liberali idee per il Paese - che pure stentano, se non latitano - se ai propri peggiori "alleati" e ai sindacati si concederà di nuovo di esercitare un potere di veto sull'azione di governo?
Se quindi, con il discorso di ieri, il sindaco di Roma tenta di spingersi culturalmente oltre l'Ulivo (tentativo fallito da D'Alema nel 2000), non riesce, dal punto di vista politico, ad approdare al Partito democratico che per definizione è tale se ha l'identità, ma prim'ancora la convinzione, di dover essere non solo maggioritario, a sinistra, ma anche autosufficiente, cioè di presentarsi ai cittadini come forza capace di assumere autonomamente le responsabilità del governo.
Veltroni riconosce che oltre ai «conservatorismi di destra» il Pd deve portare la sua sfida anche ai «conservatorismi di sinistra». Parla di «innovazione, talento, merito, pari opportunità» e critica la sinistra europea «apparsa imprigionata, salvo eccezioni, in schemi che l'hanno fatta apparire vecchia e conservatrice, ideologica e chiusa... Ad una società in movimento, veloce, portatrice di domande e bisogni del tutto inediti, si è risposto con la logica dei blocchi sociali e della pura tutela di conquiste la cui difesa immobile finiva col privare di diritti fondamentali altri pezzi di società». Vengono in mente gli outsider, i giovani, i lavoratori non garantiti, i piccoli imprenditori.
Veltroni individua nella «lotta alla precarietà, dei giovani e delle imprese, la grande frontiera attuale che il Partito democratico ha di fronte a sé». Eppure, non è chiaro come intenda declinare questa «lotta alla precarietà», se in termini liberali, o aderendo al fantoccio polemico che della precarietà è stato fatto in questi anni dai sindacati e dalla sinistra conservatrice.
Il sindaco di Roma raccoglie diligentemente tutti gli «indizi di un declino possibile»: l'invecchiamento della popolazione, «la scarsa istruzione e la debolezza della ricerca», l'inefficienza dei servizi, un sistema fiscale «in cui convivono sacche evasione e pressione troppo alta», l'«illegalità diffusa», le difese corporative, dei grandi e piccoli privilegi, dall'apertura alla concorrenza.
Ha ben presente che l'Italia «deve crescere, investire sulla sua competitività, sul talento e la creatività dei suoi ceti produttivi» e da diligente studente del blairismo deve aver letto da qualche parte che «senza crescita gli obiettivi di una grande forza dell'equità e dell'opportunità sono destinati a soccombere». Messa al bando «ogni nostalgia nazionalistica», semplicemente «anacronistica», ha imparato anche che «la nazionalità non si difende con le barriere, ma con maggiore competititivà e innovazione». Ha preso qualche appunto dai discorsi di Montezemolo e ci tiene a far vedere che non è un esponente di quella classe politica dalla cultura anti-industriale: definisce le medie imprese «il cuore dell'Italia che produce. Stanno creando sviluppo. Vanno sostenute e aiutate a diventare grandi».
Poi Veltroni apre «quattro capitoli» per il rinnovamento dell'Italia: «ambiente, nuovo patto tra le generazioni, formazione e sicurezza».
Come Blair e Sarkozy, e ormai anche Bush, sottolinea l'importanza del «futuro ambientale del nostro paese e dell'intero pianeta». Indica nella riduzione delle emissioni di gas serra, nel risparmio energetico, nelle fonti rinnovavili, nella «mobilità ecosostenibile», gli obiettivi. Ma si possono affrontare i cambiamenti climatici anche rispettando le leggi di mercato. Pensa a tasse sulle auto «legate alla qualità delle emissioni», alla detassazione degli investimenti in ricerca, e a «inasprimenti per coloro che si sottraggono».
L'ambientalismo che propone Veltroni «rifiuta la logica del no a tutto», vuole essere un «ambientalismo dei sì». E infatti, tra i pochi punti in cui si esprime con chiarezza, ci sono i sì alla Tav e ai rigassificatori.
Parlare di «nuovo patto tra le generazioni», implicitamente ammettendo il rischio di uno scontro generazionale, e di «interessi di quelli che non sono ancora nati», è già qualcosa che fa storcere naso, bocca e occhi ai sindacati e alla sinistra conservatrice.
Veltroni osserva che l'«età media si allunga... non è una disgrazia... ma lo può diventare solo se saremo conservatori, pretendendo di fare fronte alle nuove insicurezze e problemi con le vecchie ricette», ma poi sull'età di pensionamento non dice nulla di chiaro e, anzi, appoggia «l'ammorbidimento dello scalone» che sta preparando il governo.
Tesse le lodi del sistema a ripartizione, introdotto trent'anni fa al posto di quello a capitalizzazione. Attribuisce grande valore morale al fatto che «io lavoratore in attività pago oggi i miei contributi, che vengono usati per pagare le pensioni ai pensionati di oggi, in nome del patto, garantito dallo Stato, che prevede che i lavoratori attivi di domani pagheranno a loro volta la mia pensione... e così via, in un sempre rinnovato rapporto di solidarietà tra le generazioni». Peccato che non si accorge che proprio quel rapporto di "solidarietà" è venuto meno, è inaffidabile, perché i "nostri padri" si sono mangiati tutte le risorse e non vogliono lavorare nemmeno un anno in più per assicurare pensioni dignitose ai "figli". Non è forse più prudente che ognuno paghi per sé e la fiscalità generale intervenga nelle situazioni di povertà estrema?
Di nuovo «la lotta alla precarietà», che «non si vince senza riscrivere un patto generazionale tra gli italiani. Senza spostare le ingenti risorse oggi impegnate per far fronte agli squilibri del sistema pensionistico verso i giovani e la loro inclusione». Intende forse: meno pensioni, più ammortizzatori? Non lo dice. Arriva quindi la critica al sindacato, che «non può e non deve tutelare solo i lavoratori che sono in questo momento in presenza di un posto di lavoro o i pensionati, deve saper tutelare i giovani che faticano a entrare nel mondo del lavoro», ma anche la professione di fede nel «metodo della concertazione».
La mobilità sociale è un altro obiettivo caro a Veltroni, tanto da azzardare a chiamare in causa gli Stati Uniti: «Se c'è una cosa... che dovremmo far nostra è quel principio di mobilità verso l'alto che è il cardine del modello americano. Chi è in basso deve poter salire. Chi vuol cambiare deve poterlo fare. Deve avere la speranza di poterlo fare e le opportunità per farlo...». A proposito, prende a esempio «due bambini: uno è figlio di genitori entrambi laureati, l'altro è figlio di genitori con diploma di scuola media inferiore. Il primo ha sette volte le probabilità del secondo di laurearsi: un abisso di dispari opportunità, una immobilità sociale che è causa non ultima dello scarso dinamismo economico». Ridurre del 30% questo divario dovrebbe essere uno degli obiettivi del Pd. Con quali politiche?
Il nostro, prosegue, è un «orologio sociale sfasato, messo a punto per un tempo che non c'è più». Perché, si chiede, un nostro ragazzo non può avere «le garanzie, le tutele sociali e le opportunità che esistono per i suoi coetanei inglesi?». Veltroni porta come esempi positivi il modello americano e quello inglese, ma si guarda bene dal proporre la "rottura", soluzioni "americane" o "blairiane" ai problemi di cui parla.
Non poteva mancare il debito pubblico. Per abbatterlo è necessario «generare risorse», ma «ogni frutto aggiuntivo che il meccanismo potrà generare dovrà poi equamente essere utilizzato per la riduzione della pressione fiscale e per il sostegno alle nuove politiche del patto intergenerazionale».
Veltroni concede che la pressione fiscale è troppo elevata, gli adempimenti burocratici troppi, irritante la distanza tra ciò che il cittadino paga e ciò che riceve in cambio: poche infrastrutture, pubblica amministrazione inefficiente, lentezza della giustizia civile per il recupero del credito.
Propone una «riqualificazione della spesa pubblica», ma non indica settori e priorità. Chiama le pubbliche amministrazioni a «giustificare l'utilità di tutte le somme che richiedono, non solo di quelle aggiuntive» e a «valutare fino all'ultimo euro come sono stati utilizzati i soldi dei contribuenti». Se no? Chiede alla sinistra un cambiamento di paradigma culturale: sanzionare come «altrettanto esecrabili quell'imprenditore che evade, quel pubblico dipendente che percepisce lo stipendio e non fa quello che dovrebbe e chi offre lavoro in nero».
«Per troppi anni la sinistra si è accomodata nella logica del "tassa e spendi"», spesso fissando «nuovi compiti burocratici e nuovi costi a carico dei contribuenti che già pagano». Veltroni prende atto che la strategia fin qui seguita, secondo cui si potrà far pagare meno solo quando tutti avranno preso a pagare tutto, non produce i risultati attesi.
Occorre quindi una «spirale virtuosa: man mano che lo Stato abbassa le aliquote e semplifica gli adempimenti, i contribuenti accrescono il livello di fedeltà delle loro dichiarazioni, e la loro recuperata fiducia nello Stato crea quel clima di condanna sociale dell'evasione che oggi manca». Il suo «pagare meno, pagare tutti» sembra un capovolgimento di paradigma rispetto all'inverso, «pagare tutti, pagare meno», tipico della sinistra "di governo". In questo caso, cambiando l'ordine dei fattori il prodotto cambia in modo sostanziale. «Non sto proponendo, vorrei che fosse chiaro, la flat tax», mette subito le mani avanti, temendo di aver tirato troppo la corda.
Tuttavia, in concreto, Veltroni non si discosta da quanto promesso da Prodi e Padoa-Schioppa. Avverte che «il livello della pressione fiscale non potrà essere drasticamente ridotto» e assicura «una consistente riduzione della pressione complessiva nei prossimi tre anni», che però non quantifica.
Una delle poche proposte concrete riguarda la tassazione degli affitti e potrebbe essere estesa anche ad altre prestazioni professionali: aliquota del 20% sull'affitto percepito, uguale per tutti (l'aliquota più bassa dell'Irpef è il 23%) e significativa detrazione per chi lo paga, uscendo dal "nero".
Terzo capitolo, l'educazione e la formazione, che «sono al centro di tutto». Veltroni cita gli impietosi dati dell'Ocse, che ci vede agli ultimi posti per numero di diplomati (solo il 37,5%, otto punti in meno della media Ocse) e laureati (appena il 12% della popolazione, la metà della media Ocse) e per i livelli di apprendimento. Evoca in generale la necessità di premiare i più meritevoli, ma non tira alcuna conclusione, è vaghissimo.
Anche sulla sicurezza chiede alla sinistra di adottare un diverso paradigma culturale («è un diritto fondamentale che non ha colore politico, che non è né di destra né di sinistra»), di abbandonare un certo snobismo («nessuno scrolli le spalle o definisca razzista un padre che si preoccupa di una figlia in un quartiere che non riconosce più»), e di non sottovalutare la percezione dell'insicurezza («non esiste, se non per le statistiche, la microcriminalità. Per una donna anziana che viene scippata quella non è microcriminalità, ma una cosa che pesa terribilmente»).
Sulla legge elettorale e le riforme istituzionali spende forse le parole più chiare, in favore dei sistemi maggioritari e del bipolarismo. Vorrà pur dire qualcosa se ha citato come esempi positivi le elezioni presidenziali e legislative francesi e la stabilità nei Comuni e nelle Regioni. La stabilità, ha osservato, «è stata tanto più vicina, in quest'ultimo decennio, tanto più ci siamo incamminati lungo la strada del bipolarismo, iniziata con la riforma in senso maggioritario del vecchio sistema elettorale proporzionale».
Una riforma dovrà porsi «quattro obiettivi: contrasto della frammentazione, stabilità di legislatura, rappresentatività del pluralismo, scelta del governo da parte dei cittadini». Se il Parlamento non riesce, «sarà allora il referendum a spingere». Inoltre, superare il bicameralismo e ridurre il numero dei parlamentari e di tutti gli organismi elettivi.
E' a questo punto che Veltroni invoca una «democrazia che decide», secondo il binomio «delega e responsabilità». L'Italia è diventata il Paese «in cui tutti, a tutti i livelli, hanno il diritto di mettere veti e nessuno ha il diritto di decidere», denuncia, ma ci pare che Veltroni stesso si predisponga volentieri a farsi mettere veti dalla sinistra comunista e dai sindacati.
Sul capitolo laicità, naturalmente il suo è un appello al dialogo e alla sintesi. Quindi, critica la «contrapposizione esasperata tra integralismo religioso e laicismo esasperato». E' un «paradosso insostenibile».
La politica e le istituzioni hanno il dovere di cercare un «punto di equilibrio», tra «il valore pubblico delle scelte religiose delle persone e la laicità dello Stato. A nessun cittadino che abbia fede, quale essa sia, si chiederà di lasciare fuori dalla porta della politica il proprio percorso spirituale e i propri valori. Anche i non credenti devono rispettare e tener di conto le opinioni di chi, mosso dalla fede, può portare alimento alla vita pubblica. Al tempo stesso, ognuno è tenuto a rispettare quel che la nostra Costituzione afferma e salvaguarda: la laicità dello Stato Repubblicano».
Sono le frasi successive che forse non ci saremmo aspettati da Veltroni, il sindaco amico dei papi: «... ed è la democrazia stessa a imporre, a chi è legittimamente mosso da considerazioni religiose, di tradurre le sue preoccupazioni in valori universali e in proposte concrete ispirate alla ragionevolezza, e non specifici della sua religione. Se è certamente vero ciò che Savino Pezzotta ha detto, circa il valore costituzionale della famiglia fondata sul matrimonio, è altrettanto vero che, come hanno fatto tutte le altre grandi democrazie, anche in Italia è giusto riconoscere i diritti delle persone che si amano e convivono».
Brevissimo, infine, l'unico passaggio sulla politica estera, tanto per rivendicare l'intervento nei Balcani: «La pace dove non c'è non può essere difesa ma dev'essere ricostruita», in pieno accordo con la comunità internazionale, «agli antipodi» della guerra preventiva e dell'unilateralismo. Ma si sa, questo è il campo di D'Alema.
5 comments:
Oggi, su la discesa di Uolter ed i suoi significati, pienamente daccordo con te!
S.
bah...secondo me...quel tenue discorsetto che ha fatto "uolter"...chi glielo ha scritto...avrebbe potuto redigerlo per chiunque altro - presunto - leader...anche per un redivivo prodi.
anche quest'ultimo pupazzo...era per le grandi opere...per la riduzione della spesa pubblica...per l'abbassamento delle tasse...per la liberalizzazione della porchetta...e poi???
hanno solo liberalizzato i "discorsetti 4-stagioni"...che vanno sempre bene...
fumo negli occhi...
uolter, poi...con le promesse che si dilatano nelle more dei tempi...ci va a nozze...chiedetegli dell'anello della metro, a roma...tra lui e rutelli...credo che stiano promettendo la sua realizzazione da quasi 20 anni!!!
e meno male che non gli hanno fatto ricoprire d'asfalto il pincio!!!
in verità...l'unica cosa nuova che ho visto ( e non sentito )...nel discorsetto di uolter...è stata la traduzione simultanea per i sordomuti.
ma forse...era solo una sottile metafora rivolta agli stessi, oltremodo "sordomuti"...futuri adepti del nascituro,speriamo prematuro...partitodemocraticoooooooooooo...
sicuramente era un invettiva - malcelata - rivolta contro gli sfasciti-movimentisti-noglobalisti-neocomunisti.
e chi più ne ha...più ne metta.
mo uolter...no party.
ciao.
io ero tzunami...
E' facile per Veltroni criticare i sindacati quando percepisce €.9000 quale pensione parlamentare + lo stipendio da Sindaco.
E' già cominciata la rivoluzione :
"Nel Documento il governo stima che la pressione fiscale inizierà a scendere dal 2008 (leggermente, a dire il vero, a 42,6% dal 42,8%) per raggiungere il 42% nel 2011"
lo 0,6 nei prossimi 4 anni, stiamo freschi :-)))))))))))
Veltroni, veltroni....
fuori dai maroni!!!
Ma voi davvero credete che al Nord ci siano ancora dei "coglioni"?
Allora non state capendo proprio nulla di ciò che è successo e sta succedendo tra la gente del Nord e non solo...
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