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Tuesday, June 26, 2007

I danni dei professionisti dell'europeismo

EuropeistiLe vestali dell'europeismo politicamente corretto si sono scandalizzate per l'esito deludente del vertice del Consiglio europeo di Bruxelles, dal quale faticosamente è uscito un accordo di basso profilo sul nuovo trattato dell'Unione. Emesse e ritirate patenti di europeismo; solenni discorsi di retorica europeista alternati a piagnistei e accuse. All'indice la Polonia dei fratelli Kaczynski. Ora che all'Eliseo c'è Sarkozy si scopre che i francesi sono protezionisti, mentre restano tra i "buoni" Italia, Spagna e Germania. Anche Blair finisce nella lista dei "cattivi". Non importa se grazie all'accoglimento delle sue richieste il premier britannico potrà evitare al trattato di dover passare per la stretta via referendaria, scongiurando quindi un'altra, probabile, sonora bocciatura, questa volta dagli inglesi.

Tra le cause dell'impasse c'è un equivoco di fondo sul concetto stesso e la funzione di una costituzione. Essa deve innanzitutto provvedere a regolare il funzionamento democratico delle istituzioni e a dichiarare i già noti diritti dei cittadini. Se invece, attraverso il trattato costituzionale, si pretende di far prevalere certe legislazioni del lavoro e protezioni sociali, un modello di politica economica, e persino una visione di politica estera, è inevitabile che non si trovi un accordo.

Si tratta degli ambiti della decisione politica ordinaria, non di un assetto che si vuole costituzionale. Tra l'altro, il rischio concreto è che su temi delicati come le garanzie dei cittadini, la giustizia, il modello economico e sociale, si perpetuino e, anzi, si diffondano, i mali del continente da cui giustamente i cittadini britannici, per esempio, intendono tutelarsi. Meglio una virtuosa competizione tra le varie legislazioni nazionali che un'omologazione alle politiche centraliste, dirigiste e protezioniste che ci stanno condannando al declino.

Alla base delle odierne difficoltà c'è anche un'analisi sbagliata della bocciatura, nel giugno del 2005, del nuovo trattato costituzionale da parte dei cittadini francesi e olandesi. All'indomani del voto i leader europei annunciarono «un periodo di riflessione». Per molti il tempo avrebbe dovuto sanare le ferite, "sbianchettando" gli esiti referendari, consentendo così alla macchina di ripartire esattamente dal punto in cui ci si era fermata, come se nulla fosse accaduto e se si potessero archiviare quei milioni di "no" senza prima aver posto sotto severo esame l'approccio "europeista" che aveva partorito la bozza costituzionale uscita sconfitta.

Da sole, l'estrema destra nazionalista e xenofoba e l'estrema sinistra anti-americana, anti-capitalista e anti-global, non sarebbero mai riuscite a bocciare la nuova costituzione europea. Quei "no" anti-liberali dei francesi a un'Europa che liberale non era – e che pur essendo statalista e protezionista, socialdemocratica e gollista, veniva accusata di non esserlo abbastanza – non avrebbero mai raggiunto il 55% dei voti, se non avesse pesato una terza forza non organizzata, che si finge di non vedere. Quella dei sinceri europeisti – liberali, democratici, federalisti – delusi da questa Europa, che non se la sono sentita di approvare un farraginoso trattato intergovernativo, una selva intricata di "nuovi diritti" e ipertrofia burocratica, massima espressione dell'establishment europeo e di una sorta di pensiero unico sull'Europa (il solo "politicamente corretto") che in totale dispregio del costituzionalismo liberale ha ridotto il sogno europeo a un incubo burocratico. La nuova costituzione, con i suoi 448 articoli, 441 in più di quelli necessari se guardiamo alla Costituzione Usa, poneva le basi per un nuovo assolutismo, soft e burocratico.

Non basta dire: "più Europa". Bisogna capire "quale Europa". E il dibattito su "quale Europa" è stato del tutto atrofizzato, negli anni, dalle oligarchie tecno-burocratiche di Bruxelles, dai professionisti di quell’europeismo politicamente corretto: gli ideologi dell’Europa intergovernativa e comunitaria. Per meglio demonizzare il dissenso verso il loro modello, si sono scelti gli avversari più comodi, alimentando gli istinti e le fobie di estrema destra ed estrema sinistra e "silenziando", invece, con arroganza e aridità ideale, quegli europeisti che con buone ragioni oppongono a questa Non-Europa una diversa e più attraente idea di Europa, democratica e federale: gli Stati Uniti d’Europa.

Ormai ci si muove nell'ottica del modello intergovernativo, divenuto ideologia ufficiale dell'europeismo. Per cui "più Europa" coincide con il rafforzamento di quel modello e i soli europeisti patentati sono coloro che lo sostengono. Gli stessi federalisti sono caduti nella trappola e si riducono ormai a considerare il rafforzamento del modello intergovernativo come un successo anche un loro, mentre in realtà proseguire su quella via allontana la prospettiva federale.

Il modello intergovernativo è parte del problema, ma nonostante le sconfitte i chierici dell'europeismo lo ritengono l'unica soluzione. E' strutturalmente inadeguato a far compiere all'Europa il salto di qualità verso l'unione politica. Se infatti, nel muovere i primi passi, all'Unione erano indispensabili le spinte dei governi e delle élite intellettuali, finanziarie e burocratiche, oggi l'unione politica non può che trovare la sua compiutezza e legittimità nei cittadini europei, tramite un assetto democratico e federalista.

Se la scelta è tra una versione debole e una forte di un potere intergovernativo da cui prende forma un Superstato visto come vincolo burocratico a cui strappare tutele e privilegi nazionali, allora è preferibile che rimanga debole. Finché non verrà superata la logica dell'UE come camera di compensazione degli interessi dei singoli stati membri, che è propria del modello intergovernativo, e non verranno invece individuati nei cittadini i soggetti di interessi e diritti cui la politica europea, nelle sue nuove istituzioni, democratiche e federali, dovrà rispondere, è più prudente che il Leviatano europeo non accresca troppo i suoi poteri.

Da LibMagazine

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