Sono davvero molti i contributi degni di nota su questo nuovo numero di LibMagazine. Ne segnaleremo due. Da leggere tutto d'un fiato l'editoriale - un piccolo tesoro da investire - di Luigi Castaldi, che usa l'impegnativa formula del "noi" riuscendo a tracciare alla perfezione profilo, metodo e, direi, stato d'animo di questa impresa che è LibMagazine:
«Non è stato difficile, per noi di LibMagazine, definire il minimo comune multiplo di liberalismo che potesse unirci, sotto quel Lib- della testata...». E' il concetto di laicità. Però con «il senso meta-storico che il termine ha tratto dalla storia: laicità come estraneità dalla logica delle costruzioni ideologiche. Non solo anticlericalismo, dunque. (Be', sì, siamo anticlericali anche nel senso più ristretto del termine, ma non vorremmo che la laicità si esaurisse in quello. E dunque...) E dunque laicità come sinonimo di anticlericalismo (giacché clero e laico sono dicotomici in radice), ma chiarendo: contro ogni chiesa, cioè contro ogni costruzione ideologica.
Cioè: liberali contro ogni tipo di stato etico – fascista, comunista, cattolico... Liberali nel campo dell'economia e in quello dei diritti civili, nel campo della bioetica e in quello della politica estera... noi di LibMagazine pensiamo che non si possa essere libertari senza essere liberisti, o viceversa. Un libertario che storce il muso al liberismo non è un liberale: è un fricchettone un po' sfigato. Un liberista che storce il muso al matrimonio gay o alla liberalizzazione delle droghe non è un liberale: è un conservatore cui frizza il cuore a immaginare il dinamismo del mercato libero, immaginandone l'utile. Essere liberali – scriveva Mario Missiroli – è tremendamente arduo e penoso...»
Premesso questo, prosegue Castaldi, «di fronte al collasso delle strutture portanti di quelle categorie (sinistra, destra, centro) in cui si sono mosse le più potenti costruzioni ideologiche del XX secolo (comunismo, fascismo e magistero sociale della Chiesa di Roma), noi di LibMagazine troviamo indispensabile smarcarcene. Lo dirò per quanto mi riguarda, e nel modo che mi riguarda: i liberali non sono di sinistra, non sono di destra e non sono di centro. Possono trovarsi a sinistra, a destra o al centro, ma solo a volerceli vedere, cioè ad avere gli occhi che guardano ancora dall'interno di quelle costruzioni ideologiche. Questo – comprenderete – sarà importante dirlo per dipanare tutte, prima ancora di intrecciarle, quelle questioni di polemica politica che dovessero investirci. In qualche modo ci hanno già investito, con l'aver affidato a Daniele Capezzone la direzione politica di questa rivista on line. Il percorso politico di Daniele Capezzone ci è sembrato sostanzialmente coerente con quella laicità che ponevamo come minimo comune multiplo del nostro essere liberali, almeno sotto quel Lib- della testata.
«E sia chiara una cosa», conclude Castaldi: che «noi di LibMagazine non siamo settari e odiamo il settarismo. Come dire, intendiamo allargarci, cercheremo di non esaurirci nella testimonianza».
Segnaliamo, inoltre, la proposta di Francesco Nardi, che entra nel dibattito sull'«impiego migliore possibile del famigerato tesoretto», facendone una questione di responsabilità politica, quella «che da molti - specie a sinistra – è ridotta in confusione con la responsabilità penale dei politici, laddove - a noi pare -, a prescindere dalle perorazioni "di classe", un serio modo di intendere la politica dovrebbe far fronte ai debiti politici che un'azione legislativa – anche d'urgenza – costituisce nei confronti del Paese».
Si tratta di «quei debiti che si sono contratti sulla base di inefficienze politiche». Per esempio, quelle che hanno portato il Parlamento ad approvare l'indulto, contraendo così, giustamente, un debito «nei confronti dei principi di legalità e certezza della pena». Ebbene, si potrebbe usare l'extra-gettito per rinnovare l'intero sistema carcerario, in un sol colpo estinguendo quel debito politico, quindi occupandosi della sicurezza dei cittadini, e creando le condizioni per il rispetto dei diritti dei detenuti e per le finalità rieducative della pena.
6 comments:
La storia che chi è liberale deve essere necessariamente liberista è falsa: Keynes era iscritto al partito liberale inglese ed era un convinto liberale, per fare un esempio.
Chi è liberale ama il mercato e molte delle sue regole, ma non è necessariamente e acriticamente liberista.
Cià
Stefano
Liberismo è un termine solo italiano. E Keynes appartiene a un periodo storico diverso dal nostro, dove l'economia e la politica hanno fatto passi avanti.
Federico,
non è una questione di lingua...liberismo si traduce con economic liberalism, laissez faire etc...ma non è questo il punto.
Il punto che è essere liberali, a mio modestissimo avviso, significa, in primo luogo non essere schiavi di un'ideologia, neanche di quella del libero mercato. Sebbene ne condivida idee e principi generali. Il libero mercato funziona bene se vi sono le istituzioni che lo fanno funzionare e se le riforme liberali seguono tempi e modi giusti (J.Stiglitz).
Anche Amartya Sen, che è più recente. (oggi forse un po rincoglionito) è un liberale, ma non è un maniaco del libero mercato.
Potremmo parlarne per mesi, ma trovo essere liberali non significhi essere dei "fondamentalisti del mercato".
Pur amando mercato e libero commercio...il mondo è complesso.
Mi preoccupano le ideologie in genere, anche quelle basate su meravigliosi modellini matematici e su molte assunzioni.
Buona giornata :)
Stefano
Il libero mercato non è un'ideologia.
Continuo ad osservare che i suoi critici non avendo argomenti per opporsi ad esso apertamente sono costretti a creare il fantoccio polemico dei "maniaci", dei "fondamentalisti" del libero mercato.
La stessa retorica di chi parla di una "sana" laicità da contrapporre al perfido laicismo. Vai a vedere e scopri che la "sana" laicità è riconoscere la primazia del magistero morale e sociale della Chiesa.
Allo stesso modo si deve accostare l'aggettivo "selvaggio" a liberismo per connotarlo negativamente. Prendo atto che tu sei per il libero mercato ma che sia "sano", non da "fanatici" e da "maniaci". Ok, anch'io. Oppure mi stai dando del maniaco?
Ma no che non sei maniaco! Spero almeno!! :)
Mi duole doverti contraddire ancora, ma il punto come non era linguistico, non è nel dire di essere a favore di una cosa per poi non esserlo veramente. E poi, scusa, la storia della laicità non c'entra niente.
Io credo semplicemente che il libero mercato sia un bene, ma che abbia i suoi difetti. A sostenerlo sono, oltre che fatti storicamente più che risaputi, personaggi non tacciabili di protezionismo. Ad esempio Paul Krugman ha recentemente scritto un articolo (mi pare sul NY Times, ma forse sbaglio!)nel quale discute dei problemi di aumento della disuguaglianza generati dal libero commercio e si interroga sui modi per limitare questi effetti.
In India il libero mercato sta facendo in linea di massima molto bene....ma i contadini di alcune aree si suicidano alla grande e qualche studio sostiene che le nuove incertezze dovute alle riforme economiche hanno accresciuto il fenomeno.
Mi sembra buona cosa mettersi in discussione, non è questo, anche, essere liberali?? Forse mi sbaglio.
Poi uno su 'ste cose la pensa come vuole e se ne può discutere all'infinito senza trovarsi in pieno accordo, tuttavia credo di ptermi ritenere a ragione un liberale senza però sostenere in maniera acritica il libero mercato senza se e senza ma (e non sto dicendo che tu lo fai).
Poi, insomma, non è che qui si voglia dire che ci piace il libero mercato e poi invece ci piace la gestione dell'Alitalia!!
Un'ultima cosa: io qualche argomento ce l'ho!!
Stefano
Singolari le dispute terminologiche sul termine liberale, che dovrebbe essere onnicomprensivo ( comprendere cioè quelle accezioni che da noi vengono tripartite in liberale, liberista, libertario ).
In Francia, ad esempio, liberale significa essenzialmente fautore del libero mercato.
Utilizzato come un appellativo biasimevole, offre un significativo quadro delle fobie di una società, quella francese, drammaticamente ostaggio della cultura dirigista.
Da noi, per pruderie, o italica ipocrisia, abbiamo aggiunto un aggettivo, selvaggio, al termine , quasi per accrescerne la distanza dal nostro sistema a conduzione familista.
Oltre che dalla "reductio ad unum ", il salutare trionfo del liberalismo nei paesi anglosassoni , è esemplificato , inoltre, dall'assenza , o quasi, dell'utilizzo della parola, quasi essa fosse stata oramai metabolizzata nell'uso comune teorico e soprattutto , cosa assai più importante , metodologico.
ultima cosa : il liberalismo-liberismo, essendo nato e sviluppatosi come antiideologia, non potrà mai avere i connotati del fondamentalismo.
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