Su LibMagazine di questa settimana:
Niente Partito democratico senza "rotture". Bersani e Letta che si fanno avanti con suggestive parole d'ordine; Mario Monti che chiede due svolte: un «limitato consenso con l'opposizione su poche riforme essenziali» e il superamento della «concertazione»; il discorso di Veltroni al Lingotto di Torino: qualcosa di buono, echi blairiani, la denuncia di un modo di essere conservatore della sinistra che va superato. Ma al di là di concretezze e vaghezze, nessuno annuncia l'essenziale, quella "rottura" senza la quale non ci può essere vero Partito democratico: che non farà alleanze elettorali con la sinistra comunista e massimalista.
Contro le tasse: interessante recensione del libro di Oscar Giannino.
Luigi Castaldi questa settimana va giù duro: ha calcolato gli interventi (due) di Pannella al Comitato, la mezza dozzina di telefonate in diretta e la consueta conversazione domenicale – «il tutto replicato da un minimo di due a un massimo di quattro volte, per almeno un quarto delle 72 ore di programmazione dalle 15.00 di venerdì alle 15.00 di lunedì». Sul suo «taccuino» ha annotato il turpiloquio del leader radicale: "stronzo", "cazzo", "merda" e "vaffanculo"; altri insulti «laterali alla sfera gastroenterica e a quella urogenitale»; «allusioni, alcune grevi, altre vaporose, fin'anche evanescenti come innocue scoreggine»; due o tre "cretino!"; accuse varie di «fascismo strisciante, criptogesuitismo, alto tradimento, complicità al regime, truffa aggravata».
Tutto questo «contro una persona sola – il nostro direttore politico, il direttore politico di LibMagazine – lasciato infine trafitto da un'accusa tremenda, forse la più grave di tutte: "Daniele Capezzone fa il vittimista". Insuperabile Pannella! Parte, si gasa, va in orbita e tanto accelera che si tampona da solo. Chi è quel tizio sotto una tonnellata di insulti, minacce e parolacce? Un "vittimista". Marco, giusto per esprimerci col tuo lessico: ma va' a cagare, va'!»
In nome di Blair: l'influenza dell'eredità politica dell'ex premier britannico sul superamento delle tradizionali linee di demarcazione della politica destra/sinistra.
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Tuesday, July 03, 2007
Monday, July 02, 2007
«Un senso di saturazione» (e di nausea)
Come si può pretendere dai giornali che riferiscano dei lavori dell'ultimo Comitato di Radicali italiani prestando attenzione anche ai contenuti e alle proposte politiche, quando Marco Pannella ha dedicato due interventi in tre giorni, ciascuno di oltre un'ora, ad attaccare Capezzone, trasformando il processo a Capezzone nell'evento politico del Comitato? Come poteva un cronista non imperniare il suo pezzo sul "caso Capezzone" o, piuttosto, sul "caso Pannella"?
Uno dei momenti più squallidi e umilianti è stata la fase di votazione della mozione-gogna a firma Pannella e altri contro Capezzone. La mozione è passata a maggioranza (28 contro 7, e 3 astenuti) nel tardo pomeriggio, quando ormai l'assemblea si era svuotata a causa dei rientri: assente oltre la metà dei membri. Il livore e il linguaggio scurrile di Pannella all'indirizzo di chiunque sollevasse obiezioni e preoccupazioni la dice lunga di uno stato d'animo, una sorta di trance, di ossessione paranoica, che nel bunker romano di Torre Argentina coinvolge - e non poteva essere altrimenti - il corpo mistico e antropologico in comunione e in con-passione con il leader carismatico.
E' quindi la carenza di laicità interna a inquinare le dinamiche interne ai radicali, a impedire al partito come collettivo di discutere e decidere la linea politica razionalmente e lucidamente. In una parola: laicamente.
Oltre al deputato Bruno Mellano, tra i pochi a votare contro la mozione, Silvio Viale, non certo tra i simpatizzanti di Capezzone, ha espresso in un comunicato il suo dissenso, definendola «mozione della vergogna, che avrebbe meritato il miglior ostruzionismo dei tempi d'oro dei radicali».
Uno dei momenti più squallidi e umilianti è stata la fase di votazione della mozione-gogna a firma Pannella e altri contro Capezzone. La mozione è passata a maggioranza (28 contro 7, e 3 astenuti) nel tardo pomeriggio, quando ormai l'assemblea si era svuotata a causa dei rientri: assente oltre la metà dei membri. Il livore e il linguaggio scurrile di Pannella all'indirizzo di chiunque sollevasse obiezioni e preoccupazioni la dice lunga di uno stato d'animo, una sorta di trance, di ossessione paranoica, che nel bunker romano di Torre Argentina coinvolge - e non poteva essere altrimenti - il corpo mistico e antropologico in comunione e in con-passione con il leader carismatico.
«... il carisma è sempre indiscutibile, nel senso che chi ne discute non lo accetta come tale: i radicali fedeli a Marco Pannella, al massimo, sono disposti ad ammettere che di carisma si tratti; ma ad invitarli a discutere se questo carisma si sia sempre tradotto, o attualmente si traduca, in una linea politica decente equivale ad un insulto, come la peggiore blasfemia, contro il loro leader carismatico e – soprattutto – contro la loro intera storia.(Luigi Castaldi, 29 giugno 2007)
E grazie al cazzo, mi permetterei di dire. Se, infatti, la storia di un partito politico si incolla al pensiero, alla vita, alle azioni e perfino agli umori di un leader carismatico che le infonde carisma dalla fondazione ad oggi, è ovvio che la storia di quel partito, ed il partito stesso, si identifichino con quel leader. E non parliamo della situazione finanziaria del partito, in questi casi: materialmente, dalla macchina minuta a quella grossa, il partito appartiene al leader. E' quindi "naturale"... che... sia... di fattuale proprietà di Marco Pannella. Questo tessuto relazionale fa di ogni radicale un utente della macchina grossa e minuta; utente nella fattispecie di militante... nella piena disposizione della macchina grossa e minuta, se soldato obbediente e fedele al capo o, sennò, no.
... se la linea politica di un partito del genere deve essere giocoforza coincidente con pensiero, vita, azioni e perfino umori del capo militare, la milizia potrà essere solo del genere che prende forza dal carisma; chiunque discuta il carisma diventa automaticamente un soldato infedele, un traditore; tollerarne la presenza diventa insopportabile, come un'offesa nella carne viva del leader, cioè, dell'intero partito; le membra non potranno che obbedire a ciò che il capo dice, o si intuisce pensi (non è difficile intuirlo, quando si è nel flusso di una potente empatia); si farà a gara per assecondarne il riflesso autoritativo... discutere su una linea politica voluta e decisa dal leader carismatico, e automaticamente empatizzata dai militanti, farà di chi ne discute uno che la mette in discussione; e che, dunque, mette in discussione il carisma del leader; che è leader in virtù del suo carisma; insomma, vorrà dire che mette in discussione la persona stessa del leader.
Si badi bene: si tratta del leader di un partito che ha messo a disposizione la sua macchina grossa e minuta a disposizione di colui che ora si rivela, con ciò, un traditore. Scatta un altro riflesso: la grazia amministrata dal carisma, nel punto in cui essa non restituita come gratitudine (che può essere restituita solo come obbedienza, meglio se sentita), non è solo tradimento, è tradimento sommamente infame, perché tradimento di un soldato ingrato. Questo uso della grazia, che è concessa al radicale (o gli è ritirata) per mezzo del carisma del leader, è quanto mi ha consentito di chiudere la mia personale esperienza tra i radicali... Uso della grazia che è (se latamente inteso) clericale».
E' quindi la carenza di laicità interna a inquinare le dinamiche interne ai radicali, a impedire al partito come collettivo di discutere e decidere la linea politica razionalmente e lucidamente. In una parola: laicamente.
Oltre al deputato Bruno Mellano, tra i pochi a votare contro la mozione, Silvio Viale, non certo tra i simpatizzanti di Capezzone, ha espresso in un comunicato il suo dissenso, definendola «mozione della vergogna, che avrebbe meritato il miglior ostruzionismo dei tempi d'oro dei radicali».
«Siamo nel campo della psicologia della parapolitica. Chiedere la gogna, dietro il paravento della "casta" o della disciplina nella critica ai radicali ed al governo, oltre che essere illiberale, totalitario e giustizialista, non fa onore ai valori del partito radicale... La mozione anti-Capezzone evidenzia l'insofferenza di molti dirigenti radicali verso ogni dissidenza interna, che non si configuri come pura testimonianza formale... ha il sapore di una rappresaglia preparata con cura da quel briccone di D'Elia.Pacato ma tagliente, ed emblematico, anche il dissenso espresso da Maria Gigliola Toniollo, sindacalista della Cgil (esattamente non il massimo dell'affinità con l'ex segretario radicale) che un secondo dopo l'approvazione della mozione si è autosospesa dalla Direzione, non tanto in solidarietà con Capezzone, ma non riconoscendo più «questo partito». Eppure, la sua dichiarazione, resa al termine della votazione, non risulta dalla registrazione video disponibile su RadioRadicale.it.
Nel merito, voglio solo ricordare a D'Elia e soci che la qualità di un politico è giudicata da molte cose e non solo dalle presenze in aula. Su questo avevo anch'io criticato Capezzone, ma non mi sognerei mai di sostenere che Marco Pannella non sia un grande eurodeputato solo perché è, probabilmente, poco presente alle commissioni. Sta a Marco, come a Daniele, decidere le priorità. Sta a noi criticare eventualmente le priorità, ma nessuna critica può cancellare i 28 voti che hanno scritto una delle pagine più vergognose della storia radicale».
Tuesday, June 26, 2007
Né di destra, né di centro, né di sinistra

«Non è stato difficile, per noi di LibMagazine, definire il minimo comune multiplo di liberalismo che potesse unirci, sotto quel Lib- della testata...». E' il concetto di laicità. Però con «il senso meta-storico che il termine ha tratto dalla storia: laicità come estraneità dalla logica delle costruzioni ideologiche. Non solo anticlericalismo, dunque. (Be', sì, siamo anticlericali anche nel senso più ristretto del termine, ma non vorremmo che la laicità si esaurisse in quello. E dunque...) E dunque laicità come sinonimo di anticlericalismo (giacché clero e laico sono dicotomici in radice), ma chiarendo: contro ogni chiesa, cioè contro ogni costruzione ideologica.
Cioè: liberali contro ogni tipo di stato etico – fascista, comunista, cattolico... Liberali nel campo dell'economia e in quello dei diritti civili, nel campo della bioetica e in quello della politica estera... noi di LibMagazine pensiamo che non si possa essere libertari senza essere liberisti, o viceversa. Un libertario che storce il muso al liberismo non è un liberale: è un fricchettone un po' sfigato. Un liberista che storce il muso al matrimonio gay o alla liberalizzazione delle droghe non è un liberale: è un conservatore cui frizza il cuore a immaginare il dinamismo del mercato libero, immaginandone l'utile. Essere liberali – scriveva Mario Missiroli – è tremendamente arduo e penoso...»
Premesso questo, prosegue Castaldi, «di fronte al collasso delle strutture portanti di quelle categorie (sinistra, destra, centro) in cui si sono mosse le più potenti costruzioni ideologiche del XX secolo (comunismo, fascismo e magistero sociale della Chiesa di Roma), noi di LibMagazine troviamo indispensabile smarcarcene. Lo dirò per quanto mi riguarda, e nel modo che mi riguarda: i liberali non sono di sinistra, non sono di destra e non sono di centro. Possono trovarsi a sinistra, a destra o al centro, ma solo a volerceli vedere, cioè ad avere gli occhi che guardano ancora dall'interno di quelle costruzioni ideologiche. Questo – comprenderete – sarà importante dirlo per dipanare tutte, prima ancora di intrecciarle, quelle questioni di polemica politica che dovessero investirci. In qualche modo ci hanno già investito, con l'aver affidato a Daniele Capezzone la direzione politica di questa rivista on line. Il percorso politico di Daniele Capezzone ci è sembrato sostanzialmente coerente con quella laicità che ponevamo come minimo comune multiplo del nostro essere liberali, almeno sotto quel Lib- della testata.
«E sia chiara una cosa», conclude Castaldi: che «noi di LibMagazine non siamo settari e odiamo il settarismo. Come dire, intendiamo allargarci, cercheremo di non esaurirci nella testimonianza».
Segnaliamo, inoltre, la proposta di Francesco Nardi, che entra nel dibattito sull'«impiego migliore possibile del famigerato tesoretto», facendone una questione di responsabilità politica, quella «che da molti - specie a sinistra – è ridotta in confusione con la responsabilità penale dei politici, laddove - a noi pare -, a prescindere dalle perorazioni "di classe", un serio modo di intendere la politica dovrebbe far fronte ai debiti politici che un'azione legislativa – anche d'urgenza – costituisce nei confronti del Paese».
Si tratta di «quei debiti che si sono contratti sulla base di inefficienze politiche». Per esempio, quelle che hanno portato il Parlamento ad approvare l'indulto, contraendo così, giustamente, un debito «nei confronti dei principi di legalità e certezza della pena». Ebbene, si potrebbe usare l'extra-gettito per rinnovare l'intero sistema carcerario, in un sol colpo estinguendo quel debito politico, quindi occupandosi della sicurezza dei cittadini, e creando le condizioni per il rispetto dei diritti dei detenuti e per le finalità rieducative della pena.
Monday, April 16, 2007
Radicalismo compassionevole: una deriva
Le dimissioni ben argomentate di Luigi Castaldi dalla Direzione di Radicali italiani non sono state ritenute degne di un minimo commento da parte di Pannella, di Radio Radicale, della segretaria, né di uno scarno comunicato. Su Notizie Radicali, se non altro perché lo stesso Castaldi in quella sede ha voluto lasciare le sue considerazioni, qualcuno è intervenuto [Vecellio mi corregge: "se non altro perché io ho ritenuto di pubblicare Castaldi, di rispondergli; e di ospitare senza ulteriore commento la sua contro-replica"]. A quegli interventi intende rispondere questo mio articolo:
Dopo il conservatorismo compassionevole, abbiamo il radicalismo compassionevole, teorizzato da Pullia in un suo editoriale su "Notizie Radicali" (11 aprile). Chi è «imprigionato nella propria monade senza finestre, chiuso nel proprio guscio di cinismo», chi «interpreta la politica solo in chiave utilitaristica», ignorando «gli esclusi, gli umili e umiliati, gli inermi», chi vede nell'altro un limite all'io, non può capire e cade nella «deriva dell'individualismo», nell'«arido economicismo liberista».
Premessa. Il "liberismo selvaggio" è l'organizzazione economica storicamente e concretamente dimostratasi più in grado delle altre di garantire benessere e ridurre al minimo l'esclusione sociale. I "compassionevoli" di ieri e di oggi devono fare i conti con i loro fallimenti, mentre i "cinici" che hanno puntato tutto non sui sentimenti, ma sugli interessi, sulle ambizioni, sui talenti individuali, regolando il sistema in modo da farli competere per migliorarsi, possono camminare a testa alta rivendicando di aver conseguito proprio gli obiettivi che moralisticamente o sentimentalmente si prefiggevano i "compassionevoli".
Dunque, pare che senza compassione non si possa fare politica radicale. E io che pensavo bastasse condividere degli obiettivi, "comprarsi" la tessera, a prescindere da quali fossero le motivazioni morali o sentimentali (che non intendo giudicare) che spinge ciascuno di noi a far politica o a parlarne. Invece, qui si sta teorizzando un partito che si basa non su un'ideologia, su una dottrina. No, sarebbe troppo facile. Queste, infatti, si potrebbero imparare su un qualche manuale. Sarebbero a disposizione di tutti. Si teorizza invece un partito fondato su dei sentimenti, cioè quanto di più aleatorio e soggettivo vi sia. Ci si vuole occupare degli esclusi, essendo poi i primi ad escludere sentimentalmente.
Perché la compassione è quasi un dono, come la fede. Come la fede anche la compassione (per altro declinata da Pullia in modo non troppo dissimile da come Ratzinger declina la carità/verità cristiana: "Deus caritas est"), se dev'essere costitutiva di un'organizzazione, richiede un Santo e dei chierici, che ne siano autentici depositari cui attingere, riti d'iniziazione e una struttura fiduciaria a cerchi concentrici. Sarebbe questa la nuova forma partito? No, grazie, meglio i "signori delle tessere". Almeno lì gli interessi sono più trasparenti. E' questo invece, il nodo del settarismo radicale. Ma siccome le sette sono cose serie, in questo caso parlerei piuttosto di gruppettarismo e di familismo: gli "amici del muretto".
Non sorprende, poi, se i radicali si siano ridotti a quattro gatti. E chissà che dando retta a Pullia non si riesca anche a parlarci. Con i gatti, intendo.
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Dopo il conservatorismo compassionevole, abbiamo il radicalismo compassionevole, teorizzato da Pullia in un suo editoriale su "Notizie Radicali" (11 aprile). Chi è «imprigionato nella propria monade senza finestre, chiuso nel proprio guscio di cinismo», chi «interpreta la politica solo in chiave utilitaristica», ignorando «gli esclusi, gli umili e umiliati, gli inermi», chi vede nell'altro un limite all'io, non può capire e cade nella «deriva dell'individualismo», nell'«arido economicismo liberista».
Premessa. Il "liberismo selvaggio" è l'organizzazione economica storicamente e concretamente dimostratasi più in grado delle altre di garantire benessere e ridurre al minimo l'esclusione sociale. I "compassionevoli" di ieri e di oggi devono fare i conti con i loro fallimenti, mentre i "cinici" che hanno puntato tutto non sui sentimenti, ma sugli interessi, sulle ambizioni, sui talenti individuali, regolando il sistema in modo da farli competere per migliorarsi, possono camminare a testa alta rivendicando di aver conseguito proprio gli obiettivi che moralisticamente o sentimentalmente si prefiggevano i "compassionevoli".
Dunque, pare che senza compassione non si possa fare politica radicale. E io che pensavo bastasse condividere degli obiettivi, "comprarsi" la tessera, a prescindere da quali fossero le motivazioni morali o sentimentali (che non intendo giudicare) che spinge ciascuno di noi a far politica o a parlarne. Invece, qui si sta teorizzando un partito che si basa non su un'ideologia, su una dottrina. No, sarebbe troppo facile. Queste, infatti, si potrebbero imparare su un qualche manuale. Sarebbero a disposizione di tutti. Si teorizza invece un partito fondato su dei sentimenti, cioè quanto di più aleatorio e soggettivo vi sia. Ci si vuole occupare degli esclusi, essendo poi i primi ad escludere sentimentalmente.
Perché la compassione è quasi un dono, come la fede. Come la fede anche la compassione (per altro declinata da Pullia in modo non troppo dissimile da come Ratzinger declina la carità/verità cristiana: "Deus caritas est"), se dev'essere costitutiva di un'organizzazione, richiede un Santo e dei chierici, che ne siano autentici depositari cui attingere, riti d'iniziazione e una struttura fiduciaria a cerchi concentrici. Sarebbe questa la nuova forma partito? No, grazie, meglio i "signori delle tessere". Almeno lì gli interessi sono più trasparenti. E' questo invece, il nodo del settarismo radicale. Ma siccome le sette sono cose serie, in questo caso parlerei piuttosto di gruppettarismo e di familismo: gli "amici del muretto".
Non sorprende, poi, se i radicali si siano ridotti a quattro gatti. E chissà che dando retta a Pullia non si riesca anche a parlarci. Con i gatti, intendo.
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Thursday, April 05, 2007
Luigi Castaldi è uscito dal gruppo

Lo fa concludendo la sua mail alla segretaria, Rita Bernardini, in modo a mio avviso superlativo: «Resto liberale: per tutti voi sarà un po' di meno che radicale, per me – dopo la risposta data da Pannella a Litta Modignani – è un po' di più».
La risposta di Pannella a Litta, durante l'ultimo Comitato, è dunque la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nel suo intervento Litta Modignani aveva ripreso felicemente alcune espressioni del precedente intervento di Sergio D'Elia, contestandone la laicità. Per esempio, obiettava, «la "compassione come teoria dell'organizzazione" è elemento estraneo alla cultura laica: nessuna organizzazione laica fonda la sua teoria politica su sentimenti, tipo la compassione...».
Intervenendo il giorno successivo, Pannella faceva notare a Litta - con un banale trucco retorico - che dire "questo non è laico" suona come una scomunica e, quindi, non è a sua volta laico. Ma si potrebbe continuare così all'infinito, obiettando a Pannella stesso che non è laico neanche affermare che non sia laico dire "questo non è laico". Seguendo questa logica, sarebbe "liberale" dire a Ruini "non sei liberale"? Non suonerebbe come una scomunica? Alla fine si deve arrivare a un punto in cui è il merito, evidente alla ragione, il metro di un giudizio di cui ci si assume la piena responsabilità. Altrimenti il laico e il liberale non potrebbero esprimere giudizi su nulla.
Detto questo, ciò che ci importa è che Pannella, contraddicendo Litta, chiariva che la «con-passione», il «vissuto» comune, è «l'animus che ha contraddistinto gli ultimi quarant'anni radicali (...) noi stiamo proprio superando quel limite attribuito all'individualismo, contro il quale ci siamo sempre ribellati, ma la mia storia è anche quella della grossa sintonia col personalismo».
Castaldi conclude, dunque, che i radicali sono una «setta cristiana. Anticlericale, certo, ma cristiana... fatta di annuncio, incarnazione, sacrificio, resurrezione, gloria dell'avvento, apocalisse finale». Il partito (o per lo meno il suo vertice) come un corpo mistico e antropologico, che si fonda sulla "comunione" tra i suoi aderenti e di questi con il leader. Una concezione in totale antitesi da quella, proclamata dallo stesso Pannella, delle "doppie tessere", dei "tratti di strada assieme", dell'"unione laica delle forze", e dell'iscrizione annuale (o persino della condivisione di un solo obiettivo) come unica condizione per potersi dire "radicali".
La religiosità, il credere in altro, dei radicali non è un estetismo. Né si tratta del crociano "non possiamo non dirci cristiani". Non è un problema di linea politica non abbastanza laicista. Né il difetto di laicità sta nella convinzione di poter allargare lo «scisma sommerso» all'interno della Chiesa, o nel giudizio positivo che si dà del Concilio Vaticano II, o ancora nel dialogo con esponenti della "base" cattolica e del protestantesimo.
Non sta neanche nel ritenere possibile un liberalismo "cristiano", o un cattolicesimo liberale. In questo dissento parzialmente da Luigi: sono ossimori, forse, nel momento in cui si vorrebbero accostare e fare in qualche modo combaciare le due teorie, o dottrine, quella cattolica e quella liberale. Eppure, se si esce dal territorio astratto della teoria, non credo che dirsi di religione cristiana e, allo stesso tempo, politici liberali sia un ossimoro. Possono essere caratteri specifici che presenti nella stessa persona danno luogo a contraddizioni e imperfezioni rispetto ai due modelli idealtipici, del perfetto "liberale" e del perfetto "cristiano", ma indubbiamente convivono, corrispondono all'esperienza concreta di molti, oggi e in passato.
A ben vedere non è neanche l'intensa religiosità di Marco Pannella il problema, quanto piuttosto il fatto che si teorizzi una «con-passione», un «vissuto» comune, un quid antropologico, come costitutivi del "sistema solare" radicale (non galassia, ché, come ha fatto notare Castaldi, ha più soli). E intorno a un Sole unico che «si è "sempre ribellato all'individualismo" e si è sempre trovato "in grossa sintonia col personalismo", non giro», dice bene Castaldi, richiamando, appunto, quella «dicotomia essenziale – direi fenomenologica, dunque politica, ma anche psicologica ed antropologica – tra individuo e persona».
Un conto sono le passioni di cui è animato un partito, attraverso i suoi aderenti, tutt'altro conto è se il sentirsi in "comunione" diviene la sua "costituzione" materiale, al di sopra degli statuti, delle iscrizioni, degli obiettivi. Allora sì, si pone un problema di laicità che non è della linea politica espressa, ma prima di tutto della sua vita interna.
Considerazioni che non si allontanano molto da quanto ha scritto di recente, ahimé ignorato, Biagio de Giovanni, individuando come limiti dei radicali «l'oligarchismo carismatico» e l'effetto respingente di un «senso di superiorità antropologica». E' «come se i radicali si sentissero sale della terra, mai terra». Dunque, quella politica che «si confonde con la vita», che è «la forza del radicalismo italiano», è anche la sua «debolezza»: si basa sulla carica dirompente, ma momentanea, di quelle «occasioni estreme» che proclamano il superamento di forme vecchie e stanche, ma è incapace della «proposta generale».
L'analisi sostanzialmente corretta che i radicali fanno del regime partitocratico e dell'assenza di democrazia e stato di diritto in Italia rischia di divenire un facile alibi di fronte ai propri errori e inadeguatezze. La consapevolezza di vivere situazioni estreme, da decenni sotto la costante minaccia della sparizione politica e mediatica, e del genocidio culturale ad opera dell'oligarchia, sviluppa all'interno di un gruppo ristretto che si riconosce in un leader carismatico un senso paranoico del complotto e particolari vincoli di solidarietà, di «con-passione», forme di comunitarismo e di estraniamento, tipici della setta, della confraternita, o della cellula. La famiglia, il clan radicale, più che la galassia. Il sentirsi dei radicali come un'etnia è però da considerare come la vittoria del regime sui radicali stessi.
Negli anni della segreteria di Daniele Capezzone, osserva Castaldi - addirittura del Capezzone del "De Merode" - la natura mistica del corpo radicale si era attenuata, o comunque era meno visibile ad uno sguardo esterno. Non per chissà quali posizioni politiche iper-laiciste e anticlericali di Capezzone, ma perché quel corpo mistico e antropologico aveva dovuto cedere spazio al protagonismo e all'attivismo intellettuale e politico, dall'approccio estremamente individualistico, del nuovo segretario. Quel corpo continuava a considerare Capezzone un intruso, altro da sé, nonostante le ragioni politiche che andava esprimendo dimostrassero il contrario. Ma, appunto, lo dimostravano su un piano politico e razionale, non a livello di "affinità elettive".
L'adesione di Capezzone alle ragioni politiche dei radicali nasce da anni di ascolto di Radio Radicale non certo privo di passione, e passioni personali. Si tratta però di una condivisione su base razionale - non sentimentale o "etnica" - degli obiettivi politici.
L'estraneità a quel corpo mistico e antropologico ha permesso a Capezzone di infrangere la barriera dell'"estraniamento" radicale, di ristabilire un prezioso punto di contatto tra i radicali (tutti) e il mondo mediatico di oggi e, insomma, di far uscire la comunicazione radicale dagli anni '70. Senza sacrificare i contenuti e le analisi di fondo della realtà italiana proprie dei radicali, il suo comunicare sintetico, per spot e citazioni televisive, più adatto all'epoca degli sms e dei kilobite, ha per lo meno affiancato un certo astrattismo, un certo intellettualismo radicale. Capezzone sembra oggi in grado di "laicizzare" a colpi di humour e di cultura pop la comunicazione radicale, caratterizzata nel corso degli anni da un linguaggio sempre più da chierici, a causa dei processi poco fa menzionati.
La banalizzazione del messaggio è sempre in agguato e forse le strade da battere sono altre. In un paese spaccato dal punto di vista della "dieta mediatica" dei suoi cittadini - con un terzo di essi più informato, ma spesso anche più inquadrato, che legge i quotidiani, naviga in Internet, guarda le tv satellitari, "insegue" le fonti anche fuori dal nostro paese, e i due terzi, purtroppo i più giovani e i più vecchi, dalla "dieta mediatica" povera, prigionieri della tv generalista, sempre più impermeabili ai messaggi politici - la sfida comunicativa su cui i radicali (chi se non loro?) dovrebbero riflettere, è come raggiungere queste nuove "periferie", questo "terzo mondo" dell'informazione, dove ci si imbatte in un coacervo di istanze liberali e riflessi illiberali.
Come dare forma e contenuti politici a quei mugugni e a quei fenomeni, come l'intimismo, il nuovo edonismo "menefreghista", persino l'evasione fiscale, che possono sembrare irrazionali a uno sguardo superficiale, ma che sono altrettante domande di più libertà rivolte dal vissuto, sofferente, di ciascuno in una società dalle strutture socio-economiche e politiche illiberali?
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