Ma gli manca «la forza della proposta generale»
Splendido l'articolo di Biagio de Giovanni, oggi su Il Mattino, sulla «missione dei radicali», nel cogliere pregi e limiti di un'esperienza politica comunque unica. La politica che «si confonde con la vita, fa tutt'uno con essa», coinvolgendo «i corpi di chi "fa" politica».
«Far politica è... mettere in gioco la propria vita... quasi offerta perché qualcosa cambi...».
Simmelianamente de Giovanni spiega che nei radicali la politica che «si confonde con la vita» si contrappone alla politica «che tende a confondersi con una amministrazione più o meno neutrale delle cose», rigettando «le catene concettuali che mettono fra politica e vita una distanza insuperabile».
D'improvviso, i radicali ci pongono «di fronte a una situazione estrema, eccezionale», la quale «vuol proclamare che lì, da Welby alla pena di morte, nel decidere, come è stato detto, quali corpi vanno lasciati vivere e quali fatti morire, c'è la forza di rottura di una politica che si è addormentata fra le maglie di forme stanche e burocratiche».
Di nuovo, simmelianamente, la politica che «si confonde con la vita» contrapposta alla «politica che si è addormentata fra le maglie di forme stanche e burocratiche». «Oltre e contro le forme, si vogliono far emergere forze vitali, immaginando che solo agendo su queste anche le forme prima o dopo cambieranno e non potranno più essere quelle di prima, e che comunque anche le forme (le istituzioni) cambiano sotto la spinta di quelle forze che mirano a un nuovo ordinamento della legalità».
E' l'eterno conflitto tra vita e forma: le forze vitali che scardinano le forme vecchie e stanche che l'imbrigliano per crearne di nuove, che a loro volta saranno scardinate quando ormai inadeguate a rappresentare le forze vitali di quel momento.
A fronte di tutto questo «la politica di tutti i giorni sembra appartenere a un altro mondo, spostamenti di oligarchie che hanno soffocato ogni vocazione... ogni voce di rinnovamento viene individuata, emarginata, allontanata». Anche il Partito democratico «incombe», come «incubo della normalizzazione».
«A chi è stanco di oligarchie e di politici senza vocazione - dice de Giovanni - verrebbe perciò voglia di semplicemente aderire a questa visione, provando magari a rendere esplicito il sottofondo che la anima, che è quello della piena affermazione della libertà dei moderni, di quella volontà di libertà sempre più incoercibile, e che va inseguita, auscultata, organizzata...»
Eppure, c'è qualcosa che gli impedisce di aderire. E veniamo ai limiti: «l'aristocratismo»; «il rigetto dell'organizzazione»; «l'oligarchismo carismatico»; l'effetto respingente di un «senso di superiorità antropologica». E' «come se i radicali si sentissero sale della terra, mai terra». Dunque, quella politica che «si confonde con la vita», che è «la forza del radicalismo italiano», è anche la sua «debolezza»: si basa sulla carica dirompente, ma momentanea, di quelle «occasioni estreme» che proclamano il superamento di forme vecchie e stanche, ma è incapace della «proposta generale».
Quando i radicali furono capaci, nel '99, di elaborare e comunicare una «proposta generale» balzarono all'8,5%.
Comunque sia, conclude de Giovanni, «di quella cultura l'Italia ha bisogno, e solo perciò ci angustiano certi fallimenti. Ne ha bisogno questa Italia opaca e corporativa, dove il sistema tende a chiudersi su se stesso, senza offrire grandi speranze di rinnovamento».
1 comment:
A me, da ex, pare anche che molti radicali che ho conosciuto abbiano trovato nell'essere "i radicali" un senso da dare alla propria vita.
Nulla di male in ciò, ma per molti è anche o è stato anche questo.
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