Il Cardinale Carlo Maria Martini chiede alla Chiesa di riservare «più attenta considerazione anche pastorale» ai casi, che saranno sempre più frequenti, come quelli di Welby, «che con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio, costituite negli ultimi nove anni da una tracheotomia e da un ventilatore automatico, senza alcuna possibilità di miglioramento».
Nel suo intervento di domenica sul Sole 24 Ore osserva che «la crescente capacità terapeutica della medicina consente di protrarre la vita pure in condizioni un tempo impensabili». E' un fatto «positivo», ma ci vuole «un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona».
Bisogna «distinguere» però tra eutanasia e astensione dall'accanimento terapeutico, «due termini spesso confusi».
Martini fa riferimento, ovviamente, al catechismo, riportando due noti passaggi in realtà molto ambigui: l'accanimento consiste in «procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo» (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471). Evitando l'accanimento terapeutico «non si vuole... procurare la morte: si accetta di non poterla impedire» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2.278), «assumendo così i limiti propri della condizione umana mortale».
Fin qui nulla di nuovo, ma è quello che segue che rende importanti le parole di Martini: «Per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete — anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite — di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate».
Il che non vuol dire isolamento e abbandono nel malato in queste valutazioni e decisioni. L'assistenza «deve continuare», ma «commisurandosi alle effettive esigenze della persona, assicurando per esempio la sedazione del dolore e le cure infermieristiche».
Dal punto di vista giuridico, conclude il cardinale, occorre «una normativa che, da una parte, consenta di riconoscere la possibilità del rifiuto (informato) delle cure — in quanto ritenute sproporzionate dal paziente, dall'altra protegga il medico da eventuali accuse (omicidio del consenziente o aiuto al suicidio), senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell'eutanasia». Paziente e medico.
Il fatto rilevante dell'intervento di Martini non sta tanto nel "no" all'accanimento terapeutico, posizione già ampiamente condivisa, né nel riconoscere che nel caso Welby di questo si è trattato. Di fronte all'impossibilità di stabilire una «regola generale» valida per tutti i casi, il cardinale pone al centro, come dirimente, «la volontà del malato». Il pericolo molto concreto, invece, è che il Legislatore proceda cercando di definire una casistica il più esaustiva possibile, da cui far derivare, caso per caso, i comportamenti leciti e quelli illeciti.
Un approccio, tipico del legiferare italiano, dissennato, perché le leggi non riescono mai a ingabbiare la realtà e a prevederne tutti i possibili sviluppi. Invece, quello che propone Martini è un approccio "liberale", che mira a stabilire il principio rispettando libertà e responsabilità dei soggetti coninvolti, malato e medico innanzitutto.
UPDATE: Non si è fatta attendere la risposta di Ruini, per il quale «la volontà del malato, attuale o anticipata o espressa attraverso un suo fiduciario scelto liberamente, e quella dei suoi familiari, non possono avere per oggetto la decisione di togliere la vita al malato».
2 comments:
Ruini manda la Chiesa in ruina.
Ruini ha detto pure che la Finanziaria è stata "travagliata, ma positiva".
Adesso si è fatto un nuovo avversario. E non credo di esser solo.
La Finanziaria benedetta dalla Cei! Ci mancava pure questa!!!
Tra statalisti burocratici si rispettano... è tutto il Novecento che ce lo ricorda.
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