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Monday, January 29, 2007

Attenzione a quella legge di troppo

Senza citare direttamente il caso di Piergiorgio Welby, il presidente della III sezione penale della Cassazione Gaetano Nicastro ha inaugurato l'anno giudiziario 2007 dedicando un passaggio del suo discorso ai delicati temi dell'eutanasia e dell'accanimento terapeutico e ai loro "ambigui" risvolti giuridici.

«Si è discusso se è quando sia legittimo interrompere il trattamento terapeutico dei malati terminali. Alla soluzione sono indubbiamente connessi profondi problemi etici che investono il significato stesso della vita umana e diritti ritenuti indisponibili». Tuttavia, suggerisce Nicastro, «di fronte al progresso della farmacologia e dell'ingegneria medica rimane ambiguo il concetto stesso di accanimento terapeutico»: per questo «è urgente l'intervento del legislatore».

Di fronte a tanto autorevole richiesta di intervento del Legislatore molti laici e liberali hanno cantato vittoria, come se vi fosse la prova definitiva dell'esigenza di una legge sull'eutanasia o simili. Semmai, invece, c'è da preoccuparsi.

Il rifiuto e la richiesta di sospensione delle terapie sono già un diritto dei malati. Quella che per molti è "ambiguità" nel definire cosa sia «accanimento terapeutico» è in realtà un ampio spazio discrezionale che dovrebbe appartenere al malato, accompagnato dal suo medico. Una legge che pretenda di ridurre quella "ambiguità" ridurrà inevitabilmente l'autonomia dell'individuo nel decidere se la situazione terapeutica in cui si trova sia per lui accettabile o meno.

Preferisco, quindi, l'approccio "liberale" del Cardinale Martini: «Per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete — anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezioni ben definite — di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate». Il che non vuol dire isolamento e abbandono nel malato in queste valutazioni e decisioni.

Serve una legge che definisca il concetto di «accanimento terapeutico», che stabilisca il principio, rispettando libertà e responsabilità dei soggetti coninvolti, malato e medico innanzitutto, ma non che risolva quell'insopprimibile "ambiguità" con cui si presenta il caso reale, che spetta al singolo malato, consigliato dal medico, risolvere.

Il rischio invece è che il Legislatore, secondo un legiferare tipico italiano, proceda cercando di definire una casistica il più esaustiva possibile, da cui far derivare, caso per caso, i comportamenti leciti e quelli illeciti. Un approccio dissennato, perché le leggi non riescono mai a ingabbiare la realtà e a prevederne tutti i possibili sviluppi. Quando ci si prova il risultato è sempre "meno libertà per tutti".

1 comment:

Anonymous said...

Son felice di trovarmi d'accordo con te. Anche io mi chiedevo come mai i radicali invocassero sempre una legge in meno ed invece in questo caso cercassero una legge in più.
Ricordiamoci più spesso di Bruno Leoni e che governare non significa soltanto produrre leggi.
Nel Paese delle oltre 200000 leggi inapplicabili ed inapplicate.
Nel Paese della morte del Diritto.